Per Sempre e Oltre . Sophie Love
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Читать онлайн книгу Per Sempre e Oltre - Sophie Love страница 6
“Vivo da solo,” rispose triste Roy. “Da quando me ne sono andato. Non volevo causare dolore a nessun altro. Non riuscivo a sopportare di avere gente intorno.”
Per la prima volta Emily cominciò a provare compassione per suo padre – se lo immaginava solo, a vivere come un eremita. Iniziò ad avere la sensazione di aver lasciato uscire tutto il dolore che doveva, di averlo incolpato abbastanza da essere finalmente in grado di stare a sentire la sua versione. Si sentì ripulire da un’ondata catartica.
“È per questo che non uso la tecnologia moderna,” proseguì Roy. “In città c’è una cabina telefonica che uso per telefonare, molto raramente. L’ufficio postale del posto mi informa se qualcuno ha risposto al mio annuncio come orologiaio. Quando mi sento abbastanza forte vado alla biblioteca a controllare le email per vedere se mi hai scritto.”
Emily si bloccò, accigliata. La cosa la sorprese. “Davvero?”
Roy annuì. “Ti ho lasciato degli indizi, Emily Jane. Ogni volta che tornavo in casa lasciavo una nuova briciola di pane perché tu la trovassi. L’indirizzo email è stato il passo più grande che ho fatto, perché sapevo che non appena lo avessi trovato si sarebbe aperta una linea diretta tra te e me. Ma l’ansia dell’attesa era insopportabile. Quindi mi sono limitato a pochi controlli l’anno. Quando ho ricevuto la tua email ho preso subito un volo per tornare qui.”
Emily capì allora che era quella la ragione per quei mesi in più di ansia che le aveva fatto patire dopo che era venuta a sapere che era ancora vivo e l’aveva contattato. Non la stava ignorando né evitando – semplicemente non aveva visto l’email.
“È vero?” gli chiese con voce forzata mentre le lacrime le riempivano gli occhi. “Sei davvero venuto qui non appena hai visto che ti avevo scritto?”
“Sì,” rispose Roy con la voce che era appena un sospiro. Anche le sue, di lacrime, avevano ripreso a scorrere. “Ho sperato, desiderato, sognato che mi scrivessi. Ho pensato che un giorno saresti tornata qui, quando fossi stata pronta. Ma sapevo anche che saresti stata arrabbiata con me. Volevo che l’iniziativa fosse tua. Volevo che fossi tu a metterti in contatto con me perché non volevo intromettermi nella tua vita. Pensavo che se fossi andata avanti senza di me sarebbe stato meglio lasciare le cose così.”
“Oh, papà,” gemette Emily.
Qualcosa, alla fine, uscì dal profondo di Emily. Qualcosa nell’ultima e finale ammissione spezza cuore venuta da suo padre era ciò che aveva sempre avuto bisogno di sapere. Che stava aspettando che lei facesse il primo passo. Non la stava evitando, non si stava nascondendo; le aveva lasciato degli indizi in fede che una volta che lei avesse messo insieme tutti i pezzi avrebbe deciso autonomamente se poteva perdonarlo per poi lasciarlo entrare nella sua vita.
Emily si alzò in piedi e corse al sofà che aveva di fronte, buttandogli le braccia al collo. Singhiozzò contro la sua spalla, dei singhiozzi profondi che le scossero tutto il corpo. Roy si aggrappò a lei, tremando anche lui dallo sfogo di dolore.
“Mi dispiace così tanto,” disse soffocando, con la voce smorzata dai capelli di Emily. “Mi dispiace tanto, tantissimo.”
Rimasero così a lungo, tenendosi l’uno con l’altra, lasciando andare ogni lacrima dovuta, facendo uscire il dolore fino all’ultima goccia. Alla fine il pianto cessò. Tutto si fece silenzio.
“Hai altre domande?” disse alla fine con calma Roy. “Non ti terrò segreto più niente. Non ti nasconderò nulla.”
Emily era esausta, svuotata da tutte le emozioni. Il petto di suo padre si sollevava e abbassava a ogni suo profondo respiro. Era così stanca che le pareva di potersi addormentare proprio lì, tra le sue braccia. Però, allo stesso tempo, aveva ancora un milione di domande che le vorticavano nella mente – ma una era più importante delle altre.
“La notte in cui è morta Charlotte…” cominciò. “La mamma mi ha detto delle cose, ma è solo la sua versione. Cos’è successo?”
L’abbraccio di Roy si strinse. Emily sapeva che gli era difficile riportare alla mente quella notte, ma voleva disperatamente conoscere la verità, o almeno la versione dei fatti di suo padre. Forse sarebbe stata in grado di mettere insieme le tre parti – quella di Patricia, quella di Roy e la sua – e creare qualcosa che avesse un senso.
“Vi ho portate qui per il Ringraziamento e il Natale,” cominciò Roy. “Le cose con tua madre non andavano bene, quindi lei è rimasta a casa. Ma poi avete preso tutte e due l’influenza.”
“Credo di ricordarmelo,” disse Emily. Tornò a un ricordo d’infanzia in cui aveva avuto la febbre. “C’era il cane di Toni, Persefone. Sono crollata in corridoio.”
Roy annuiva, ma sembrava imbarazzato. Emily il perché lo sapeva; era stato un momento cruciale nella sua relazione con Toni, il momento in cui aveva avuto tanta faccia tosta da far incrociare la vita della sua amante con quella delle figlie.
“Ti ricordi che tua madre è venuta qui senza avvertire?” chiese Roy.
Emily fece di no con la testa.
“Voleva venire per seguirvi, dato che stavate molto male.”
“Non è una cosa che la mamma farebbe,” disse Emily.
Roy rise. “No, non lo è. Magari era una scusa. Sospettava che avessi una relazione e voleva presentarsi qui per cogliermi in fallo.”
Emily annuì mogia. Questo era più lo stile di sua madre.
“Devi aver rimosso il litigio, perché sono sicuro che abbiamo gridato tanto da farci sentire fin giù al porto.” Si strinse nelle spalle. “Non lo so se è stato questo a svegliare Charlotte. Prendeva delle medicine che la intontivano. Tutte e due le prendevate. Ma lei si è svegliata e immagino che si sia un po’ confusa mentre ci cercava, o solo che si sentisse male. È finita nella dépendance con la piscina. Immagino che il resto tu lo conosca.”
Il resto lo conosceva. Ma quello che non aveva capito era che piccolissimo ruolo avesse avuto lei in ciò che era accaduto. Non era stata colpa sua se non si era svegliata quando l’aveva fatto Charlotte per impedirle di andarsene in giro. Non era stata colpa sua se aveva parlato con tanto entusiasmo della piscina nuova da far venire voglia alla sorellina di andare a vederla. Era malata, confusa, forse anche terrorizzata per via del litigio dei suoi genitori. Non aveva nessuna colpa. Neanche una.
Emily provò un improvviso sollievo. Il peso che non si era neanche accorta di aver portato con sé le si sollevò dalle spalle. Era rimasta aggrappata al senso di colpa per la morte di Charlotte, anche dopo che sua madre le aveva chiarito che la colpa non era sua. Adesso le parve che suo padre le avesse dato il permesso di lasciar andare la colpa.
Si accoccolò contro di lui, mentre una nuova sensazione di pace metteva radici dentro di lei.
Proprio allora la calma venne interrotta da dei colpi alla porta. Daniel fece capolino nella stanza.
“Daniel, vieni,” disse Emily facendogli cenno di entrare. Adesso che lei e suo padre avevano portato tutto alla luce lo voleva lì con sé. Aveva bisogno del suo sostegno.
Lui entrò e si sedette sull’orlo del sofà di fronte a loro. Emily si asciugò le lacrime dalle ciglia, ma rimase aggrappata al padre, appallottolata accanto a lui come una bambina.
“Avete