Terre spettrali. Софи Лав

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Terre spettrali - Софи Лав Un Casper a quattro zampe

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due anni prima, quando aveva impostato sul telefono il promemoria di commemorazione per i venticinque anni dalla scomparsa di sua madre, lo aveva fatto perché pensava che ci fosse un punto nella vita di ogni persona in cui era necessario affrontare il proprio passato. E questo sembrava specialmente appropriato adesso che, sebbene non per proprio merito, aveva realizzato il suo sogno di tutta una vita e possedeva un bed-and-breakfast a Port Bliss. Quella città era sempre stata uno dei luoghi preferiti di sua madre, quindi aveva senso, anche se in modo morboso, che fosse scomparsa proprio lì.

      Marie raggiunse l'estremità del molicciolo e scrutò l'oceano. Appoggiandosi al parapetto, poteva sentire la forza dell'oceano sotto di sé. Guardò le onde venire a infrangersi sulla battigia oppure continuare la loro corsa sotto il pontile, allontanandosi dalla sua vista.

      “Okay,” disse al mare. “Sono qui. Non so esattamente perché di preciso, ma sono qui.”

      Si rese conto, appena ebbe pronunciato quelle parole, di averle rivolte in realtà a sua madre. Sulle prime si sentì stramba, forse persino un po' svitata, ma aveva una gran voglia di continuare a parlare. Pensò che non fosse poi così diverso da quando si va a trovare la tomba di una persona amata, e le si parla, come una sorta di terapia, un modo per stabilire un contatto.

      “Sai, potrebbe essere molto più facile parlarti se almeno sapessi se sei morta o se sei ancora viva,” proseguì. “La polizia non ha mai voluto chiudere il caso della tua scomparsa, sai. Ormai è passato così tanto tempo, venticinque anni precisi, e si potrebbe procedere e dichiararti legalmente deceduta. Anche se, tecnicamente, credo che sia più corretto affermare che sono passati ventiquattro anni e undici mesi. Non so se questo conta qualcosa oppure no. Sinceramente non mi ricordo quand'è che sei scomparsa. Zia June me lo ha detto a un certo punto, ma non ricordo bene, e poi…”

      Esitò per un momento, cercando di calarsi con tutto l'animo in quella strana forma di comunicazione. Forse erano le onde, forse il sole splendente che si rifletteva nell'acqua, ma sentiva davvero il desiderio di parlare a sua madre in quel modo. Ad ogni parola, si sentiva… beh, non sapeva dirlo. Insomma sembrava aiutarla a togliersi il peso e la preoccupazione che si erano accumulati sulle sue spalle da quando si era trasferita a Port Bliss.

      “Ad ogni modo, ora vivo a casa di zia June. Forse già lo sai. Se sei davvero morta ed esiste un paradiso, sono sicura che adesso lei è accanto a te. E dunque, adesso gestisco un bed-and-breakfast nella sua villa ed è interessante, a dir poco. Giusto questa mattina ho scoperto una strana camera nascosta. E forse la casa a un certo punto era infestata dai fantasmi, ma ho un cane che è capace di scacciarli, forse, sempre ammesso che ce ne fossero, e…”

      Si fermò, lasciandosi sfuggire una risata nervosa. Cielo, sembrava tutto così folle. Trasse un respiro profondo per calmarsi, poi continuò. “L'attività arranca, ma almeno ne sto ricavando delle gran belle storie, come vedi. Storie che zia June adorerebbe. Storie di fantasmi e strani cani. Ma, ehi, per il momento ho avuto solo una visita da parte della polizia, per uno stranissimo incidente di mongolfiera, e devo dire che…”

      Si fermò ancora una volta, a riflettere su una cosa che aveva appena detto. Ripensò alle sue ultime parole e le venne un'idea. Come aveva fatto a non pensarci prima?

      Per il momento ho avuto solo una visita da parte della polizia…

      Piena di eccitazione, si staccò dal parapetto. Continuando a guardare le bianche creste delle onde che correvano sotto il pontile, disse: “È stato bello, mamma. Ma credo di avere una cosa da fare.”

      Detto questo, riprese a camminare lungo il molo, facendo la stessa strada ma a ritroso. Quando passò di nuovo accanto all'uomo che pescava, aveva ormai accelerato il passo e si stava chiedendo come stesse il suo vecchio amico, il vicesceriffo Miles.

***

      Il dipartimento di polizia della contea di Winscott risultava pittoresco quanto qualsiasi altro edificio entro i limiti urbani di Port Bliss. Il parcheggio era piuttosto vuoto, come si aspettava Marie; Port Bliss non sembrava davvero il tipo di posto in cui la polizia riceveva chiamate urgenti in continuazione. Quando Marie entrò nella centrale, la trovò accogliente e luminosa. All'ingresso si trovava un'ampia area che fungeva da sala d'attesa, perlopiù delimitata da scrivanie, mentre sulla parete di fondo erano allineate alcune celle.

      Dietro la prima scrivania, la più grande della stanza, che serviva da reception, era seduta un'allegra signora piuttosto in carne. “Buongiorno,” la salutò, con un'allegria così tangibile che Marie se ne sentì avvolgere. “Cosa possiamo fare per lei oggi?”

      “So che è poco probabile,” iniziò Marie, “ma per caso c'è il vicesceriffo Miles?”

      “Sa cosa, credo proprio che sia appena tornato in ufficio. Provo a chiamarlo e le dico. Chi devo dirgli che lo vuole?”

      “Marie Fortune.”

      La donna annuì e sorrise. Marie si chiese se per caso avesse già sentito nominare il suo nome nelle ultime settimane, specie nei giorni in cui era sorvegliata come potenziale sospetta per un caso di omicidio.

      Marie rimase in attesa mentre la segretaria alzava la cornetta del telefono e digitava il numero dell'ufficio in questione. Sempre ad alta voce, iniziò a parlare con il vicesceriffo: “Volevo soltanto essere sicura che ci fosse. C'è una certa signorina Marie Fortune qui che chiede di parlare con lei. Gliela posso mandare?” Ci fu una breve pausa, poi la segretaria chiuse la telefonata e premette un pulsante sotto la scrivania per aprire il piccolo cancello che permetteva ai visitatori di accedere all'area degli uffici alle sue spalle.

      “Terzo ufficio sulla destra lungo il corridoio,” disse la segretaria, gesticolando per spiegarle il cammino.

      Marie superò il piccolo cancello e si ritrovò ad attraversare un labirinto di scrivanie e celle. Arrivata al corridoio, si mise a osservare le porte sulla destra. La terza si aprì, e Marie vide il vicesceriffo Miles in piedi che gliela teneva aperta. Aveva lo stesso sorriso sottile che era sempre dipinto sul suo volto. Non sembrava mai davvero allegro, ma neanche arrabbiato o irritato. Sembrava sempre essere in una disposizione neutrale, proprio come i suoi capelli sulle tempie che parevano aver deciso di assumere una sfumatura a metà strada tra il loro nero naturale e un bianco che quasi esitava a volerglisi sostituire.

      “Signorina Fortune, è un piacere vederla,” la salutò. “Entri pure.”

      Quando gli passò di fianco ed entrò nell'ufficio, Marie si sentì un po' stranita. In fin dei conti, il vicesceriffo aveva fatto di tutto per essere dalla sua parte nel caso della misteriosa morte di Alfred Ryker. Non lo conosceva particolarmente bene, ma le sembrava che ne avessero già passate tante insieme. Era stato il vicesceriffo che l'aveva informata della morte della zia June, e che aveva poi dovuto annoverarla tra i sospettati per la morte di Ryker.

      Per questo quando si accomodò dietro la scrivania sorridendole con genuinità, ne fu contenta. “Come sta?” le chiese.

      “Meglio dell'ultima volta che mi ha visto, questo è poco ma sicuro. Per quel che riguarda me, almeno. L'attività sta ancora facendo fatica.”

      “Mi spiace. Ma credo che con un po' di tempo, le cose si risistemeranno e se la caverà. Ma sto divagando. Non sono certo un consulente professionale, neanche lontanamente. Mi dica invece, cosa posso fare per lei?”

      “Beh, non ricordo quanto lei sappia già del mio passato. So che ne abbiamo discusso un po' quando mi ha comunicato la notizia della morte di zia June. Ad ogni modo, mi chiedevo se avesse accesso a un vecchio caso. Vecchio vecchio: di venticinque anni fa, più o meno.”

      Miles annuì, la bocca serrata a formare una linea sottile. “Sua madre, vero?”

      “Giusto…

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