La Lista Dei Profili Psicologici. Juan Moisés De La Serna
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–Non lo so!― dissi, un po’ sconcertato, senza sapere se quello era una specie di scherzo o qualcosa del genere.
Sembrava che quella scatola non fosse stata persa, ma che fosse stata messa apposta per essere trovata da qualcun altro, una sorta di ‘messaggio nella bottiglia’,del quale avevo sentito raccontare delle storie, ma l’invito al balletto era molto strano, che fosse un appuntamento al buio?, ma, qualcuno sarà disposto ad andarci senza sapere con chi?
–Che delusione!―affermò la signora preparandosi a lasciare la seduta, ―tante speranze per nulla.
–Bene, penso che ora potrà dormire meglio sapendo cosa contiene― affermai con un sorriso forzato.
–Già!, bene, ma se almeno fosse stato un paio di scarpe, anche se di un numero diverso dal mio― protestó la signora.
–Prenda la sua scatola!― dissi, con l’intenzione di restituirgliela una volta richiusa e sistemato il tutto com’era.
–Non la voglio, che perdita di tempo!, addio― concluse la signora mentre chiudeva la porta alle sue spalle.
Uscii dietro di lei, cercando di farla tornare indietro per riprendersi la scatola e rimetterla dove l’aveva trovata, ma la signora non voleva saperne, e salendo sull’ascensore chiuse le porte in ferro e premette il pulsante per il piano terra.
Quella fu l’ultima volta che vidi la strana signora, che, lunghi dal cercare aiuto per il suo problema di accumulatrice seriale, aveva perso perfino il sonno per sapere cosa conteneva una scatola, questa sì, confezionata con gusto.
“Bene!, e io che pensavo di aver finito”, dissi tra me e me mentre tornavo nel mio studio, soddisfatto di aver fatto un’opera buona per una sconosciuta, “Ora potrà dormire tranquilla”.
Guardavo dalla finestra quando suonò l’orologio da parete così ben decorato, “Guarda un po’, si è fatto tardi”, pensai mentre mettevo le mani nella giacca per verificare di avere le chiavi dello studio.
“Ora sì che ho finito, per oggi”, dissi, mentre controllavo che il mio schedario fosse in ordine prima di lasciare il mio posto di lavoro, che era come una seconda casa, anche se, a dir la verità, passavo molto più tempo lì che dove abitavo.
Quelle quattro pareti, pieni di diplomi e di libri, erano diventate così familiari che quasi non mi rendevo conto di essere lì; soltanto quando qualcosa non era al suo posto sembrava rompersi l’equilibrio della stanza finchè non la rimettevo dove doveva stare.
All’improvviso, e sul punto di spegnere le luci, con la mano sull’interruttore, vidi sopra una sedia dello studio quella attraente scatola che aveva lasciato delusa la mia ultima paziente.
“A volte è più importante l’illusione che mettiamo su una cosa di ciò che possiamo davvero sperare da essa”, pensai,tenendo in conto le circostanze di quella signora che aveva perso perfino il sonno fantasticando su cosa potesse contenere quella scatola.
“Se solo le avesse datto un’occhiata prima, avrebbe evitato di rigirarsi così tanto nel letto”, riflettei su quello che avevo pensato di questa donna, “ma capisco che a volte l’illusione è l’unica cosa che ci interessa, e perrderla è molto difficile”.
La guardai e dissi tra me “e ora?”, ero in dubbio se liberarmene o lasciarla lì per vedere se il giorno dopo la donna sarebbe tornata a prendersela. Curioso percorsi la stanza, mi avvicinai a quella scatola e tornai ad aprire quell’attraente pacchetto così ben confezionato.
Cercai di verificare se ci fosse qualche altro oggetto nella carta da regalo che avvolgeva quei tre oggetti, ma non trovai nulla. Poi controllai se uno dei due pezzi di carta, il biglietto d’ingresso e la nota, avevano scritto qualcos’altro a parte l’ovvio e notai con sorpresa che l’ora del balletto era quel giorno stesso, entro circa un’ora.
“Bene!,almeno so dove trovare il proprietario di questa scatola!, ssarà meglio che gliela riporti, anche se non mi è chiara la ragione per cui abbandonare la scatola al suo destino. Quindi vado al ballo”, pensai deciso mentre raccoglievo la scatola, la chiudevo nel miglior modo possibile e uscivo dallo studio spegnendo le luci.
“Io al ballo?, Sono anni che non vado a un evento artistico come questo… molti anni”, pensai, cercando di ricordare l’ultima volta. Forse mi ero troppo concentrato sui miei pazienti, che trattavo come se si trattasse di un appuntantamento romantico, e quando venivano in ritardo senza avvisare, mi innervosivo.
Da tempo non andavo neppure in vacanza, poichè, in più di un’occasione, quando tornavo da un viaggio di piacere trovavo qualche paziente che era peggiorato, semplicemente perchè non aveva fatto la sua seduta settimanale con me.
Per questo, e per la mia ferma convinzione che la salute sia la prima cosa, abbandonai a poco a poco i viaggi che tanto mi piacevano. Non tanto a prendere il sole spaparanzato in qualche spiaggia dalla sabbia bianca, perchè sono chiaro di pelle e sotto i raggi del sole mi scotto subito, quanto per fare visite culturali in posti nuovi, addentrandomi nei loro musei.
Qualcosa che agli altri poteva sembrare noioso, per me era un fattore di arricchimento, vedere come pensavano e si comportavano ad altre latitudini, con riti e modi di esprimersi così caratteristici e particolari. Ma tutto questo è stato lasciato alle spalle e ciò che ne resta è a malapena qualche album di fotografie e nient’altro.
–Taxi!― gridai, non appena uscito dall’edificio dopo aver salutato il portriere, col quale avevo intrecciato un buon rapporto, anche se non avevo voluto intromettermi nei suoi affari personali, sebbene in qualche occasione avesse cercato di parlarmene.
A volte mi costava mantenere le distanze con gli altri, soprattutto quando sapevano della mia professione e volevano consultarmi per qualche problema proprio o di qualche familiare.
La verità è che non li biasimo, ma a volte diventava imbarazzante rifiutarmi di assisterli in mezzo a un corridoio o per strada, senza rendersi conto che esiste tutto un protocollo prestabilito, in modo che la persona fruisca della seduta col proprio tempo, il propio spazio e la propria tranquillità.
A nessuno verrebbe in mente di chiedere a un chirurgo di operarlo in mezzo alla strada, perchè è la stessa cosa che mi viene chiesto, di ‘operare l’anima’ in qualunque luogo.
–Taxi!― gridai ancora, mentre alzavo la mano.
–Dove vuole andare?― chiese il conducente quando salii sulla sua macchina.
–Al ballo, a vedere l’opera ―dissi mentre gli mostravo il biglietto che avevo tirato fuori dalla scatola, che avevo portato con me.
–Una bella serata?― chiese il tassista con un sorriso beffardo.
–Cosa?― chiesi, stupito per il suo gesto.
–Stanotte va a rimorchiare, questo è certo― rispose, mentre mi faceva l’occhiolino.
–Si riferisce alla scatola?― chiesi, notando che non la perdeva d’occhio ―ecco, non è mia, e la devo dare a qualcuno, ma non so a chi.
–Certo!, certo!― disse il tassista mentre si frugava nella camicia ―guardi, questa è mia moglie, siamo sposati già da dieci anni ed è stato in un posto come il suo. Ecco, è stato in un teatro, anche se a me non piacciono queste cose, ma a lei piace sistemarsi e andare nei posti