Il Volto della Paura. Блейк Пирс
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“Allora, come vanno le cose?” chiese Shelley. Ripose i dossier nel suo bagaglio a mano e si accomodò sul sedile con un’espressione di complicità. “Sei uscita con John ieri sera?”
Era venerdì sera, e John sembrava felice del modo abituale con cui Zoe portava avanti la propria vita. Le stesse cose alla stessa ora. L’unica differenza era il luogo di incontro. “Sì.”
“E …?” domandò Shelley con impazienza. “Dettagli, Z. Sta andando bene tra di voi, vero?”
Zoe scrollò le spalle, voltando nuovamente la testa verso il finestrino. “Abbastanza bene, credo.”
Shelley si lasciò sfuggire un sospiro di insofferenza. “Abbastanza bene? Cosa vuol dire? Lui ti piace o no?”
“Ovvio che mi piace.” Zoe aggrottò la fronte. “Altrimenti per quale motivo ci uscirei tanto spesso?”
Shelley esitò, il suo riflesso nel finestrino inclinò lateralmente la testa. “Mi sembra giusto. Anche se ci sono persone che continuano a uscire insieme senza provare una vera e propria attrazione. Ma tu hai capito cosa intendo. I vostri incontri stanno diventando seri?”
Zoe chiuse gli occhi. Forse, così facendo, Shelley avrebbe capito l’antifona. “Non so cosa voglia dire, e comunque non credo di voler rispondere.”
Shelley si zittì e non disse nulla per un po’. Poi, silenziosamente, aggiunse: “Lo sai, non devi continuare a respingermi. Sai che puoi fidarti di me. Non dirò niente a nessuno. Non ho tradito il tuo segreto, o sbaglio?”
C’era la piccola questione di quella volta in cui Shelley aveva detto al loro superiore, Maitland, che Zoe era “brava in matematica”; ma Zoe non ritenne utile rivangare quell’argomento.
Non rispose, almeno non subito. Cosa avrebbe potuto dire? Certo, era parecchio riservata, lo era sempre stata. Doveva giustificare anche quello? Prima la dottoressa Monk, e adesso Shelley, stavano parlando come se lei avesse un problema. Come se fosse assurdo che una persona volesse tenere per sé la propria vita privata.
“Non capisco neanche perché continui a tenerlo segreto,” continuò Shelley. “Potresti davvero fare del bene.”
“Come?”
“Mettere a frutto le tue capacità. Catturare gli assassini.”
“Catturo già gli assassini.”
Shelley sospirò. “Sai cosa voglio dire.”
“No, in realtà non lo so,” rispose Zoe, più propensa che mai a cambiare discorso. “Quanto manca per arrivare?” Iniziò a battere le dita sullo schermo che aveva di fronte, cambiando pagina per mostrare il percorso e la posizione del loro volo, anche se sapeva perfettamente dove si trovassero e quanto tempo mancasse all’arrivo.
“Dovresti rifletterci su, comunque,” disse Shelley. “Mi pare che tu sia più felice quando hai attorno persone che conoscono il tuo segreto. Ti irrigidisci, tieni tutto dentro, quando credi che non sia sicuro. Forse, in generale, la tua vita sarebbe più facile se tutti sapessero.”
“Cinquantasei minuti,” disse Zoe, come se non l’avesse ascoltata. “Dovremmo prepararci. Ci converrà dirigerci direttamente sulla scena del crimine più recente dall’aeroporto. Hai l’indirizzo?”
Shelley non disse nulla, limitandosi a rivolgerle uno sguardo prolungato e strano prima di tornare ai dossier e cercare le informazioni di cui avevano bisogno.
CAPITOLO CINQUE
Zoe strizzò gli occhi, guardando su e giù per il vicoletto e verso il cielo. Era una giornata limpida e chiara. Sulle loro teste si intravedeva una sottile striscia color celeste che si restringeva in lontananza, incorniciata dai sudici mattoni dei palazzi e dei magazzini.
Questo posto era decisamente distante dal lusso e dalle palme ondeggianti di Beverly Hills. Le strade e i marciapiedi erano rotti e scoloriti, e l’edificio più vicino alla fine del vicolo era un rifugio per senzatetto. Eppure, i monolocali che si ergevano sul lato opposto probabilmente costavano più della sua casa d’infanzia nella campagna del Vermont.
Qualcosa era ancora presente nell’aria, nonostante la rimozione del cadavere. Zoe riusciva a sentirne l’odore. Probabilmente non sarebbe andato via per un sacco di tempo. Il fetore di carne umana e capelli bruciati tendeva a rimanere nei paraggi.
Zoe rivolse nuovamente la propria attenzione al suolo e alla macchia creata dal fuoco, che si estendeva lungo l’asfalto della strada e i mattoni, i sacchetti della spazzatura e gli aghi gettati a terra. La maggior parte di quella roba, ormai, era bruciata e contorta su se stessa, trasformata in irriconoscibili forme di plastica nera che si aggiungevano all’odore quasi soffocante. A quanto pare, l’assassino non si era preoccupato molto della presentazione.
O forse l’aveva fatto: forse stava sostenendo che questa giovane donna, questa Callie Everard, era soltanto un altro rifiuto.
Shelley era lì vicino e stava parlando all’ufficiale di polizia locale, mentre gli altri stavano impacchettando tutto. La squadra della scientifica era già stata sulla scena, e il cadavere era stato portato via per essere esaminato. Non restava altro da fare che prelevare tutte le piccole prove rimaste tra i detriti della scena dell’omicidio. Una poliziotta bassa con i capelli corti le stava cautamente riponendo in appositi sacchetti di plastica.
Zoe la osservò con vago interesse. La sua mente stava lavorando per conto suo, intenta a esaminare tutto ciò che coglieva lo sguardo. La vittima era stata lasciata in posizione supina con la testa vicina ai sacchi della spazzatura rovesciati, i piedi rivolti verso il centro del vicoletto, a un angolo di trenta gradi rispetto a quella che sarebbe stata la linea centrale. Molto probabilmente era caduta di schiena dopo che la sua gola era stata tagliata. C’erano ancora tracce di sangue, sotto i fluidi corporei bruciati e sciolti, a convalidare questa teoria.
Sapevano già un sacco di cose su di lei, su Callie. Il resto lo avrebbero scoperto una volta interrogati gli amici e la famiglia: avrebbero capito chi fosse e cosa facesse. Per quale motivo qualcuno volesse ucciderla.
Ma l’assassino, quella era un’altra storia. Dov’era lei, o lui? Zoe non riusciva a vedere nulla sull’asfalto del vicoletto, nessun segno particolare che potesse svelare il responsabile. Non c’erano orme, non in un vicolo che veniva indubbiamente attraversato da decine, se non centinaia, di persone al giorno. Non c’erano accendini o mozziconi, nessuna tanica di benzina vuota. Qualsiasi prova in grado di tradire la presenza del colpevole era stata rimossa quando qualcuno aveva versato dell’acqua sul corpo nel tentativo di spegnere il fuoco e salvare una vita che era già venuta meno.
Cosa aveva usato come combustibile? Come accelerante? Dove si era appostato? Che tipo di arma aveva usato quell’uomo per tagliarle la gola? O quella donna, cercò di ricordare a se stessa nel tentativo di mantenere una mente aperta; ma le statistiche parlavano chiaro. Un tale livello di violenza solitamente indicava un sospettato maschio.
Il problema stava in quel “solitamente”. Zoe si fidava del proprio istinto, ma a meno che non fosse sicura al novanta per cento di qualcosa, non era disposta a scommetterci su. E anche quando, in passato, era stata assolutamente sicura di una cosa, a volte si era sbagliata. E in questo momento non aveva alcuna sicurezza, non in relazione all’assassino.
Forse avrebbe scoperto qualcos’altro dando un’occhiata al cadavere. Si diresse verso Shelley, che stava per portare a termine il suo colloquio.