Il Volto della Paura. Блейк Пирс
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Il Volto della Paura - Блейк Пирс страница 4
“Beh, la mia è stata orribile. Ti va di rifarlo la prossima settimana?” rispose lui, pulendosi la bocca sorridente con un fazzolettino. Nonostante nei suoi occhi ci fosse una certa malizia, che si abbinava perfettamente ai lineamenti irregolari della sua bocca, le ci volle un po’ per capire che stava scherzando. Le sue parole la gelarono e le fecero pensare di aver rovinato tutto.
“Mi piacerebbe,” disse Zoe, annuendo e tenendo per sé le sue emozioni. “La prossima settimana andrà benissimo.”
Si alzò per uscire, sapendo già che lui si sarebbe rifiutato di farle pagare i novantotto dollari e trentadue centesimi della sua parte di conto, oltre alla mancia.
Sebbene ci avesse pensato, evitò di dire ad alta voce che sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a tener fede al loro appuntamento. Era un agente attivo dell’FBI, e ciò significava che era impossibile prevedere quando sarebbe spuntato fuori un nuovo caso, o dove sarebbe stato necessario recarsi.
La prossima settimana, a quest’ora, chissà dove avrebbe potuto essere.
Persino in questo preciso momento, un nuovo assassino probabilmente stava portando a termine il proprio delitto, creando uno schema per loro; e c’era sempre la possibilità che, stavolta, lei non sarebbe riuscita a capirlo. Zoe lottò contro la sensazione di disagio che si faceva strada nelle sue viscere, convincendosi in un certo senso di esserne certa: da qui a una settimana, sarebbe stata immersa in un caso che avrebbe fatto apparire tutti gli altri come un gioco da ragazzi.
CAPITOLO TRE
Zoe cambiò posizione, cercando di sistemarsi meglio sulla vecchia e comoda poltrona. Si stava abituando alla terapia, per quanto apparisse strano persino a lei.
Parlare con qualcuno dei suoi problemi personali, settimana dopo settimana, in passato sarebbe stata la sua personale idea dell’inferno, ma avere accanto la dottoressa Lauren Monk non era poi così male. Dopotutto, era stata proprio la dottoressa Monk a spingerla a uscire di più con John e quella, almeno finora, si era rivelata un’ottima decisione.
Da parte sua, quantomeno. Stava iniziando a chiedersi se John potesse dire la stessa cosa.
“Allora, parlami dell’appuntamento. Cos’è successo?” domandò la dottoressa Monk, sistemando il blocchetto d’appunti sulle ginocchia.
Zoe sospirò. “Non riuscivo a concentrarmi,” rispose. “I numeri prendevano il sopravvento. Riuscivo a pensare solo a quelli. Mi sono sfuggite frasi intere del suo discorso. Volevo dedicargli tutta la mia attenzione, ma non riuscivo a spegnere i numeri.”
La dottoressa Monk annuì con aria seria, portando la mano al mento. Da quando Zoe aveva vuotato il sacco a proposito della sua sinestesia – l’abilità di vedere numeri ovunque e in qualsiasi cosa, come ad esempio notare che la penna della dottoressa Monk avesse un peso superiore alla media per via della leggera inclinazione di quindici gradi che aveva mentre era posata sul bordo delle sue dita, rispetto a quello di una BIC – aveva trovato la terapia ancora più utile. Riuscire ad ammettere ciò che le capitava e le sue difficoltà era decisamente liberatorio.
C’erano poche persone al mondo che conoscevano la sua condizione. C’era la dottoressa Monk, e la dottoressa Francesca Applewhite, che era stata la mentore di Zoe sin dai suoi giorni al college. E poi c’era la sua partner all’FBI, l’Agente Speciale Shelley Rose.
E nessun altro. Non aveva neanche bisogno di tutte le sue dita per contarle. Quelle erano le uniche persone di cui si fosse mai fidata abbastanza da rivelare il proprio segreto, dalla prima volta in cui la sua condizione era stata diagnosticata da un dottore che non aveva mai più rivisto. Intenzionalmente. Per molto tempo, aveva pensato che fosse possibile, in qualche modo, fuggire o ignorare quella capacità che sua madre aveva definito “il dono del diavolo”.
Ma fino a quando la aiutava a risolvere crimini, Zoe non voleva che sparisse. Non più. Sarebbe soltanto utile riuscire a metterla in pausa mentre cercava di instaurare una relazione romantica, che non richiedeva misure specifiche del liquido contenuto in ogni bicchiere o della distanza tra gli occhi di John.
“Potrebbe essere utile riuscire a escogitare insieme dei modi per aiutarti ad “abbassare il volume”, a placare il tuo cervello, per così dire,” disse la dottoressa Monk. “È qualcosa che prenderesti in considerazione?”
Zoe annuì, sorpresa dal nodo che si era creato nella sua gola al pensiero di essere in grado di fare quanto detto dalla terapista. “Sì,” disse. “Sarebbe fantastico.”
“Perfetto.” La dottoressa Monk ci pensò su per un attimo, battendo distrattamente la penna sulla clavicola. Zoe aveva notato questa abitudine, un numero sempre pari di colpetti.
“Perché fa così?” sbottò, sentendosi in imbarazzo un secondo dopo aver posto quella domanda.
La dottoressa Monk la guardò sorpresa. “Ti riferisci al gesto di picchiettare la penna sulla spalla?”
“Mi scusi. Sono affari suoi. Non deve dirmi il motivo.”
La dottoressa Monk sorrise. “Non importa. In realtà, è una cosa che ho iniziato a fare quando ero una studentessa. È un esercizio di rilassamento.”
Zoe aggrottò la fronte. “Non si sente calma?”
“Certo. Ormai è diventata una sorta di abitudine, anche quando sto pensando. Mi permette di immergermi in uno stato più Zen. Di solito soffrivo di attacchi di panico quando ero più giovane. Hai mai sperimentato un attacco di panico, Zoe?”
Zoe ci pensò su, cercando di capire cosa si intendesse con attacchi di panico. “Non credo.”
“Che si tratti di un vero e proprio attacco di panico o di qualcosa di meno grave, abbiamo bisogno di trovare qualcosa che ti calmi, che faccia sparire i numeri. Vogliamo che la tua mente smetta di correre, permettendoti di concentrarti su una cosa alla volta.”
Zoe annuì, muovendo la dita sulle crepe del bracciolo in pelle della sua poltrona. “Sarebbe perfetto.”
“Iniziamo con un esercizio di meditazione. Ritengo che dovresti iniziare a praticare la meditazione ogni sera, magari appena prima di metterti a letto. Meditare sarà un aiuto costante che, nel tempo, migliorerà la tua capacità di controllare la mente. Non risolverà immediatamente la situazione, ma impegnandoti vedrai senza dubbio dei risultati. Mi segui?”
Zoe annuì silenziosamente.
“Bene. Ora ascolta attentamente le mie istruzioni. Voglio che ci provi subito, dopodiché potrai praticarla per conto tuo stasera. Inizia chiudendo gli occhi e contando i tuoi respiri. Prova a rimuovere qualsiasi altra cosa dalla tua mente.”
Zoe obbedì e chiuse gli occhi, iniziando a respirare profondamente. Uno, ripeté nella sua mente. Due.
“Benissimo. Non appena arriverai a dieci, ricomincia da uno. Non continuare a contare. Concentrati soltanto su quei respiri, fino a quando non inizierai a sentirti rilassata.”
Zoe cercò di farlo, sforzandosi di allontanare gli altri pensieri dalla mente. Era difficile. Il suo cervello voleva comunicarle la presenza di un prurito sulla gamba destra, o il vago odore del caffè della dottoressa Monk, o voleva ricordarle quanto fosse strano essere seduta a occhi chiusi nell’ufficio di un’altra persona. E poi voleva dirle che stava sbagliando l’esercizio, e voleva permetterle di distrarsi.
Ad ogni modo, stava respirando