Il fu Mattia Pascal. Луиджи Пиранделло

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il fu Mattia Pascal - Луиджи Пиранделло страница 9

Il fu Mattia Pascal - Луиджи Пиранделло

Скачать книгу

lei, intanto, ecco: buttata lì su una poltrona, rivoltata da continue nausee; pallida, disfatta, imbruttita, senza più un momento di bene, senza più voglia neanche di parlare o d’aprir gli occhi.

      Colpa mia anche questa? Pareva di sì. Non mi poteva più nè vedere nè sentire. E fu peggio, quando per salvare il podere della Stìa, col molino, si dovettero vendere le case, e la povera mamma fu costretta a entrar nell’inferno di casa mia.

      Già, quella vendita non giovò a nulla. Il Malagna, con quel figlio nascituro, che lo abilitava ormai a non aver più nè ritegno nè scrupolo, fece l’ultima: si mise d’accordo con gli strozzini, e comprò lui, senza figurare, le case, per pochi bajocchi. I debiti che gravavano su la Stìa restarono così per la maggior parte scoperti; e il podere insieme col molino fu messo dai creditori sotto amministrazione giudiziaria. E fummo liquidati.

      Che fare ormai? Mi misi, ma quasi senza speranza, in cerca di un’occupazione qual si fosse, per provvedere ai bisogni più urgenti della famiglia. Ero inetto a tutto; e la fama che m’ero fatta con le mie imprese giovanili e con la mia scioperataggine non invogliava certo nessuno a darmi da lavorare. Le scene poi, a cui giornalmente mi toccava d’assistere e di prender parte in casa mia, mi toglievano quella calma che mi abbisognava per raccogliermi un po’ a considerare ciò che avrei potuto e saputo fare. Mi cagionava un vero e proprio ribrezzo il veder mia madre, là, in contatto con la vedova Pescatore. La santa vecchietta mia, non più ignara, ma a gli occhi miei irresponsabile de’ suoi torti, dipesi dal non aver saputo credere fino a tanto alla nequizia degli uomini, se ne stava tutta ristretta in sè, con le mani in grembo, gli occhi bassi, seduta in un cantuccio, ma come se non fosse ben sicura di poterci stare, lì a quel posto, come se fosse sempre in attesa di partire, di partire tra poco ― se Dio voleva! E non dava fastidio neanche all’aria. Sorrideva ogni tanto a Romilda, pietosamente; non osava più di accostarsele; perchè, una volta, pochi giorni dopo la sua entrata in casa nostra, essendo accorsa a prestarle ajuto, era stata sgarbatamente allontanata da quella strega.

      – Faccio io, faccio io; so quel che debbo fare.

      Per prudenza, avendo Romilda veramente bisogno d’ajuto in quel momento, m’ero stato zitto; ma spiavo perchè nessuno le mancasse di rispetto.

      M’accorgevo intanto che questa guardia ch’io facevo a mia madre irritava sordamente la strega e anche mia moglie, e temevo che, quand’io non fossi in casa, esse, per sfogar la stizza e votarsi il cuore della bile, la maltrattassero. Sapevo di certo che la mamma non mi avrebbe detto mai nulla. E questo pensiero mi torturava. Quante, quante volte non le guardai gli occhi per vedere se avesse pianto! Ella mi sorrideva, mi carezzava con lo sguardo, poi mi domandava:

      – Perchè mi guardi così?

      – Stai bene, mamma? Mi faceva un atto appena appena con la mano e mi rispondeva:

      – Bene; non vedi? Va’ da tua moglie, va’; soffre, poverina.

      Pensai di scrivere a Roberto, a Oneglia, per dirgli che si prendesse lui in casa la mamma, non per togliermi un peso che avrei tanto volentieri sopportato anche nelle ristrettezze in cui mi trovavo, ma per il bene di lei unicamente.

      Berto mi rispose che non poteva; non poteva perchè la sua condizione di fronte alla famiglia della moglie e alla moglie stessa era penosissima, dopo il nostro rovescio: egli viveva ormai su la dote della moglie, e non avrebbe dunque potuto imporre a questa anche il peso della suocera. Del resto, la mamma ― diceva ― si sarebbe forse trovata male allo stesso modo in casa sua, perchè anche egli conviveva con la madre della moglie, buona donna, sì, ma che poteva diventar cattiva per le inevitabili gelosie e gli attriti che nascono tra suocere. Era dunque meglio che la mamma rimanesse a casa mia; se non altro, non si sarebbe così allontanata negli ultimi anni dal suo paese e non sarebbe stata costretta a cangiar vita e abitudini. Si dichiarava infine dolentissimo di non potere, per tutte le considerazioni esposte più su, prestarmi un anche menomo soccorso pecuniario, come con tutto il cuore avrebbe voluto.

      Io nascosi questa lettera alla mamma. Forse se l’animo esasperato in quel momento non mi avesse offuscato il giudizio, non me ne sarei tanto indignato; avrei considerato, per esempio, secondo la natural disposizione del mio spirito, che se un usignuolo dà via le penne della coda, può dire: mi resta il dono del canto; ma se le fate dar via a un pavone, le penne della coda, che gli resta? Rompere anche per poco l’equilibrio che forse gli costava tanto studio, l’equilibrio per cui poteva vivere pulitamente e fors’anche con una cert’aria di dignità a le spalle de la moglie, sarebbe stato per Berto sacrifizio enorme, una perdita irreparabile. Oltre a la bella presenza, alle garbate maniere, a quella sua impostatura d’elegante signore, non aveva più nulla, lui, da dare alla moglie neppure un briciolo di cuore, che forse la avrebbe compensata del fastidio che avrebbe potuto recarle la povera mamma mia. Mah! Dio l’aveva fatto così; gliene aveva dato pochino pochino, di cuore. Che poteva farci, povero Berto?

      Intanto le angustie crescevano; e io non trovavo da porvi riparo. Furon venduti gli ori della mamma, cari ricordi. La vedova Pescatore, temendo che io e mia madre fra poco dovessimo anche vivere sulla sua rendituccia dotale di quarantadue lire mensili, diventava di giorno in giorno più cupa e di più fosche maniere. Prevedevo da un momento all’altro un prorompimento del suo furore, contenuto ormai da troppo tempo, forse per la presenza e per il contegno della mamma. Nel vedermi aggirar per casa come una mosca senza capo, quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta. Uscivo per levar la corrente e impedire la scarica. Ma poi temevo per la mamma, e rincasavo.

      Un giorno, però, non feci a tempo. La tempesta, finalmente, era scoppiata, e per un futilissimo pretesto: per una visita delle due vecchie serve alla mamma.

      Una di esse, non avendo potuto metter nulla da parte, perchè aveva dovuto mantenere una figlia rimasta vedova con tre bambini, s’era subito allogata altrove a servire; ma l’altra, Margherita, sola al mondo, più fortunata, poteva ora riposar la sua vecchiaja, col gruzzoletto raccolto in tanti anni di servizio in casa nostra. Ora pare che con queste due buone donne, già fidate compagne di tanti anni, la mamma si fosse pian piano rammaricata di quel suo misero e amarissimo stato. Subito allora Margherita, la buona vecchierella che già l’aveva sospettato e non osava dirglielo, le aveva profferto d’andar via con lei, a casa sua: aveva due camerette pulite, con un terrazzino che guardava il mare, pieno di fiori: sarebbero state insieme, in pace: oh, ella sarebbe stata felice di poterla ancora servire, di poterle dimostrare ancora l’affetto e la devozione che sentiva per lei.

      Ma poteva accettar mia madre la profferta di quella povera vecchia? Donde l’ira della vedova Pescatore.

      Io la trovai, rincasando, con le pugna protese contro Margherita, la quale pur le teneva testa coraggiosamente, mentre la mamma, spaventata, con le lagrime agli occhi, tutta tremante, si teneva aggrappata con ambo le mani all’altra vecchietta, come per ripararsi.

      Veder mia madre in quell’atteggiamento e perdere il lume degli occhi fu tutt’uno. Afferrai per un braccio la vedova Pescatore e la mandai a ruzzolar lontano. Ella si rizzò in un lampo e mi venne incontro, per saltarmi addosso; ma s’arrestò di fronte a me.

      – Fuori! ― mi gridò. ― Tu e tua madre, via! Fuori di casa mia!

      – Senti, ― le dissi io allora, con la voce che mi tremava dal violento sforzo che facevo su me stesso, per contenermi. ― Senti: vattene via tu, or ora, con le tue gambe, e non cimentarmi più. Vattene, per il tuo bene! vattene!

      Romilda, piangendo e gridando, si levò dalla poltrona e venne a buttarsi tra le braccia della madre:

      – No! Tu con me, mamma! Non mi lasciare, non mi lasciare qua sola!

      Ma quella degna madre la respinse, furibonda:

      – L’hai voluto? tientelo

Скачать книгу