Per Sempre e Oltre . Sophie Love

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Per Sempre e Oltre  - Sophie Love La Locanda di Sunset Harbor

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stessa che hai venduto a Rico?” disse Emily. “Sì.”

      La locanda in origine era una pensione, prima che i proprietari la abbandonassero. La storia di Roy nella casa rispecchiava quella di Emily al contrario. Lui aveva voluto che diventasse una casa per una famiglia, un rifugio per le vacanze estive. Emily l’aveva ritrasformata in una pensione, in un’attività.

      “Non ci credo che l’abbia tenuta per tutti questi anni,” disse sorpreso, continuando a fissare la scrivania. Poi portò lo sguardo su Emily. “Ti ricordi il giorno in cui gliel’ho venduta?”

      Emily scosse la testa silenziosamente.

      “Non volevi proprio che la vendessi,” disse con una risatina. “Avevi messo una Barbie in ogni cassetto. Avevi detto che era l’ospedale delle bambole.”

      “Credo di ricordarmelo, in effetti,” rispose Emily con un po’ di malinconia.

      “Rico è stato gentilissimo,” aggiunse Roy. “Ti ha aiutata a ‘trasferire’ le tue ‘pazienti’ in un altro posto. Credo che tu abbia scelto la credenza sotto al lavandino.” Si fece anche lui un po’ pensieroso, e distolse l’attenzione dalla reception per tornare al rinnovo dei locali. “È davvero incredibile. Hai fatto un lavoro fantastico.”

      L’orgoglio che gli sentiva nella voce le diede una scossa al cuore. Quel momento era molto più di quanto si aspettasse. Era perfetto.

      “Vuoi fare un giro?” chiese.

      Roy annuì. Emily lo condusse prima in cucina. Lì sentirono abbaiare i cani dalla lavanderia.

      “Non so di che cosa occuparmi prima,” esclamò Roy osservando la cucina rimessa completamente a nuovo, con gli elettrodomestici e le decorazioni retrò. “Della meravigliosa ristrutturazione o del fatto che hai dei cani!”

      “Lei è Mogsy e lui è Rain, il suo cucciolo!” annunciò Chantelle aprendo la porta della lavanderia per permettere ai due di correre in cucina.

      Si precipitarono da Roy, annusandolo e cercando di leccargli le guance. Roy rise – le sottili rughe che aveva sul viso si fecero più pronunciate – e li grattò entrambi dietro alle orecchie.

      “Di solito non lasciamo che corrano per la cucina,” spiegò Emily. “Ma dato che è un’occasione speciale…”

      Le si spezzò la voce quando tornò la fitta di malinconia che aveva provato prima. Essere lì con suo padre non avrebbe dovuto essere “speciale”; era così perché lui se n’era andato.

      Dalla sua posizione accovacciata lui alzò lo sguardo su di lei, con espressione colma di rimorso.

      Tutto in una volta Emily provò una forte rabbia. Una parte di lei seppellita in profondità stava cominciando a risalire.

      “Andiamo in sala da pranzo,” disse, di fretta, volendo evitare che emergesse.

      Andarono nella stanza col grande tavolo di quercia. Roy notò subito che il pesante drappo che un tempo era appeso sulla porta della sala da ballo non c’era più.

      “Hai trovato la sala da ballo,” disse.

      Il commento irritò Emily ulteriormente. Non stavano mica giocando a nascondino. Sentì il calore salirle alle guance.

      “L’ho trovata. L’ho ristrutturata. Presto mi ci sposerò,” disse mentre percorrevano il corridoio dal basso soffitto e uscivano nell’immensa sala.

      Sentì la stizza trasparirle dalla voce e fece un respiro profondo per calmarsi.

      “Be’, è bellissima,” disse Roy, ignaro della crescente rabbia della figlia o ancora restio ad affrontarla. “Mi sorprende che le vetrate colorate siano in condizioni così buone dopo tutto questo tempo.”

      “Le ha restaurate George, l’amico di Daniel,” spiegò Emily.

      “George?” disse Roy sollevando le sopracciglia. “Mi ricordo quando era alto così.” Si portò la mano all’altezza della vita.

      Emily si accorse che Sunset Harbor era una città più di suo padre che sua, che conosceva la gente del posto meglio di lei, che negli anni in cui aveva vissuto lì aveva piantato più radici di quante potesse mai sperare di piantarne lei. Una gelosia tutta nuova si fece strada strisciando nel complesso misto di sentimenti che stava già cercando di tenere a debita distanza. Fece del suo meglio per mantenere in viso un’espressione neutra.

      Dopo salirono al piano superiore, ed Emily mostrò a Roy la camera padronale, la stanza che una volta era sua e di Patricia e poi, presumibilmente, sua e di Antonia, quando la donna veniva a fargli visita, prima di diventare alla fine sua e di Daniel.

      “Questa è fantastica,” esclamò Roy. “I colori sono freschissimi.”

      A lui piacevano molto di più i colori scuri, quelle tonalità cremisi e blu che lei aveva usato per le camere degli ospiti. Il bianco brillante e il celeste chiaro andavano molto più incontro ai colori di sua madre, ed Emily, guardando camera sua, si accorse per la prima volta che i suoi gusti erano un misto perfetto di quelli di entrambi. Il debole di Roy per le antichità – il letto enorme, il mobile della toeletta, l’ottomana – e la pulizia di Patricia nei colori bianchi. A Emily parve di guardare la sua stanza con occhi nuovi.

      “Camera mia è accanto,” disse Chantelle.

      Emily fu sollevata dalla distrazione. Condusse Roy fuori dalla stanza fin dentro quella di Chantelle, dove lui ammirò il delizioso mobilio inciso con immagini di animali che Emily aveva comprato alla bambina. Chantelle danzava per la stanza, esibendo con orgoglio lo scaffale con i libri, il guardaroba pieno di vestiti, la pila di adorabili giocattoli, il muro con le sue opere d’arte.

      “Chantelle, hai una camera proprio carina,” disse Roy con gentilezza, ricordando a Emily quel dolce modo di fare che aveva con i bambini, la delicatezza con cui le parlava quando era ancora nella sua vita.

      Chantelle sorrise di soddisfazione.

      “Hai deciso di non metterla nella stanza che condividevate tu e Charlotte?” disse. “La stanza dei giochi con il mezzanino?”

      Emily provò una piccola fitta di dolore al petto nel sentirlo fare riferimento alla stanza che aveva da bambina. Lui l’aveva chiusa a chiave dopo la morte di Charlotte, costringendo Emily a cambiare stanza. Quello era stato il primo segnale, capì in quel momento Emily, che suo padre non avrebbe processato la morte di Charlotte, che invece sarebbe stata lo stimolo ad abbandonarla.

      “Quella è la suite matrimoniale,” spiegò Daniel prendendo il comando, dato che Emily rimaneva muta. “Il mezzanino attira clienti. E poi volevamo Chantelle vicino.”

      L’emozione cominciava a essere troppa per Emily. Non aveva idea che fosse possibile provare così tante cose complesse e in conflitto tra di loro in una volta sola. Improvvisamente le venne in mente che una volta terminato il giro della casa, una volta che si fossero andati a sedere nel soggiorno faccia a faccia, avrebbe scatenato un’esplosione di rabbia contro suo padre.

      D’un tratto sentì la mano del padre sul braccio, lì a fermarla, a rassicurarla. Lei guardò nei suoi occhi azzurri, ci vide dentro il dolore e il rimorso, insieme a un totale sollievo. Senza parole le stava dicendo che andava tutto bene, che comprendeva la sua rabbia. Non

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