Uno, nessuno e centomila. Луиджи Пиранделло
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Diciamo dunque che è in noi ciò che chiamiamo pace. Non vi pare? E sapete da che proviene? Dal semplicissimo fatto che siamo usciti or ora dalla città; cioè, sí, da un mondo costruito: case, vie, chiese, piazze; non per questo soltanto, però, costruito, ma anche perché non ci si vive piú cosí per vivere, come queste piante, senza saper di vivere; bensí per qualche cosa che non c'è e che vi mettiamo noi; per qualche cosa che dia senso e valore alla vita: un senso, un valore che qua almeno in parte, riuscite a perdere, o di cui riconoscete l'affliggente vanità. E vi vien languore, ecco, e malinconia. Capisco, capisco. Rilascio di nervi. Accorato bisogno d'abbandonarvi. Vi sentite sciogliere, vi abbandonate.
IX. Nuvole e vento.
Ah, non aver piú coscienza d'essere, come una pietra, come una pianta! Non ricordarsi piú neanche del proprio nome! Sdraiati qua sull'erba, con le mani intrecciate alla nuca, guardare nel cielo azzurro le bianche nuvole abbarbaglianti che veleggiano gonfie di sole; udire il vento che fa lassú, tra i castagni del bosco, come un fragor di mare.
Nuvole e vento.
Che avete detto? Ahimè, ahimè. Nuvole? Vento? E non vi sembra già tutto, avvertire e riconoscere che quelle che veleggiano luminose per la sterminata azzurra vacuità sono nuvole? Sa forse d'essere la nuvola? Né sanno di lei l'albero e la pietra, che ignorano anche se stessi; e sono soli.
Avvertendo e riconoscendo la nuvola, voi potete, cari miei, pensare anche alla vicenda dell'acqua (e perché no?) che divien nuvola per divenir poi acqua di nuovo. Bella cosa, sí. E basta a spiegarvi questa vicenda un povero professoruccio di fisica. Ma a spiegarvi il perché del perché?
X. L'uccellino.
Sentite, sentite: su nel bosco dei castagni, picchi d'accetta. Giù nella cava, picchi di piccone.
Mutilare la montagna, atterrare alberi per costruire case. Là, nella vecchia città, altre case. Stenti, affanni, fatiche d'ogni sorta; perché? Ma per arrivare a un comignolo, signori miei; e per fare uscir poi da questo comignolo un po' di fumo, subito disperso nella vanità dello spazio.
E come quel fumo, ogni pensiero, ogni memoria degli uomini.
Siamo in campagna qua; il languore ci ha sciolto le membra; è naturale che illusioni e disinganni, dolori e gioie, speranze e desiderii ci appajano vani e transitorii, di fronte al sentimento che spira dalle cose che restano e sopravanzano ad essi, impassibili. Basta guardare là quelle alte montagne oltre valle, lontane lontane, sfumanti all'orizzonte, lievi nel tramonto, entro rosei vapori.
Ecco: sdrajato, voi buttate all'aria il cappellaccio di feltro: diventate quasi tragico; esclamate:
– Oh ambizioni degli uomini!
Già. Per esempio, che grida di vittoria perché l'uomo, come quel vostro cappellaccio, s'è messo a volare, a far l'uccellino! Ecco intanto qua un vero uccellino come vola. L'avete visto? La facilità piú schietta e lieve, che s'accompagna spontanea a un trillo di gioja. Pensare adesso al goffo apparecchio rombante e allo sgomento, all'ansia, all'angoscia mortale dell'uomo che vuol fare l'uccellino! Qua un frullo e un trillo; là un motore strepitoso e puzzolente, e la morte davanti. Il motore si guasta; il motore s'arresta; addio uccellino!
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