La Volpe In Rosso. Dawn Brower
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“Per quanto riguarda voi, invece, forse non vi conviene sbandierare ai quattro venti che siete qui a Peacehaven perché vi trovate al centro di uno scandalo. – la rintuzzò Collin, con sarcasmo – Forse, sarebbe meglio dire che siete qui a tenere compagnia alla vostra vecchia zia. O creare un alone di mistero sulla vostra permanenza in questo luogo.”
“Credo che dire di essere costretta a tenere compagnia a mia zia sia la cosa più saggia. Zia Serafina è avanti negli anni. Non c’è niente di strano se mi hanno mandata qui a farle compagnia per qualche mese.” disse Charlotte. Ma poi aggrottò la fronte. "Credete che qualcuno crederà al fatto che preferisco stare con mia zia, piuttosto che godermi la mia stagione di balli?”
"E voi che ne pensate? – indagò Collin – E’ davvero una tortura per voi rinunciare agli eventi di quest’anno?"
"Assolutamente no! – esclamò Charlotte, con convinzione – Evitarli è ciò che speravo." Arricciò il naso. "Nel migliore dei casi la testa di quelle nobildonne è vuota, nel peggiore è piena di stupidaggini!” Chinò il capo. “Suppongo di apparirvi saccente e presuntuosa.”
"Forse un po' – ammise l’uomo – ma in linea di massima sono d’accordo con voi. Anch’io non amo affatto questi…eventi sociali. Anzi, cerco sempre di evitarli."
E in effetti Collin non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva partecipato ad una festa. Sua sorella organizzava spesso balli e cene, ma lui aveva sempre declinato l’invito, adducendo una scusa o l’altra. Alla fine la sorella aveva smesso di invitarlo.
"Quindi comprendo perché preferiate starvene in un posto come questo ad ammuffire.” aggiunse, per stuzzicarla.
"Immagino che sarà proprio quello che farò qui. – disse lei, ignorando l’allusione – Probabilmente Zia Serafina non lascia spesso il suo palazzo."
"Non saprei – disse lui – Sono anni che manco da Peacehaven. Avevo lasciato le mie proprietà nelle mani di un amministratore ma…è dovuto andare in pensione.” Era dichiaratamente una bugia, ma ammettere la verità lo metteva in imbarazzo. Collin non voleva che quella bella signora venisse a conoscenza della sua incapacità nel gestire i propri affari. Avrebbe dovuto occuparsi lui, delle sue proprietà, e non demandare i suoi doveri ad altri.
“Nei prossimi giorni sarò molto indaffarato a rendermi conto di come vanno le cose, nella mia tenuta, e a decidere il da farsi. E’ probabile che mi cercherò un nuovo amministratore.”
Ma forse non era quella la cosa giusta da fare. Meglio occuparsene in proprio e non affidare mai più la proprietà a mani estranee. Gli bruciava ancora di essersi fatto buggerare da un bifolco qualsiasi. Aveva già parlato con le autorità e ormai sembrava certo che quel bastardo avesse lasciato l’Inghilterra.
"Come mai non siete tornato prima?" chiese Charlotte.
"I miei genitori …" Collin deglutì a fatica. Non gli piaceva parlarne. “Sono morti entrambi in questa tenuta. E non riuscivo ad avvicinarmi a questo posto senza soffrire." Accompagnare Charlotte dalla zia gli avrebbe concesso di evitare ancora per un po’ quel momento.
"Avete tutta la mia comprensione – disse Charlotte, dolcemente – Amo i miei genitori e, anche se adesso sono parecchio stizzita con loro, non riesco a sopportare l’idea di poterli perdere." Distolse lo sguardo e lui si chiese a cosa stesse pensando, così intensamente. Ma tacque.
"Quindi, non avete idea di quanto tempo rimarrete qui. –continuò Collin – I vostri genitori non vi hanno detto, per caso, quanto tempo sarebbe durato il vostro…esilio?” Voleva indurla a parlare. "Di sicuro, voi vi sarete fatta un’idea.”
Charlotte sospirò. “Mia madre mi è sembrata molto felice di punirmi. Oserei dire, che ci abbia provato gusto. Oh, quando vuole sa essere proprio una megera!” Scosse la testa. “Da bambina, ero convinta che tra i due mio padre fosse quello più severo. Diamine, da giovane lavorava come spia! Ma è un agnellino, in confronto a mia madre!”
Collin aveva dimenticato che il marchese di Seabrook aveva lavorato per Sua Maestà. Durante la guerra era stato una spia famosa.
Chiaramente, quella cosa non era a conoscenza di tutti. Tempo prima, Collin aveva casualmente ascoltato una conversazione tra il marchese e suo cognato, il conte di Shelby. Il padre del Conte era stato collega e amico del marchese, e quella volta a Seabrook stavano ricordando le loro imprese.
“Credo che tutte le madri siano brave nell’infliggere punizioni ai propri figli. Almeno, quelle che ci tengono a loro. "
"Mi spiace… – mormorò Charlotte – Continuo a parlare dei miei genitori mentre voi ancora piangete per la perdita dei vostri. E’ una terribile mancanza di tatto, da parte mia. "
"Non doletevi. – la rassicurò Collin – E’ passato tanto tempo, ormai."
Chiaramente, mentiva. Non importava quanti anni fossero passati, il dolore per la loro perdita era ancora vivo e bruciante nel suo cuore. Ma non voleva farla sentire in colpa. Tuttavia, era carino da parte di quella ragazza preoccuparsi per lui… Lo faceva sentire…amato.
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