Assassinio in villa. Фиона Грейс

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Assassinio in villa - Фиона Грейс

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che Tom potesse rispondere, il campanello della porta tintinnò e un gruppo di circa dieci turisti giapponesi si riversò nel negozio. Tom scattò in piedi.

      “Oh-oh, clienti.” Guardò Lacey. “Prenderemo un biglietto sostitutivo per quell’appuntamento, ok?”

      Con la sua solita sicurezza disinvolta, Tom andò verso il bancone, lasciando Lacey con le parole incastrate in gola.

      Con il negozio ora pieno zeppo di turisti, l’ambiente era diventato chiassoso e trafficato. Lacey tentò di tenere d’occhio Tom mentre si gustava la sua pausa delle undici, ma l’uomo era occupato con le ordinazioni per il gruppetto di clienti.

      Quando ebbe finito, Lacey tentò di fargli un gesto di saluto, ma lui si era ritirato in cucina e non la vide.

      Sentendosi un po’ delusa, e con la pancia estremamente piena, uscì allora dalla pasticceria e tornò in strada.

      Poi si fermò, incuriosita da un negozio vuoto di fronte alla pasticceria, dall’altra parte della strada. Le suscitò una tale emozione dentro, che quasi le levò il fiato. Il negozio era stato qualcosa un tempo, qualcosa che i più profondi recessi della sua memoria infantile volevano assolutamente riportare alla mente. Qualcosa che le imponeva di guardare più da vicino.

      CAPITOLO QUATTRO

      Lacey sbirciò attraverso la vetrina del negozio vuoto, scandagliando la propria mente alla ricerca dei ricordi che le si erano risvegliati dentro, ma non vi trovò niente di concreto. Era più una sensazione che era stata risvegliata, qualcosa di più profondo di un sentimento di nostalgia, più vicino all’innamoramento.

      Guardando dalla vetrina, Lacey poteva vedere che l’interno del locale era vuoto e privo di illuminazione. Il pavimento era ricoperto da tavole di legno chiaro. C’erano un sacco di scaffali nelle varie nicchie e un grosso tavolo di legno addossato a una parete. Il lampadario che pendeva dal soffitto era antico e in ottone. Costoso, pensò Lacey. Di sicuro devono averlo lasciato lì per sbaglio.

      La porta del negozio, notò poi, non era chiusa a chiave. Lacey non poté trattenersi. Entrò.

      Subito le arrivò al naso un odore metallico mescolato a polvere e muffa, e in pronta risposta Lacey sentì un’altra scossa di nostalgia. L’odore era lo stesso che aleggiava nel negozio di antiquariato di suo padre.

      Lei aveva adorato quel posto. Da bambina aveva passato parecchio tempo in quel labirinto di tesori, giocando con le spaventose bambole di ceramica, leggendo ogni genere di fumetto da collezione per ragazzi, da Bunty a The Beano, a originali eccezionalmente rari e di valore dell’Orso Rupert. Ma la cosa che le piaceva di più fare era guardare i ciondoli e immaginare le vite e le personalità della gente a cui un tempo erano appartenuti. C’era una scorta infinita di piccole cianfrusaglie, oggettini e aggeggi vari, e ogni articolo aveva lo stesso strano odore di metallo-polvere-muffa che stava annusando adesso.

      Proprio come la vista del Crag Cottage accanto all’oceano le aveva risvegliato quel vecchio sogno d’infanzia di vivere vicino al mare, anche adesso ritrovò il sopito desiderio che aveva nutrito da bambina di gestire un suo negozio.

      Anche la disposizione dello spazio le ricordava il vecchio negozio di suo padre. Mentre si guardava attorno, immagini che provenivano dai più profondi recessi della sua memoria si sovrapposero a ciò che vedeva con i propri occhi, come un foglio di carta da lucido posato sopra a un disegno. Improvvisamente poté vedere gli scaffali pieni di bellissimi oggetti antichi – per lo più articoli da cucina in stile vittoriano, l’interesse principale di suo padre – e lì, sul bancone, l’ingombrante registro di cassa in ottone con i tasti rigidi che suo padre aveva insistito di voler usare, dato che “mantiene alta la concentrazione” e “affina le abilità nei calcoli a mente.” Sorrise sognante tra sé e sé mentre le parole di suo padre le risuonavano nelle orecchie e le immagini e i ricordi si dispiegavano davanti ai suoi occhi.

      Lacey era talmente persa nel suo sogno a occhi aperti, che non sentì i passi che avanzavano verso di lei dalla stanza sul retro. E non notò neppure l’uomo a cui quei passi appartenevano e che appariva ora alla porta – il volto accigliato – avanzando di gran marcia verso di lei. Fu solo quando sentì un colpetto sulla spalla che si rese conto di non essere sola.

      Il cuore le balzò in gola. Lanciò un gridolino di sorpresa e quasi schizzò fuori dalla propria pelle, ruotando su se stessa e fissando in faccia lo sconosciuto. Anziano, i capelli radi e bianchi, borse gonfie e violacee sotto agli occhi azzurri.

      “Posso aiutarla?” le chiese l’uomo con tono scontroso e poco amichevole.

      Lacey si portò una mano al petto. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che il fantasma di suo padre non si era appena materializzato davanti a lei picchiettandole la spalla, e che lei non era più effettivamente la bambina che se ne stava nel suo vecchio negozio, ma una donna adulta in vacanza in Inghilterra. Una donna adulta che attualmente era entrata abusivamente in una proprietà privata.

      “Oh, mio Dio, mi spiace tantissimo!” esclamò frettolosamente. “Non mi ero resa conto che qui ci fosse qualcuno. La porta era aperta.”

      L’uomo le lanciò un’occhiataccia pregna di scetticismo. “Non ha potuto notare che il negozio è vuoto? Qua dentro non c’è niente da comprare.”

      “Lo so,” continuò Lacey con esagerata animosità, disperatamente desiderosa di scagionarsi da ogni colpa e cancellare quel cipiglio di sospetto dal volto dell’uomo. “Ma non ho potuto trattenermi. Questo negozio mi ricordava un sacco quello di mio padre.” Con sua enorme sorpresa, si trovò improvvisamente con gli occhi traboccanti di lacrime. “Non lo vedo da quando ero bambina.”

      L’atteggiamento dell’uomo mutò in un istante. Passò dal cipiglio e dalla difensiva a modi più gentili e morbidi.

      “Su, su, su,” disse con cortesia, scuotendo la testa mentre Lacey si asciugava velocemente una lacrima. “Va tutto bene, mia cara. Tuo padre aveva un negozio come questo?”

      Lacey si sentì improvvisamente imbarazzata per aver liberato le proprie emozioni di fronte a quest’uomo, per non parlare del senso di colpa vedendo che invece di chiamare la polizia per farla cacciare dalla sua proprietà privata, ora stava invece reagendo come un abile terapeuta, con una sorta di compassione priva di giudizio, incoraggiamento e interesse. Ma Lacey non poté trattenersi. Si aprì totalmente e riversò tutti i propri sentimenti.

      “Vendeva articoli d’antiquariato,” spiegò, il sorriso che nuovamente le incurvava le labbra al pensiero di quei ricordi, anche se le lacrime le scendevano dagli angoli degli occhi. “L’odore qua dentro mi ha fatto provare una tale nostalgia, e tutto mi è tornato in mente. Il suo negozio aveva addirittura la stessa disposizione.” Indicò la stanza sul retro da cui l’uomo aveva fatto la sua comparsa. “Quella stanza veniva usata come magazzino, ma lui aveva sempre voluto trasformarla in una sala d’aste. Era molto lunga e si affacciava su un giardino.”

      L’uomo si mise a ridacchiare. “Vieni a vedere. Anche questa stanza è lunga e dà su un giardino.”

      Toccata dalla sua compassione, Lacey seguì l’uomo attraverso la porta entrando nella stanza. Era lunga e stretta, simile alla carrozza di un treno, e quasi identica alla sala dove suo padre aveva sognato di organizzare delle aste. Attraversando la stanza per lungo, Lacey arrivò a un giardino da fiaba. Era anch’esso stretto e lungo, e si dispiegava per circa venti metri. C’erano piante variopinte ovunque, e alberi piantati in posizioni strategiche, con grovigli di vegetazione

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