Non resta che uccidere. Блейк Пирс
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Sperava solo che quella pista portasse i suoi frutti. Qualcuno scambiava biglietti. Scritti a mano. Buffo? Quell’ultima parte ancora non aveva senso, ma Adele sperava di poter capire tutto parlando con il postino. E se l’assassino era lui? Una persona che anni fa consegnava pacchi e posta avrebbe avuto l’alibi perfetto per intrufolarsi negli edifici e spiare le sue ignare vittime. Adele non ne era certa, ma si sentiva più vicina di prima alla soluzione.
Trattenne comunque l’emozione, non volendo sperare troppo, ed uscì dalla porta sul davanti, passando in strada. Si fermò un momento, rivolta verso la fermata dell’autobus di fronte a un bar. Sopra notò un cartello del limite di velocità. Chilometri, non miglia. Piccole differenze, ma piccole differenze importanti.
Adele sospirò. Doveva solo aspettare la risposta della padrona di casa.
CAPITOLO TRE
Entrare nel quartier generale del DGSI le parve diverso questa volta. Non più in qualità di corrispondente per l’Interpol, ma di nuovo come dipendente. Non una vera agente, ma comunque una risorsa. Investigatrice freelance. Almeno così l’aveva inquadrata il direttore Foucault.
Ma quando entrò dalle porte laterali, passando oltre la sicurezza, non si diresse verso l’ufficio del direttore. Andò invece dritta verso le scale e poi le scese. Era passata solo mezz’ora da quando aveva parlato con la padrona di casa. Aveva controllato il telefono mentre guidava l’auto fornitale dall’agenzia. Ma dopo essere quasi passata con il rosso, suscitando un coro di claxon infervorati tra le strade di Parigi, Adele aveva deciso che forse era meglio parcheggiare da qualche parte.
Imboccò le scale, godendosi la sensazione di movimento fisico. Uno dei motivi per cui Adele amava correre era che adorava il movimento in sé. Il modo in cui braccia e gambe si allungavano come pistoni. Le scale le donavano la stessa piacevole sensazione di vitalità, di controllo. In fondo, un lungo corridoio conduceva a vecchie stanze vuote e aperte. Lo scantinato del DGSI era stato abbandonato anni prima. Eppure lei sapeva che una persona ne faceva uso.
Per un momento le parve di sentire nell’aria il soffuso odore della fermentazione.
Bussò con le nocche alla seconda porta a sinistra, poi si guardò il polso. Erano quasi le nove di sera. Il che significava che la maggior parte dei dipendenti dell’agenzia se n’erano tornati a casa. E che lui sicuramente era ancora qui.
“Che c’è?” chiese una voce scontrosa dall’interno.
“John, sono io,” rispose Adele.
“Io chi,” chiese la voce con tono un po’ meno burbero.
Adele ruotò gli occhi e senza aspettare girò la maniglia e aprì la porta.
John era seduto sul suo divano, senza la maglietta, la testa appoggiata indietro e un bicchiere con ghiaccio e un liquido chiaro nella mano sinistra.
Aveva un occhio chiuso, come se l’avesse beccato nel mezzo di un pisolino, ma l’altro era aperto e la fissava. Aveva l’aspetto pigro e sornione di un gatto. La maglietta era appallottolata dietro alla testa. Adele sentì l’angolo della bocca curvarsi in un sorrisino mentre lo guardava.
Erano andati a nuotare insieme una volta, alla villa di Robert. Ma era buio allora. Adesso, nel caldo della stanza dello scantinato, il petto di John era scoperto e in bella vista. Aveva sempre saputo che c’erano dei segni di bruciatura sotto al collo, ma non aveva intuito fino dove scendessero.
L’intero lato sinistro del suo torso era decorato da un intricato groviglio di cicatrici, che passavano sotto al braccio e scendevano fino alla vita. Il segno della scottatura sembrava muoversi a ritmo con il respiro di John, ruotando come la pelle squamosa di un serpente. Sotto alla bruciatura e attorno ad essa, appariva evidente che John aveva fatto esercizio: i muscoli erano lucidi di sudore alla luce della lampadina che penzolava dal soffitto.
“Ti piace quello che vedi?” le disse con tono suadente.
Adele si schiarì la gola e sbatté le palpebre. Distolse lo sguardo dalle ferite e lo guardò in volto. Gli occhi del bell’agente erano socchiusi adesso e i suoi capelli scuri erano pettinati indietro, lasciandogli il viso scoperto. Era l’immagine della comodità, nonostante i segni delle scottature. La guardò anche lui.
“Fa… fa male?” gli chiese con tono gentile, sempre guardandolo negli occhi.
“Ogni singolo giorno,” disse lui scrollando le spalle. “Sei qui per ammirare la veduta o per un assaggio della cucina locale?” Fece oscillare il bicchiere verso di lei e accennò con il capo al distillatore casalingo appoggiato al muro, dall’altra parte del divano. Adele era già stata qui, e notò che John aveva recentemente allargato la sua collezione di bicchieri, bottigliette e caraffe. Non sapeva molto di liquori prodotti in casa, ma da quello che aveva assaggiato, certamente approvava.
Lo sguardo di Adele andò verso il bordo del divano e i suoi occhi si posarono su una piccola cornice di vetro. Invece di un disegno o di una foto, però, il quadretto mostrava un emblema di metallo attaccato a un nastro.
Adele sbatté le palpebre.
“È un Légion d’Honneur?” chiese direttamente.
John notò la sua attenzione e subito allungò un braccio e spinse la cornice, facendola cadere indietro e mandandola a infilarsi tra il divano e il muro.
Stupita per il modo in cui trattava la più elevata medaglia d’onore dell’ordine militare francese, Adele incuriosita chiese: “È tua?”
John sbuffò, gli occhi ancora socchiusi. “Non è mia,” disse. “Me l’hanno data, ma non è mia.”
Gli unici altri ornamenti che John teneva nella stanza erano le due foto di un gruppo di uomini. Tutti con addosso la stanchezza data dal deserto, tutti membri del Commandos Marine, i Navy Seal francesi. Le foto erano consumate e sbiadite dal sole, eppure messe in posizione d’onore sopra al divano, dove John poteva vederle quando ci si sdraiava.
“Come ti sei procurato quella ferita?” gli chiese Adele sottovoce.
John ruotò le spalle e prese un lungo sorso dal suo bicchiere. “Di che ferita stai parlando?”
Adele rispose mormorando: “Non serve che me lo dici, se non vuoi.”
John rise e scosse la testa. “Non sono imbarazzato, principessa americana. Vieni, non è una bella storia. Hai bisogno di bere qualcosa.”
Si alzò in piedi e si avvicinò al distillatore, premette un rubinetto e versò il liquido chiaro in una tazza rossa che era capovolta sul ripiano di legno. Tornò poi da Adele e gliela porse. Quando le fu vicino, Adele ricordò quanto fosse alto. Si trovò a guardarlo dal basso all’alto, seguendo con gli occhi il contorno del suo mento, lungo la cicatrice, per poi risalire ai suoi occhi meditabondi.
“Uno schianto con l’elicottero,” disse lui con semplicità. “Il mio stupido cervello non riusciva a disegnare una linea dritta a pagarla oro. Sono stato colpito da ingiunzione nemica.” Scrollò le spalle. “Un sacco di ottimi soldati sono morti sotto i miei occhi.”
“Generalmente non tendono a consegnare una Légion d’Honneur a chi si dimostra un pessimo pilota,” disse Adele.
John rimase in silenzio e si irrigidì. Prese un altro lungo sorso dal suo bicchiere e disse: “Non posso fare finta di sapere