Fuggi, Angelo Mio. Virginie T.
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«Esattamente, Mallory. Non fai altro che cercare. Tuttavia, ne trovi sempre meno e le poche volte che riesci a farti assumere, tieni il posto per al massimo una settimana prima di andartene e ricominciare. Non la finisci mai ed io ne ho abbastanza!»
Non so più se sia meglio ridere o piangere. Non ne posso più di vedere la nostra relazione vacillare per così poco. Perché per me, sono assurdità. La cosa più importante è amarsi e la nostra coppia dovrebbe diventare più forte attraverso le prove che affrontiamo. Al contrario, il nostro rapporto si infrange davanti ad ogni ostacolo ed ho paura che ben presto non ne resterà un granché, nonostante tutto il nostro amore. Allora tiro fuori la prima idea che mi passa per la mente.
«Dovremmo fare un bambino. Senza aspettare.»
Quelle parole hanno il merito di frenare il suo slancio, poi posa di nuovo lo sguardo su di me. Cerco di spiegarmi prima che la collera lo assalga di nuovo e che smetta di ascoltarmi.
«Perché aspettare? L'hai detto tu stesso. Io sono pronta. Avrei tutto il tempo per occuparmene. Quello che conta, è che ci amiamo e che questo bambino ne sia la prova.»
Brandon scoppia in una risata fragorosa che risuona nel nostro soggiorno scarsamente arredato.
«Mi stai proponendo di fare un bambino e di occupartene mentre io mi affanno come un pazzo per mantenere te e la tua prole?»
La mia prole? Mi va di traverso la saliva e mi lascio cadere subito su una sedia, prima di cadere a terra.
«Perché non penserai veramente che io abbia ancora intenzione di fare un figlio con te, vero? Dopo tutti questi litigi, pensi veramente che io abbia voglia di impegnarmi seriamente con te?»
I suoi occhi sono gelidi mentre mi scruta, aspettando la mia risposta. Tuttavia, cosa potrei rispondergli? Mi rendo conto di non avere capito l'ampiezza del fossato che si è creato tra di noi. Ho pensato che fosse qualcosa di passeggero, che saremmo riusciti a superare tutto. Invece, ero ben lontana dalla verità. Non posso fare altro che mormorare, con la voce che mi si blocca in gola.
«No, suppongo di no.»
Brandon è stanco. Si lascia cadere di peso sul divano, facendolo scricchiolare, mentre riprende a parlare con un tono triste.
«Onestamente, Mallory, non sono nemmeno più sicuro di voler andare avanti.»
Seconda pugnalata al cuore. Non voglio che chiarisca quello che pensa e, nello stesso tempo, ne ho bisogno per capire l'ampiezza dei miei errori.
«Continuare cosa?»
«Noi.»
Devo essere proprio masochista. Voglio che chiarisca.
«Cosa intendi?»
«Non sono sicuro di volere ancora vivere con te. Penso che dovremmo prenderci una pausa, per un po' di tempo.»
Una pausa. Tutti sanno cosa significa «fare una pausa» per una coppia. E' un modo gentile, se ne esiste uno, per rompere senza annunciarlo chiaramente. Se non fossi seduta, probabilmente sarei caduta a terra dal dolore. Sto perdendo terreno ed ho bisogno più che mai di Beth. Ho bisogno che la mia migliore amica curi le mie ferite. Tuttavia, sono troppo orgogliosa per chiederle aiuto.
«Ti lascio il tempo di organizzarti, ma vorrei che facessi i bagagli il prima possibile.»
Già, perché mi caccia anche di casa? Resto lì a bocca aperta e con le braccia a penzoloni, mentre la mia vita è messa sottosopra.
«E' inutile che mi guardi in questo modo. Non hai i soldi per pagare l'affitto e le spese. Tutte le bollette sono già a mio nome e sono io che ho pagato tutti i mobili.»
In un solo giorno, ho perso tutto: il lavoro, i miei sogni di una vita ideale ed il mio fidanzato. Ex- fidanzato. Meglio farci subito l'abitudine. Mi alzo con un movimento brusco.
«Perché aspettare? Vado subito a fare i bagagli.»
«Mallory…»
Sospira prima di continuare.
«Non prenderla in questo modo. Lo faccio per noi.»
Rischio di strozzarmi dalla rabbia.
«Per noi? Buttarmi fuori di casa, è per aiutare la nostra coppia?»
Almeno ha la decenza di abbassare gli occhi.
«Lo fai solo per te stesso. E ora, se permetti, vado a sbrigarmi ad imballare tutte le mie cose, per non disturbarti più con la mia presenza.»
Per fortuna, Brandon non mi segue in camera. Non avrei avuto il coraggio di continuare il nostro scontro verbale. Questa giornata sembra non finire mai ed ho il cuore a pezzi, mentre infilo i miei vestiti in una borsa da viaggio. Prendo solo l'essenziale, non avendo altro posto ed il rumore della chiusura lampo quando chiudo la sacca mi fa realizzare la portata degli ultimi avvenimenti: dovrò ricominciare da zero, ricostruirmi, e dovrò farlo da sola. Tornare dai miei genitori? Inutile anche solo pensarci. Ormai non ho più l'età per abitare con mamma e papà e dover rendere conto di quello che faccio.
Lascio l'appartamento senza dire una parola e senza guardarmi indietro. Brandon mi ha amabilmente proposto di prendere la sua macchina. Mi sono dovuta mordere la lingua per non dirgli che poteva mettersi le chiavi proprio lì dove stato pensando. Lo faceva solo per poi rimproverarmi di essermi servita della SUA macchina! Preferisco avere i piedi in fiamme a forza di camminare, piuttosto che sopportare un'ulteriore umiliazione.
Ignoro da quanto tempo sto camminando lungo la strada, ma la cinghia della mia borsa da viaggio mi sta incidendo la spalla e le mie gambe fanno fatica a sopportare il mio peso, che si aggiunge a quello del mio grosso bagaglio. Mi trascino senza una meta, non sapendo dove andare, quando una macchina rallenta alla mia altezza. Giro la testa dall'altro lato, non avendo alcuna voglia di spiegare ad uno sconosciuto cosa sto facendo sul ciglio della strada con le mie cose sulla schiena. Tuttavia, l'importuno decide diversamente. Sento il finestrino sul lato del passeggero che si apre e la musica che esce dalla macchina mi perfora i timpani. L'hard rock è trasportato dal vento ad un volume assordante. Poi, all'improvviso, il suono diminuisce ed una voce che non mi aspettavo si rivolge a me.
«Mal? Cosa ci fai qui?»
Mi giro di scatto per assicurarmi di non essere vittima di un'allucinazione, ma non c'è dubbio: è proprio il mio amico al volante dell'automobile. Potrei piangere di gioia, se non avessi esaurito le lacrime. Non faccio altro che fissarlo, senza riuscire a muovermi o a rispondergli, quindi lui decide di posteggiare su un lato della strada, gira intorno alla macchina e mi raggiunge.
«Mal? Stai bene?»
Scuoto la testa, incapace di parlare.
«Lascia che ti aiuti.»
Mi prende il borsone dalle mani e lo butta nel portabagagli, prima di aprire la portiera dal lato del passeggero.
«Sali. Ti porto a casa mia. Parleremo e mi racconterai cosa sta succedendo.»
Entro nell'abitacolo come un automa, sempre in silenzio, ed il mio amico mi allaccia la cintura, visto che non ho avuto neppure il riflesso di farlo.