Una Corona Per Gli Assassini . Морган Райс
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Il Maestro dei Corvi stava ad ammirare il risultato della battaglia, ascoltando il lieto silenzio che veniva dato solo dalla morte. Ascoltò i corvi mentre atterravano per iniziare il loro lavoro, e sentì il potere che iniziava a scorrergli dentro mentre consumavano la loro parte. Era un imbarazzante bocconcino confronto ad alcune delle battaglie precedenti, ma ci sarebbe stato di più a seguire.
Riportò la propria attenzione nelle sue creature, lasciando che parlassero con la sua voce.
“Questa città è mia,” disse. “Sottomettetevi o morirete. Consegnate tutti coloro che hanno la magia, o morirete. Fate come vi viene ordinato, o morirete. Ora non siete nulla, schiavi e meno che schiavi. Obbedite, e sarete risparmiati dal diventare cibo per i corvi per un po’. Disobbedite, e morirete.”
Mandò le sue creature in alto in aria a visionare la terra che avevano conquistato in quella prima parte dell’avanzata. Poteva vedere l’orizzonte allungarsi lontano da sé, con tutta la promessa di altra terra da conquistare, di altre morti per nutrire le sue bestiole.
Il Maestro dei Corvi normalmente non aveva visioni. Al meglio i suoi corvi gli davano sufficienti dettagli per ipotizzare quello che sarebbe successo. Lui non era la strega della fontana, capace di cogliere tratti del futuro, e neanche lei era stata capace di prevedere la propria morte. Ora però la visione gli arrivò improvvisa, trasportata dalle ali delle sue creature.
Vide un bambino accoccolato tra le braccia della madre, e riconobbe all’istante la nuova regina del regno. Vide del pericolo in quel bambino, e più che semplice pericolo. La morte che aveva tenuto da parte così a lungo con le vite degli altri, lo minacciava ora nell’ombra di quel neonato. Il piccolo allungò le mani per afferrarlo, con l’innocenza di un bambino, e il Maestro dei Corvi arretrò, rifuggendo rapidamente in se stesso.
Rimase fermo al centro della cittadina che aveva conquistato, scuotendo la testa.
“Va tutto bene, mio signore?” chiese il suo aiutante.
“Sì,” disse il Maestro dei Corvi, perché se ammetteva la sua debolezza, avrebbe dovuto uccidere quell’uomo. Se fosse trapelato anche solo un accenno della paura che gli era nata dentro, allora tutto ciò che vedeva avrebbe dovuto morire. Sì, era un pensiero…
“Ho cambiato idea,” disse. “Risparmieremo la conquista della prossima cittadina. Radete al suolo questa. Uccidete ogni abitante, uomo, donna… o bambino che tenga tra le braccia. Non lasciate intera una singola pietra.”
L’aiutante non mise nulla in discussione, proprio come aveva fatto il capitano che si era messo all’inseguimento dei fuggitivi.
“Faremo come ordinate, mio signore,” promise.
Il Maestro dei Corvi non aveva dubbio che l’avrebbero fatto. Lui ordinava e la gente moriva in risposta. Se c’era un bambino che era una minaccia per lui… beh, quel bambino poteva morire. Insieme a sua madre.
CAPITOLO TRE
Emeline era al centro di Casapietra e cercava di contenere parte della sua frustrazione mentre guardava tutti gli abitanti riuniti attorno al cerchio di pietre. Cora e Aidan erano vicino a lei, cosa che le dava un certo sostegno, ma dato che tutti gli altri le stavano schierati contro, non le pareva poter servire a molto.
“Sofia ci ha mandati a convincervi di tornare ad Ashton,” disse Emeline, concentrata sul punto in cui sedevano Asha e Vincente. Quante volte avevano fatto questa discussione ormai? Ci era voluto tutto questo tempo, solo per arrivare al punto di discuterlo tutti insieme nel cerchio. “Non c’era bisogno che tornaste a Casapietra dopo la battaglia. Sofia sta costruendo un regno dove quelli come noi sono liberi, e non abbiamo nulla da temere.”
“C’è sempre qualcosa da temere fintanto che esistono coloro che ci odiano,” ribatté Asha. “Avrebbe potuto ordinare alle chiese della Dea Mascherata di stare zitte. Avrebbe potuto far impiccare i loro macellai per i crimini commessi.”
“E questo avrebbe ridato vita alle guerre civili,” disse Cora accanto ad Emeline.
“Meglio una guerra che vivere accanto a coloro che ci odiano,” disse Asha. “Chi ci ha fatto queste cose non potrà mai essere perdonato.”
Vincente la mise in termini più misurati, ma non fu di maggiore aiuto. “Questo è un posto dove abbiamo costruito una comunità, Emeline. È un posto dove possiamo stare certi di essere al sicuro. Non ho dubbi che Sofia abbia buone intenzioni, ma non è la stessa cosa che essere in grado di cambiare le cose.”
Emeline dovette sforzarsi di respingere l’urgenza di urlare loro addosso per la stupidità che dimostravano. Cora doveva essersene accorta, perché le posò una mano sul braccio.
“Andrà tutto bene,” le sussurrò. “Alla fine vedranno il senso.”
“Quello che tu chiami senso,” rispose di colpo Asha dall’altra parte del cerchio di pietra, “io lo chiamo un tradimento della nostra gente. Siamo al sicuro qui, non fuori nel mondo.”
Emeline le lanciò un’occhiata arrabbiata. Asha non poteva aver sentito il sussurro di Cora da lì, il che significava che aveva letto nella sua mente. Era una cosa più che maleducata; era pericoloso, soprattutto dato che era stata proprio Asha ad insegnare ad Emeline come togliere i ricordi alla gente.
“La gente è libera di andare e venire se desidera,” disse Vincente. “Se Sofia creerà davvero un mondo dove quelli come noi saranno liberi, la gente verrà di propria volontà, senza bisogno di emissari.”
“E quanto tempo ci vorrà?” rispose Emeline. “Come sembrerà quando tutti coloro che hanno i poteri se ne staranno nascosti, come imbarazzati? Sembrerà come se non fossimo una minaccia, o lascerà piuttosto spazio alla possibilità che le persone possano affermare che stiamo complottando segretamente? Un incentivo alla rinascita di antiche dicerie?”
La cosa più difficile nella folla che li circondava era che per Emeline era impossibile valutare che effetto stessero avendo le sue parole. Con un’altra folla avrebbe potuto usare la sua mente per percepire la sensazione dei loro pensieri, o al massimo sentirli parlare tra loro. Qui le conversazioni erano cose silenziose fatte di pensieri che lampeggiavano avanti e indietro, ben indirizzati e impossibili da carpire.
“Forse hai ragione,” disse Vincente.
“Loro no,” rispose Asha. “Sono loro che ci hanno tolto la sicurezza, facendo in modo che la gente sappia dove ci troviamo.”
“Non l’abbiamo detto a nessuno,” disse Cora.
Asha sbuffò. “Come se non potessero averlo preso dalla tua testa. Se non fossi stata mandata dalla regina, prenderei ogni pensiero che hai al riguardo.”
“No,” disse Aidan, mettendo una mano protettiva sulla spalla di Cora. “Non lo faresti.”
Vincente si alzò in piedi, la sua altezza sufficientemente impressionante da calmare la situazione. “Basta bisticciare. Asha, le nuove difese saranno sufficienti a proteggerci, anche se la gente dovesse trovarci. Per quanto riguarda il resto… suggerisco di fare una veduta.”
“Una veduta?” chiese Emeline.
Vincente