Un’esca per Zero. Джек Марс
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Ma prima che potesse entrare, una voce la chiamò.
"Signora vicepresidente".
Si fermò. L'uomo che la stava chiamando non era altro che il principe Basheer, o meglio il re Basheer adesso, il figlio maggiore del sovrano defunto. Era alto, aveva le spalle larghe, forse stava anche gonfiando leggermente il petto, se non si sbagliava. Era vestito completamente di bianco, proprio come il prete, ad eccezione del suo copricapo: come si chiama? si chiese, che era stampato in un motivo a scacchi bianchi e rossi che, a dire il vero, le ricordava da vicino una tovaglia da picnic. La sua barba era corta e appuntita, già brizzolata nonostante avesse soltanto trentanove anni.
"Re Basheer". Disse, mentre si congratulava con se stessa per aver ricordato correttamente il suo titolo. "Le mie condoglianze, altezza".
Lui sorrise con gli occhi, ma la sua bocca rimase ferma. "Devo ammettere che abituarsi al nuovo titolo si sta rivelando piuttosto difficile". L'inglese di Basheer era eccellente, ma Joanna notò che faticava a pronunciare le consonanti dure. "Immagino che la sua visita sarà piuttosto breve. Speravo potessimo scambiarci qualche parola in privato".
Era vero; il volo di ritorno era già stato organizzato. Avrebbe dovuto tornare sul jet entro un'ora. Ma la diplomazia le imponeva di non respingere l'offerta di un figlio in lutto, appena divenuto re e un possibile alleato, dal momento che il governo degli Stati Uniti aveva poca idea dei rapporti diplomatici che avrebbe instaurato con il Re Basheer.
Joanna annuì gentilmente. "Ma certo".
Basheer le fece segno di seguirla. "Da questa parte".
Esitò, e a stento si trattenne dallo sbottare, "Adesso?" Il suo sguardo si rivolse alla processione. Basheer aveva appena sepolto suo padre; sicuramente c'erano questioni più importanti a cui occuparsi che parlare con lei.
Uno stretto nodo di apprensione si formò mentre seguiva di pochi passi il nuovo sovrano, nel palazzo e attraverso una sala di ricevimento per dignitari delle dimensioni di una piccola palestra. Mentre i camerieri servivano il rinfresco agli altri visitatori, Joanna fu condotta verso una piccola anticamera. Notò del movimento con la coda dell’occhio; l'alto sacerdote in bianco la stava seguendo silenziosamente.
È più che un prete, pensò. Un consigliere, forse? Nella cultura dei quei luoghi, spesso queste due figure coincidono. Cercò con difficoltà di ricordare come si chiamassero queste persone, Imam, forse?
Chiunque egli fosse, l'alto sacerdote chiuse le spesse doppie porte dell'anticamera dietro di lui. Erano solo in tre in quella stanza; sorprendentemente, non c'era nemmeno un servitore o una guardia. Divani e voluminosi cuscini dai colori accesi erano disposti ovunque, e persino le finestre erano decorate con pesanti velluti.
Questa era una stanza in cui si parlava di segreti, una stanza senza orecchie. E sebbene non sapesse di cosa avrebbe dovuto discutere, Joanna Barkley sapeva che era precisamente il motivo per cui aveva sperato di tornare rapidamente a Washington.
"Si accomodi", disse Basheer, indicando una delle sedie nella stanza. "Prego".
Si sedette su un divano color crema, ma non si abbandonò affatto né fece alcuno sforzo per mettersi comoda. Joanna si sedette sul bordo del cuscino con la schiena dritta e le mani in grembo. "A cosa devo questo incontro?" osò chiedere, saltando tutte le formalità di rito.
Basheer si concesse un raro sorriso.
Non era un segreto che le relazioni tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita si fossero un po' deteriorate da quando il re Ghazi si era ammalato. Ghazi era stato un alleato, ma quando la malattia aveva preso il sopravvento ed era trapelata al pubblico, quelli che avrebbero dovuto parlare per lui erano rimasti stranamente silenziosi. La monarchia in Arabia Saudita era il potere assoluto e dominava tutti i rami del governo, quindi gli Stati Uniti trovarono prudente muoversi cautamente, seguendo i movimenti del principe ereditario Basheer.
Quello che videro non piacque loro affatto.
A peggiorare le cose, Joanna era ben consapevole che l'ex principe aderiva fortemente alla legge della Sharia e aveva un evidente disprezzo per le donne al potere. Nella sua mente non erano e non sarebbero mai stati uguali o pari. Lei era semplicemente inferiore a lui.
"Vorrei parlare brevemente del futuro delle relazioni tra i nostri grandi paesi", iniziò il re.
Joanna sorrise gentilmente. "Prima che si pronunci, sua altezza, ho il dovere di informarla che mi manca l'autorità per autorizzare qualsiasi azione a nome del mio paese".
"Certo", concordò il re. "Ma qualsiasi argomento discusso in questa riunione potrà essere riferito al Presidente".
Joanna cercò a stento di trattenere il suo disappunto per l'essere considerata alla stregua di un messaggero, e non disse nulla.
"So che l'America ospiterà l'Ayatollah dell'Iran questa settimana", proseguì Basheer.
"Esatto". Joanna aveva organizzato la visita da sola; l'alleanza strategica con l'Iran era stata una parte fondamentale degli sforzi del Presidente Rutledge per portare la pace tra gli Stati Uniti e l’Iran. Stavano puntando in alto, ma come era solita fare, Joanna aveva affrontato il problema diplomaticamente e senza pregiudizi e aveva scoperto che una soluzione era tutt'altro che improbabile. “I nostri paesi si stanno riconciliando. Un trattato è attualmente in fase di elaborazione da parte delle Nazioni Unite".
Al funzionario in bianco si dilatarono le narici; sarebbe stato quasi un movimento impercettibile se non si fosse trovato in piedi come una statua accanto alle doppie porte. Per questo il suo movimento istintivo ebbe lo stesso effetto di una frase pronunciata.
"Capisco che potrebbe non essere del tutto, come dire, aggiornata", disse altezzosamente Basheer. "Dato che ha da poco ricevuto l'incarico…"
"Ho ricevuto da poco l'incarico", lo interruppe Joanna. "Ma le assicuro che gli affari esteri non mi sono affatto nuovi".
Cosa sto facendo? Si rimproverò. Non era affatto da lei rivolgersi con irriverenza al suo interlocutore durante un incontro diplomatico. Eppure c'era qualcosa in quel giovane re e nel suo consulente statuario che la irritava in modo insostenibile. Era più che un disprezzo per lei personalmente; era un disprezzo per il suo genere, il pensiero che tutte le donne fossero inferiori a lui. Eppure sapeva che doveva mantenere l’autocontrollo. Era la sua prima grande missione diplomatica da quando aveva assunto la carica di vicepresidente e non avrebbe permesso che si concludesse nel peggiore dei modi.
Basheer annuì. "Certo. Quello che intendevo dire era che potrebbe non essere a conoscenza della storia dei rapporti tra i nostri paesi. Cioè, tra l'Arabia Saudita e l'Iran. Siamo nemici giurati e come tali non possiamo accettare un simile trattato. C'è un detto: Il nemico del mio nemico è mio amico. Secondo la stessa logica, l'amico del mio nemico è il mio nemico".
Joanna si morse la lingua, cercando di trattenersi dal dire ciò che pensava a quel re testardo. Piuttosto che smontare la sua logica a dir poco fallace, lei rispose: "Allora posso chiederle cosa suggerisce, nella sua saggezza, signore?"
"Una scelta, vicepresidente", disse semplicemente