Un’esca per Zero. Джек Марс

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Un’esca per Zero - Джек Марс Ein Agent Null Spionage-Thriller

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di assoluta incredulità. "Sei pazzo? Vuoi semplicemente ucciderli?”

      "Sono armati," mormorò il tedesco. "Fucili d'assalto".

      "Hanno visto tutto", insistette Sun. “Ci hanno visto sparare con l'arma e stanno venendo verso di noi. Non è il caso di esitare. Puntala su di loro".

      Eun-ho si sentì stringere lo stomaco dal panico. Era strano pensare come, in tutti quegli anni di ricerche, non avesse mai considerato nemmeno una volta che quell'arma avrebbe potuto essere utilizzata per strappare delle vite. Lui sarebbe stato in parte responsabile di quelle uccisioni. Aveva realizzato personalmente i proiettili. Eppure eccoli lì, di fronte a una vera e propria minaccia.

      "Hai circa quindici secondi per decidere", annunciò il tedesco con il suo accento aspro, più forte di tutte le parole che Eun-ho gli aveva sentito pronunciare prima.

      "No", disse Kim con fermezza. “Possiamo seminarli facilmente. Accendi i motori!”

      "Prima dobbiamo ritirare l'arma…" balbettò l'uomo alla console.

      "Allora fallo!" Strillò Kim. "Subito, veloce!"

      "Ma hanno visto tutto!" Insistette nuovamente Sun.

      "Dieci secondi", intervenne il tedesco.

      Una raffica di spari automatici squarciò l'aria, così forte e improvvisa che Eun-ho istintivamente si mise le mani sopra la testa. Sentì il trambusto dell'ascensore idraulico che riportava il cannone al plasma all'interno dello scafo della Glimmer. Udì le grida, quelle in preda al panico, quelle polemiche dei suoi colleghi, e poi altre, gutturali, concitate e incomprensibili al suo orecchio, in una lingua che non era né coreano, né inglese e nemmeno mandarino, lingue che Eun-ho parlava fluentemente, ma che suonavano infuriate, minacciose e pericolose allo stesso tempo.

      Quando ebbe il coraggio di guardare di nuovo, la barca pirata, poiché ormai si era convinto che fossero davvero dei pirati, si era avvicinata ancora di più e aveva rallentato, posizionandosi perpendicolarmente alla prua della Glimmer e rendendole impossibile avanzare.

      "Inversione, adesso!" Kim urlò non appena le porte si richiusero sopra l'arma.

      L'uomo alla console mise una mano sull'acceleratore e, quasi contemporaneamente, un singolo, forte sparo fece sobbalzare Eun-ho. La testa del pilota scattò a destra mentre una nuvola di nebbia rossa si posava sul mare alle sue spalle.

      Il tedesco abbassò la pistola. Il silenzio e l'incredulità del momento che seguì fu schiacciante; l'uomo alla console cadde sul pontile. I pirati guardavano. I colleghi di Eun-ho rimasero assolutamente immobili. Le loro gambe si erano improvvisamente fatte di pietra.

      E in quel momento, il tedesco si voltò e sparò immediatamente un secondo colpo sulla fronte di Kim.

      Questo scosse tutto l'equipaggio. In molti gridarono. Due si precipitarono in avanti, Sun e un altro uomo, Bong, se Eun-ho ricordava correttamente il suo nome. Raggiunsero il tedesco ma lui si limitò a torcere il corpo e, senza nemmeno puntare la pistola, alzò il gomito. Questo colpì il naso di Sun con uno scricchiolio nauseante, sollevando spruzzi di sangue che raggiunsero il viso di Eun-ho. Con la stessa morbidezza con cui aveva sfoderato l'arma, il tedesco si girò la pistola nel palmo, facendola roteare e colpendo Bong con l’impugnatura della pistola proprio dietro la mascella.

      Le gambe di Eun-ho si trasformarono in gelatina e le sue ginocchia si piegarono, facendolo cadere sul pontile. Risuonarono altri due colpi in rapida successione, e sebbene avesse già chiuso gli occhi, sentì distintamente il suono di due corpi che cadevano.

      Si sentì un fragore d’acqua, e poi un altro: colleghi che avevano scelto di lanciarsi dal ponte. Eun-ho, scosso dal terrore, sapeva che anche quella scelta li avrebbe portati alla morte. Nel freddo Pacifico sarebbero morti in meno di un minuto.

      Questi non erano gli scoppi acuti delle armi automatiche; erano singoli colpi sparati della pistola nera. I pirati non stavano sparando; stavano aspettando. Stavano aspettando che finisse per poter prendere possesso dell'arma. Il tedesco li aveva traditi. L'uomo che era stato responsabile della loro incolumità era stato la loro rovina.

      Quando finalmente Eun-ho raccolse il coraggio e riaprì gli occhi, il pontile della Glimmer era pieno di sangue. Quattro dei pirati africani si trovavano ora a bordo, e gettarono da una parte i corpi dei suoi compagni.

      Il tedesco era in piedi accanto a lui, teneva la pistola nella mano sinistra, come se fosse un semplice accessorio.

      "Perché?" Chiese Eun-ho, o almeno ci provò. Ma tutto ciò che gli uscì alla gola non fu altro che un sibilo.

      "Sei solo un ragazzo," mormorò il tedesco a bassa voce, con l'accento che Eun-ho aveva erroneamente supposto olandese. "Ma spesso i ragazzi sono quelli che soffrono di più in queste situazioni".

      Eun-ho non poté fare a meno di sussultare leggermente quando l'uomo premette la canna della pistola contro la sua tempia. Chiuse di nuovo gli occhi. L'aria era fredda, ma il sole del mattino scaldava gli scaldava piacevolmente il viso.

      CAPITOLO UNO

      Mentre il sole tramontava sulla prateria, Zero giaceva a pancia in giù nel cumulo di neve, sperando di essere abbastanza in basso e lontano dalla capanna da non essere. Maledisse l’ingenuità di essersi vestito di chiaro; la giacca sintetica foderata in pile era beige, piuttosto simile al bianco, in teoria, ma indubbiamente riconoscibile sulla neve candida. Il passamontagna sul viso era nero perché – beh, perché era difficile trovarne uno che non fosse nero, soprattutto all’ultimo momento.

      Si portò di nuovo il monoculare all'occhio e osservò la capanna in lontananza. Ancora nessun movimento. Ma era certo che quello fosse il posto giusto; piuttosto si stava chiedendo se il suo obbiettivo in quel momento si trovasse all'interno oppure no.

      Zero avrebbe preferito avere un miglior vantaggio. Era solo vagamente consapevole della situazione in cui avrebbe potuto trovarsi, e non era per niente bella. Aveva degli abiti sulla schiena per difendersi dal freddo. Aveva il monoculare. Aveva una pistola, una piccola Walther PPK d'argento con una canna lunga otto centimetri e una capacità di sei colpi. Molti credevano che PP stesse per "pistola tascabile", dal momento che era così facile nasconderla, ma in realtà stava per Polizeipistole, letteralmente, "pistola della polizia", eppure, lui ne stava realmente nascondendo una, precisamente nella tasca destra della giacca.

      Zero non aveva radio, rilevatori di movimento, dispositivi di ascolto, nemmeno un telefono. La CIA avrebbe potuto rintracciarlo usando il suo telefono… o forse, peggio ancora, sua figlia Maya avrebbe potuto rintracciarlo. Non aveva creduto nemmeno un po' alla storia che avesse un appuntamento con un ortopedico in California per la ferita traumatica alla mano di un paio di anni prima. Come al solito, aveva ragione.

      Zero non si trovava in California. Non era nemmeno negli Stati Uniti. Si trovava, invece, sepolto per metà in un banco di neve nell'angolo nord-orientale della provincia canadese del Saskatchewan. Dovendo ricorrere a mappe cartacee, aveva solo una vaga idea di dove si trovasse. Il paesaggio era poco più che una larga distesa di praterie a perdita d'occhio, interrotta soltanto occasionalmente da cumuli di neve e da qualche albero spoglio.

      E, naturalmente, la capanna.

      Si trovava a circa cinquecento metri di distanza dalla sua posizione attuale, e non era altro che un prefabbricato a un piano che non sembrava né vecchio né moderno. Aveva all'incirca le dimensioni e la forma di un rimorchio a diciotto ruote (Zero ipotizzava che fosse arrivata lì proprio in quel modo) ed era stata appoggiata senza tante cerimonie su una base di blocchi di cemento, alcuni dei quali sembravano

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