Non resta che scappare. Блейк Пирс

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Non resta che scappare - Блейк Пирс Un thriller di Adele Sharp

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sono solo per emergenza.”

      Adele sollevò le mani. “C’è qualcun altro che ha accesso a un mazzo di chiavi?”

      Il locatore scosse la testa con fermezza. “Solo chi affitta l’appartamento. E io. E non le uso,” ripeté.

      Adele annuì per mostrare che aveva sentito, guardando l’uomo che spingeva la porta dell’appartamento e si faceva di lato, indicando alle due agenti di entrare.

      Le donne passarono sotto al nastro di delimitazione che sbarrava la porta. Adele andò avanti e osservò il pavimento piastrellato.

      La maggior parte del sangue era stato rimosso. Erano state fatte foto della scena, e gli investigatori precedenti avevano proceduto a catalogare ogni cosa. Adele si guardò attorno nella cucina: notò alcune macchie di sangue sul mobiletto accanto al frigorifero, come anche lungo le piastrelle del pavimento. Passò oltre le macchie e guardò il frigorifero. Ora era chiuso.

      A parte il frigo chiuso e la grossa macchia mancante, la scena del crimine era esattamente la stessa delle foto. Il corpo era stato portato da tempo dal medico legale, e il rapporto finale sarebbe stato pronto a breve.

      Odiava ammetterlo, ma non c’era molto da vedere. Nessuna prova materiale. Proprio come le avevano detto.

      Avevano già cercato impronte digitali sul banco, sul frigorifero, sul corpo. Eppure non era apparso nulla. Niente, oltre alle impronte della vittima stessa.

      La seconda vittima era stata trovata con la schiena appoggiata alla credenza, rivolta verso il frigo. Questo significava che chiunque l’avesse attaccata l’aveva fatto molto rapidamente. C’era stato qualche spruzzo di sangue, ma non molto. Nessun segno di ferite provocate da tentativi di difesa, sul corpo. E nessun segno di lotta.

      “Pensi che conoscesse l’assassino?” chiese Adele sottovoce.

      L’agente Paige rispose: “Forse.”

      Adele scavalcò con attenzione la pozza di sangue ora sbiadita. Andò al frigorifero e, usando la tasca per rivestirsi la mano, afferrò la maniglia e la aprì. C’erano ancora alcuni cibi all’interno. Dei vecchi panini erano posati nel cassetto della frutta e verdura e una grossa caraffa di latte era posizionata accanto a una dozzina di uova. Per il resto il frigo era quasi vuoto. Adele guardò la credenza addosso alla quale la donna era stata rinvenuta, seduta in terra in una pozza del suo stesso sangue.

      Esaminò il ceppo di legno per i coltelli accanto al lavandino. C’erano tutti. Erano stati controllati uno per uno per cercare la presenza di sangue, ma erano stati trovati puliti. L’assassino aveva portato con sé la sua arma. Ancora non sapevano cosa avesse usato per uccidere la donna.

      Adele allungò una mano e aprì il congelatore. C’erano due vaschette del ghiaccio, una scatola di gelato e alcune pizze surgelate. Il contenitore del gelato era macchiato di strisce di gelato sciolto e poi ricongelato su un lato. Una delle vaschette del ghiaccio era completamente vuota. Adele corrucciò le labbra: era una sua fissazione personale, ma odiava quando la gente rimetteva la vaschetta del ghiaccio vuota nel freezer. Guardò la scatola di gelato e poi le pizze. Cavolfiore. Arricciò il naso, ma provò un’improvvisa ondata di imbarazzo mentre analizzava i cibi.

      Cosa si era aspettata di trovare?

      Chiuse la porta del congelatore e si girò per guardare la stanza. Non c’erano decisamente prove materiali. Osservò il lavabo e notò che gocciolava leggermente. Si avvicinò e ruotò una delle manopole. Il gocciolio continuò, una goccia alla volta. Tap, tap. Le gocce colpivano il secchiaio di metallo.

      “La testimone viene?” chiese Adele, voltandosi a guardare la Paige.

      La donna stava guardando fuori dalla finestra. Sbuffò. “Sta arrivando.”

      Adele si schiarì la voce. “Mi ripeti come si chiama?”

      “Melissa Robinson. Anche lei americana. Ha trovato il corpo.”

      Adele strinse le labbra. “Come pensi che dovremmo impostare l’interrogatorio?”

      L’agente Paige scrollò ancora le spalle. “Sei tu l’agente dell’Interpol. Io sono qui solo per seguire la tua guida. Fai quello che vuoi.”

      Adele esitò, fissandola. Annuì, poi con il tono più diplomatico che le fu possibile assumere, aggiunse: “Penso ci sia bisogno di fare una chiacchierata.”

      La Paige finalmente distolse gli occhi dalla finestra e inarcò un sopracciglio argentato.

      Adele le si avvicinò con attenzione, portandosi di fronte alla donna, anche se sotto sotto avrebbe preferito andare a nascondersi nell’angolo della stanza. L’odore di sapone era ancora più forte di prima mentre lei guardava la donna negli occhi. “Non serve che questa cosa sia penosa, ma ho come la sensazione che tu non ti stia sforzando quanto potresti.”

      La donna non tradì alcuna espressione. Alla fine scrollò le spalle e rispose: “Non sono responsabile dei tuoi sentimenti. Forse dovresti avere maggiore cura tu nel controllarli.”

      Adele la fissò. “Non credo che questo sia di aiuto.”

      “Il numero di cose che sei incapace di credere non è affar mio,” disse la Paige con freddezza. Aveva l’atteggiamento di chi gode della frustrazione dell’altro. Il nervosismo crescente di Adele sembrava alimentare sempre più il godimento della Paige.

      “Non sapevo fossi tu,” disse Adele alla fine.

      L’espressione dell’agente Paige divenne fissa.

      Adele si girò a guardare verso la porta e fu contenta di vedere la soglia vuota, indice che il locatore non era lì. Lo stesso abbassò la voce e continuò: “Non lo sapevo. Avevo solo visto che qualcuno aveva spostato uno dei documenti contabili che facevano da prova. Pensavo fosse stato un errore d’ufficio. Quando ho fatto rapporto a Foucault, non avevo idea che…”

      “Piantala,” disse con tono secco la Paige, stringendo i denti.

      La tacita ed enigmatica espressione di noncuranza era svanita ora, come ghiaccio che si scioglie, mostrando tutta la rabbia che ribolliva sotto.

      “Dico sul serio,” disse Adele. “Se l’avessi saputo…”

      “Hai fatto quello che hai fatto,” disse la Paige, ora torva in volto. Le sue mani ai fianchi tremavano appoggiate all’abito grigio. “Mi hanno declassata. Sono fortunata se ho ancora il mio lavoro. Matthew è stato arrestato. Lo hanno interrogato per quasi una settimana!”

      Adele sussultò. “Mi spiace. Io ho solo visto delle prove mancanti. Non sapevo…”

      “Al diavolo quello che non sai,” rispose bruscamente l’agente Paige. Puntò con forza un dito contro il petto di Adele e la spinse. “Avresti dovuto venire da me. Ero il tuo supervisore! Hai agito alle mie spalle, come un topo.”

      Adele fece un passo indietro, portandosi una mano al petto e massaggiandosi, chiedendosi se l’indomani vi avrebbe trovato un livido. Scosse la testa e disse: “Hai spostato delle prove per proteggere il tuo fidanzato. Non sapevo cosa fosse successo. Non sapevo neanche che frequentassi un sospettato…”

      “Non era un sospettato quando avevamo iniziato,” disse secca la Paige, ma poi si interruppe, pronunciando il resto delle parole a denti stretti. “Non sono fatti tuoi, con chi cazzo vado fuori, chiaro? E poi è risultato innocente. Non era stato lui.”

      Adele

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