Furfante, Prigioniera, Principessa . Морган Райс
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Si udì un altro squillo di tromba.
Fece seguito un ruggito mentre i cancelli di ferro ai lati dell’arena si aprivano e il rumore bastò a far scorrere un brivido gelato lungo la schiena di Ceres. In quel momento si sentì niente meno che una preda, qualcosa che doveva essere cacciata, qualcosa che doveva fuggire. Osò dare un’occhiata verso la cerchia reale, sapendo che dovevano decidere. Il combattimento era finito. Lei aveva vinto. Ma evidentemente questo non bastava. Capì che, in un modo o in un altro, avevano intenzione di ucciderla. Non l’avrebbero lasciata uscire viva da quell’arena.
Una creatura entrò, più grande di un umano, ricoperta di un’arruffata pelliccia. Delle zanne protrudevano da un muso simile a quello di un orso, mentre delle sporgenze spinose si allungavano lungo la schiena. Ai piedi aveva artigli lunghi come pugnali. Ceres non aveva idea di cosa fosse, ma non ne aveva bisogno per capire che era qualcosa di letale.
La bestia simile all’orso si mise a quattro zampe e corse in avanti mentre Ceres puntava la spada.
Raggiunse prima il combattente caduto e Ceres avrebbe distolto lo sguardo se avesse osato. L’uomo gridò mentre l’animale saltava, ma non ebbe modo di rotolare via in tempo. Quelle zampe giganti lo schiacciarono a terra e Ceres udì lo scricchiolio del suo pettorale che cedeva. La bestia ruggì mentre faceva a brandelli il guerriero.
Quando poi sollevò lo sguardo, le sue zanne erano bagnate di sangue. Guardò Ceres, digrignò i denti e si lanciò all’attacco.
Ceres riuscì appena a farsi di lato in tempo, colpendo con la spada mentre la bestia passava. La creatura lanciò un grido di dolore.
Ma il forte slancio le strappò la lama dalle mani, con la sensazione che le si sarebbe staccato il braccio se non avesse lasciato la presa. Guardò con orrore mentre la spada scivolava sulla sabbia e andava a finire in uno dei buchi.
La bestia continuava ad avanzare e Ceres, terrorizzata, guardò verso il punto dove si trovavano i due pezzi della sua lancia spezzata. Si lanciò verso di essi e ne afferrò uno rotolando simultaneamente a terra.
Quando si alzò piantando un ginocchio al suolo, la creatura stava già attaccando. Non poteva scappare, si disse. Quella era la sua unica possibilità.
Le andò a sbattere addosso e il peso e la velocità di quella cosa la sollevarono da terra. Non c’era tempo per pensare, non c’era tempo per avere paura. Iniziò a colpire con il pezzo di lancia spezzata, battendo più e più volte mentre le zampe della bestia-orso le si chiudevano attorno.
La sua forza era tremenda, troppo per lei. Ceres si sentiva come se le costole le potessero esplodere sotto quella pressione e il pettorale che indossava scricchiolò sotto la forza della creatura. Sentiva gli artigli che le graffiavano le gambe e la schiena e il dolore la pervase.
La pelliccia era troppo spessa. Ceres continuava a colpire, ma sentiva che la punta della lancia a malapena penetrava nella carne dell’animale mentre quello la feriva con gli artigli che le aprivano ogni punto dove la pelle era esposta.
Ceres chiuse gli occhi. Con tutte le sue forze cercò il potere dentro di sé, neanche sapendo se avrebbe funzionato.
Si sentì crescere dentro una sfera di potere. Poi gettò tutta la sua forza sulla lancia, spingendola nel punto dove sperava ci fosse il cuore della creatura.
La bestia gridò ritraendosi da lei.
La folla esultò.
Ceres, resa attiva dal dolore dei suoi graffi, scivolò da sotto la bestia e si mise debolmente in piedi. Guardò la creatura, con la lancia conficcata nel cuore, che rotolava e gemeva, producendo un verso che appariva anche troppo fievole per una cosa così grossa.
Poi si irrigidì e morì.
“Ceres! Ceres! Ceres!”
L’arena si riempì di nuovo di grida. Ovunque Ceres guardasse, c’erano persone che chiamavano il suo nome. Nobili e gente del popolo sembravano uniti nel canto, abbandonati in quel momento di vittoria.
“Ceres! Ceres! Ceres!”
Si ritrovò a crogiolarsi in quelle grida. Era impossibile non trovarsi imprigionati nella sensazione dell’adulazione. Sembrava che tutto il suo corpo pulsasse a tempo con il canto che la circondava e Ceres allargò le braccia come a volerlo accogliere. Si girò disegnando un lento cerchio, guardando i volti di quelle persone che solo il giorno prima non sapevano neppure chi lei fosse, ma che ora la stavano trattando come se fosse l’unica persona importante al mondo.
Ceres era talmente rapita da quel momento da sentire appena il dolore delle ferite che le erano stato inflitte. Le spalle le facevano male adesso, quindi vi mise sopra una mano. La ritrasse umida e il suo sangue luccicò rosso e brillante alla luce del sole.
Ceres guardò per diversi secondi quella macchia. La folla stava ancora cantando il suo nome, ma il martellare del suo cuore nelle orecchie le si presentò presto ancora più forte. Guardò la folla e le ci volle un attimo per capire che lo stava facendo stando in ginocchio. Non ricordava di essere caduta.
Con la coda dell’occhio Ceres poté vedere Paulo che correva verso di lei, ma le pareva troppo distante, come se quella scena non avesse nulla a che vedere con lei. Il sangue gocciolò dalle sue dita sulla sabbia, rendendola più scura dove cadeva. Non si era mai sentita così frastornata, con la testa così leggera.
E l’ultima cosa che ricordò fu che stava cadendo di faccia verso il pavimento dell’arena, incapace di muoversi.
CAPITOLO DUE
Tano aprì lentamente gli occhi, confuso sentendo le onde che gli lambivano le caviglie e i polsi. Sotto di sé poteva sentire la granulosa sabbia bianca di Haylon. Occasionali spruzzi salati gli riempivano la bocca e gli era difficile respirare.
Sollevò la testa per guardare di lato lungo la spiaggia, incapace di fare altri movimenti. Anche quel semplice spostamento fu uno sforzo, mentre ancora perdeva e riprendeva conoscenza. In lontananza però poté distinguere delle fiamme e suoni di violenza. Delle grida giunsero a lui insieme al rumore di acciaio che sbatteva contro altro acciaio.
L’isola, ricordò. Haylon. Il loro attacco era iniziato.
E allora perché lui era steso sulla sabbia?
Gli ci volle un momento perché il dolore alla spalla rispondesse alla sua domanda. Ricordò, e si contrasse al ricordo. Ricordò il momento in cui la spada si era conficcata in lui, alle spalle, nella parte superiore della schiena. Ricordò lo shock quando il Tifone l’aveva tradito.
Il dolore bruciava in Tano e si espandeva dalla ferita alla schiena come un fiore che si apre. Ogni respiro lo faceva sussultare. Cercò di sollevare la testa, ma questo gli fece perdere i sensi.
Quando si svegliò la volta successiva, nuovamente con il viso nella sabbia, fu capace di intuire che era passato del tempo solo perché la marea era salita un poco e l’acqua ora gli bagnava la