Furfante, Prigioniera, Principessa . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Furfante, Prigioniera, Principessa - Морган Райс страница 7
“Anche Sartes è morto,” insistette la donna. “I soldati sono venuti a prenderlo. Lo hanno trascinato via per metterlo nell’esercito dell’Impero, ed è solo un bambino. Quanto pensi che sopravvivrà in quelle condizioni? No, entrambi i miei ragazzi sono morti, mentre Ceres…”
“Cosa?” chiese Berin.
Marita scosse la testa. “Se tu fossi stato qui magari non sarebbe neanche successo.”
“Tu eri qui,” disse Berin infervorato, tremando in tutto il corpo. “È questo il punto. Pensi che volessi andarmene? Dovevi curarti di loro mentre io trovavo i soldi per procurare da mangiare a tutti noi.”
La disperazione allora prese Berin. Iniziò a singhiozzare come mai aveva pianto neanche da bambino. Il suo primogenito era morto. Tra tutte le altre bugie che Marita si era inventata, questo sembrava vero. La perdita lasciava un buco che pareva impossibile poter riempire, anche con il dolore e la rabbia che gli stavano traboccando dentro. Si sforzò di concentrarsi sugli altri, pareva l’unico modo per non restare sopraffatto dalle emozioni.
“I soldati hanno preso Sartes?” chiese. “Soldati dell’Impero?”
“Pensi che ti stia mentendo su questo?” chiese Marita.
“Non so più cosa credere,” rispose Berin. “Non hai neanche cercato di fermarli?”
“Mi tenevano un coltello alla gola,” disse Marita. “Ho dovuto.”
“Hai dovuto fare cosa?” chiese Berin.
Marita scosse la testa. “Ho dovuto chiamarlo fuori. Mi avrebbero uccisa.”
“Quindi lo hai piuttosto consegnato a loro?”
“Cosa pensi che potessi fare?” chiese Marita. “Tu non c’eri.”
E Berin si sarebbe sentito in colpa per questo fintanto che avesse vissuto. Marita aveva ragione. Forse se lui fosse stato lì questo non sarebbe successo. Lui se n’era andato nel tentativo di evitare che la sua famiglia morisse di fame, e durante la sua assenza le cose erano precipitate. Il senso di colpa non sostituì però il dolore o la rabbia. Vi aggiunse solo forza. Tutto ribolliva in Berin, come un qualcosa di vivo che lottava per uscire.
“E Ceres?” chiese. Scosse ancora Marita per le spalle. “Dimmelo! La verità questa volta. Cos’hai fatto?”
Ma Marita si ritrasse di nuovo e questa volta cadde carponi a terra, rannicchiandosi e evitando di guardarlo. “Scoprilo da te. Sono stata io quella che ha dovuto sopportare tutto questo. Io, non tu.”
C’era una parte di Berin che avrebbe voluto continuare a scuoterla fino a che non gli avesse dato una risposta. Che voleva costringerla a dire la verità a tutti i costi. Ma lui non era quel genere di uomo e sapeva che non avrebbe mai potuto farlo. Anche solo il pensiero lo disgustava.
Non prese niente da casa quando se ne andò. Non c’era niente che lui desiderasse lì. Mentre guardava Marita, così totalmente chiusa nella sua personale amarezza da aver ceduto il proprio figlio, da aver cercato di mascherare ciò che era accaduto ai loro figli, gli fu difficile credere che ci fosse mai stato qualcosa di importante per lui lì.
Berin uscì all’aria aperta spazzando via con un colpo di palpebre ciò che era rimasto delle sue lacrime. Fu solo quando la luce del sole lo colpì che si rese conto di non avere idea di cosa fare adesso. Cosa poteva fare? Non c’era modo di aiutare il suo figlio più grande, non adesso, mentre gli altri potevano essere ovunque.
“Non ha importanza,” si disse. Poteva sentire la determinazione dentro di sé che si trasformava in qualcosa di simile al ferro che lui era solito lavorare. “Non mi fermo qui.”
Magari qualcuno là attorno aveva visto dove erano andati. Certamente c’era qualcuno che sapeva dove si trovava l’esercito e Berin sapeva benissimo che un uomo che costruiva spade poteva sempre trovare un modo per avvicinarsi all’esercito.
Per quanto riguardava Ceres… ci sarebbe stato qualcosa. Doveva essere da qualche parte. Perché l’alternativa era impensabile.
Berin guardò verso la campagna che circondava la sua casa. Ceres era là fuori da qualche parte. E anche Sartes. Disse a voce alta le parole successive, perché farlo sembrava trasformare tutto in una promessa a se stesso, al mondo, ai suoi figli.
“Vi troverò entrambi,” giurò. “A qualsiasi costo.”
CAPITOLO QUATTRO
Respirando affannosamente Sartes correva tra le tende dell’esercito stringendo in pugno la pergamena e asciugandosi il sudore dagli occhi, sapendo che se non fosse arrivato in fretta alla tenda del comandante lo avrebbero frustato. Correva e scansava gli ostacoli meglio che poteva, sapendo che il tempo stava per scadere. Aveva tardato ormai un po’ troppe volte.
Aveva già i segni neri sugli stinchi per le volte che aveva sbagliato, il dolore ormai solo uno in più tra i tanti altri. Sbatté le palpebre, disperato, guardandosi attorno nell’accampamento, cerando di trovare la giusta direzione in mezzo a quello sterminato reticolo di tende. C’erano segni e simboli per indicare la via, ma lui stava ancora cercando di imparare quegli schemi.
Sartes sentì qualcosa che gli prendeva il piede e si ritrovò ad inciampare. Il mondo parve capovolgersi mentre cadeva a terra. Per un momento pensò di essersi impigliato in una fune, ma poi sollevò lo sguardo e vide dei soldati che ridevano. Quello a capo del gruppo era un uomo più anziano con capelli corti e stopposi che si stavano ingrigendo e cicatrici che indicavano le tante battaglie fatte.
La paura allora pervase Sartes insieme a una certa forma di rassegnazione: quella era la vita nell’esercito per una matricola come lui. Non chiedeva di sapere perché gli altri uomini l’avessero fatto, perché dire qualsiasi cosa era un modo sicuro per finire a prenderle. Per quanto poteva capire, non c’era praticamente alcun motivo.
Si alzò quindi in piedi e si tolse di dosso alla meno peggio il fango dalla tunica.
“Cosa stai facendo, moccioso?” chiese il soldato che gli aveva fatto lo sgambetto.
“Sto portando una missiva al mio comandante, signore,” disse Sartes sollevando la pergamena per farla vedere all’uomo. Sperava che bastasse a metterlo al sicuro. Spesso non era così, nonostante le regole dicessero che gli ordini avevano la precedenza su qualsiasi altra cosa.
Dal momento in cui era arrivato lì, Sartes aveva imparato che l’esercito imperiale aveva un sacco di regole. Alcune erano ufficiali: lasciare il campo senza permesso, rifiutarsi di seguire gli ordini, tradire l’esercito e si era certi di essere picchiati. Ma c’erano anche altre regole. Meno ufficiali ma non meno pericolose da infrangere.
“E che missiva sarebbe?” chiese il soldato. Gli altri si stavano radunando lì attorno adesso. All’esercito mancava sempre qualche fonte di intrattenimento, quindi se c’era la prospettiva di un po’ di risate alle spese di una matricola, la gente faceva attenzione.
Sartes fece del suo meglio per apparire dispiaciuto. “Non lo so, signore. Ho solo ordine di consegnare questo messaggio. Potete leggerlo se volete.”
Quello era