Fuggi, Angelo Mio. Virginie T.
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La mia voce si sente a malapena. Léon mi posa la mano sulla guancia ed io sono incapace di compiere il movimento di repulsione che desidero. Le gambe riescono appena a sostenermi. Mi sento scivolare a poco a poco verso il pavimento. Prima che io finisca del tutto a terra, Léon mi passa un braccio sotto le gambe e sulla schiena, incollandomi contro il suo ampio petto. La mia testa vacilla all'indietro in un angolo doloroso, ma non riesco a tenerla dritta.
«Pensavo di avere un po' più di tempo. La tua camera non è ancora del tutto pronta. Spero che ti piacerà.»
Di cosa sta parlando? Era molto tempo che progettava di rapirmi? Perché? Credevo che fosse mio amico! Le mie domande resteranno senza risposta: sono incapace di formularle e finisco per sprofondare nell'incoscienza, nel momento stesso in cui Léon mi deposita su una superficie morbida.
Sbatto le palpebre a causa della luce cruda, quando il sole mi colpisce la retina con i suoi raggi luminosi. Mi sento disorientata, incapace di ricordare dove mi trovo e ciò che mi ha condotta in questo luogo sconosciuto. Cerco di strofinarmi gli occhi per schiarirmi la vista, ma il mio polso destro si blocca di colpo con un rumore metallico. Insisto, ma riesco a procurarmi solo dolore. Un metallo freddo mi attanaglia dolorosamente la pelle. Mi accontento della mano destra per aprire gli occhi, poi il mio sguardo si posa sul mio impedimento. Perché si tratta proprio di questo: una manetta mi tiene prigioniera, legata ad un letto. Sono colta dal panico. Guardo dappertutto intorno a me; sono sola in una camera sconosciuta e le mie cose sono sistemate su degli scaffali aperti, come se vivessi lì da molto tempo. L'angoscia mi contorce le viscere.
«C'é qualcuno?»
Solo il silenzio risponde al mio richiamo.
«QUALCUNO RIESCE A SENTIRMI?»
La voce mi esce più acuta di quanto volessi, ma non importa. In una stanza adiacente, una sedia stride sulle piastrelle ed il rumore di passi che si avvicinano mi fa accelerare i battiti. Quando la porta socchiusa si spalanca, non riesco a credere ai miei occhi.
«Léon???»
Il suo sorriso ha qualcosa di malsano ed inquietante, anche se in realtà non è molto diverso dal solito. Senza dubbio è un effetto della situazione roccambolesca che sto affrontando.
«Finalmente ti sei svegliata. Non mi ero reso conto di avere un po' esagerato con le dosi. Hai mal di testa? Nausea?»
E' una situazione veramente surreale. Sono incatenata ad un letto ed il mio rapitore si preoccupa della mia salute, dopo avermi drogata? Perché è questo che ha fatto, lo capisco bene.
«Perché mi trovo qui? Perché mi hai legata?»
Léon si siede sul bordo del letto ed io mi allontano da lui di riflesso, provocandogli un sospiro.
«Saresti rimasta con me, se te lo avessi chiesto gentilmente?»
No. Certamente no. Cerco di fare rallentare il mio ritmo cardiaco, mentre lui continua a cercare di giustificarsi.
«Siamo fatti l'uno per l'altra, Mal. L'ho saputo fin dal primo momento che ti ho vista.»
«Tu eri con Lilas. Stavate bene insieme.»
Lui gioca con le ciocche dei miei capelli ed io non ho alcuna via di scampo. Non posso allungare il braccio più di così ed il polso mi fa male, a forza di tirarlo.
«Lei non era fatta per me, pensa solo a divertirsi e a scopare. Io cerco qualcosa di più serio. Ho capito subito che tu eri una persona passionale ed incredibilmente romantica. Sei la mia donna ideale.»
Cerco di farlo ragionare.
«Non sono quella di cui hai bisogno: sono incostante, incapace di prendermi delle responsabilità.»
«Non vuoi lavorare, ma a me va molto bene, perché voglio che resti a casa. Con me. Ti ricordi, io lavoro a domicilio. Staremo tutto il tempo insieme. Guadagno abbastanza per tutti e due: saremo molto felici.»
Si china sul mio viso, sporgendo le labbra in avanti, ed io gli sputo in faccia per farlo indietreggiare. Ringhia, mentre si asciuga con il risvolto della manica.
«Finirai per darmi retta. Sarai mia. Per sempre.»
«Mai, Léon. MAI!»
A questo punto mi blocca sul ventre, sedendosi sopra di me ed io mi sento soffocare sotto il suo peso. Ho paura che mi voglia violentare e mi metto ad urlare senza fermarmi, allora mi preme la testa contro il materasso, per attutire i suoni, ed io soffoco sotto le lenzuola che mi riempiono la bocca spalancata.
«Smettila di urlare! Non ho intenzione di violentarti, voglio solo lasciarti un segno. Sei mia. E quando finalmente capirai che siamo due anime gemelle, sarai fiera di mostrarlo a tutti.»
Smetto di gridare per potere respirare più liberamente e lo sento prendere qualcosa dalla tasca. Poi abbassa il colletto della mia maglietta ed io ricomincio ad agitarmi, fino a quando sento un metallo freddo in cima alla mia schiena.
«Un marchio che prova il tuo amore per me.»
La lama affonda quindi nella mia pelle come nel burro, sotto le mie grida di dolore. Léon mi colpisce la schiena con un taglio verticale ed il sangue inizia a colarmi lungo il collo.
«Sarai perfetta.»
Detto questo, mi lascia lì, inebetita e con il corpo martoriato.
Potrei dire che non so da quanto tempo Léon mi tiene prigioniera, ma ogni ferita nella mia schiena è un vero conteggio quotidiano e mi ricorda il tempo che passa. 177. Sono 177 giorni che Léon mi ha catturata e mi marchia come bestiame, con un taglio al giorno. Ho la schiena in fiamme. Tutto intorno a me non è altro che dolore ed un richiamo alla mia sofferenza, sia fisica che mentale. La mia resistenza si sta indebolendo sempre di più. La speranza di scappare si affievolisce in proporzione al tempo che passa. All'inizio ho ben fatto qualche tentativo, ma ciò non ha fatto altro che peggiorare le mie condizioni di cattività, annullando la mia resistenza.
Il mio primo tentativo di evasione ha colto Léon di sorpresa. Mi ricordo ancora del suo sguardo sbalordito quando mi ha slegata per andare in bagno ed io gli sono saltata sulla schiena in un tentativo disperato di colpirlo con le mie manette. Non ha dovuto fare alcuno sforzo per staccarmi da sé, facendomi cadere a terra come un volgare sacco di patate. Quindi mi ha sollevata senza alcun riguardo, stringendomi la gola, schiacciando brutalmente sulla mia trachea, mentre la mia soddisfazione per aver visto il sangue che gli colava dalla testa ha lasciato presto il posto al terrore di una morte imminente per strangolamento. A quell'epoca, non desideravo ancora morire.
Il suo pollice sul mio collo non mi aveva permesso di rispondere con un tono sferzante. Non avevo potuto fare altro che soffocare miseramente, mentre sentivo che la vita scivolava via da ogni poro. Allora aveva deciso di risparmiarmi.
–Vuoi un amore perverso? Nessun problema, basta chiedere.
Mi aveva quindi morso il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
–Non rifarlo mai più, o lo rimpiangerai. Mi hai capito?
Avevo annuito senza convinzione, pensando già ad un altro modo per fuggire. Ovviamente Léon non mi aveva creduta e l'indomani mi ero ritrovata legata ad una solida catena. In questo modo,