L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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sempre mantenendo il sembiante severo, riprese:

      «Tornate, Vico, alla vostra ordinanza e quivi con l'esempio mostrate quello che tanto bene sapete raccomandare con parole.»

      Vico, a capo dimesso, traendosi dietro per le briglie il cavallo, mestamente si allontana e pensando come il capitano, di cortese e benigno che gli si era fino a quel giorno mostrato, a un tratto avverso gli si facesse e oltraggioso, sospira nel profondo del cuore, e gli prorompe il pianto dagli occhi.

      Il Ferruccio, accompagnandolo col guardo, non potè impedire che a sua posta gli si velasse di lacrime, perocchè dentro gli si sporgesse un pensiero il quale diceva: Crescono i figli nostri migliori di noi, e forse, ahi! indarno.

      «Dove scorgessi in te parte alcuna di uomo, spécchiati, comanderei, in cotesto giovanotto e vergognati. O casa Albizzi, funesta sempre a Fiorenza, sia che nascano da lei genti feroci, come Pietro, Maso e Rinaldo, o codarde, come sei tu...[48]. Or via, scendi da cavallo...»

      «Voi mi volete uccidere...»

      «Tolgo io forse le sue giustizie al carnefice?»

      «Ma perchè devo scendere?»

      «Perchè quando i Dieci ti deputarono alla salute della patria furono o stolti o ebbri o ribaldi; perchè, durante il tempo che nome conservi e comando di magistrato della Repubblica, ogni turpitudine tua ridonda in onta di lei; e perchè finalmente devi riparare al mal fatto, lasciandoti poi, quando sarai tornato Antonfrancesco Albizzi, facoltà ampia di vivere e di morire infame a tuo senno.»

      «I vostri modi, capitano Francesco Ferruccio, passano il segno...»

      «Taci, obbedisci, o ti taglio la gola.»

      E l'atto col quale accompagnò le parole indusse l'Albizzi a scendere senza farglielo ripetere due volte. Ferruccio si lanciò giù dal suo cavallo ed accennò al Commissario che salisse su quello; dipoi, assicuratosi per questa guisa che Antonfrancesco gli avrebbe tenuto dietro, balzò in groppa al palafreno donde era sceso costui e, tormentandolo nella bocca e nei fianchi, lo costringe ai più strani contorcimenti che mai abbia fatti cavallo nel mondo; — poco dopo lo abbriva di tutta carriera contro le compagnie disperse, le quali come prima ebbe incontrato, cominciò ad esclamare in questa maniera:

      «Che vi caccia, soldati? Procedete in sembianza di fuggitivi, e nessuno v'incalza. — Almeno aspettate, per Dio! che vi sopraggiunga il nemico alle spalle. Il Commissario, ordinandolo i Dieci, comanda la ritirata, e voi fuggite? Davvero io non avrei mai creduto che le milizie allevate alla scuola del signor Giovanni, — le reliquie delle Bande Nere, ignorassero qual corra differenza tra una ritirata e la fuga. I Dieci deliberarono, presidiate le cittadelle del dominio, raccogliere quel cumulo d'arme che si potesse maggiore intorno a Fiorenza... Parvi questo pauroso o improvido consiglio? Su via, ordinatevi, e ben per voi che il Commissario, trasportato lontano da questo mal domo animale, — e qui, ferendolo lo costringeva a inferocire, — non si accorse della vostra vergogna: — presto, — presto, — ordinatavi, che già sopraggiunge, — ognuno al suo pennone; — i sergenti a capo delle compagnie; quattro per fronte; — date nei tamburi; — torni a sventolare la bandiera... Viva la Repubblica! Viva!»

      E quivi nasceva una confusione in apparenza maggiore di prima, ma indi in breve squadronate in bell'ordine comparvero le milizie.

      Intanto il Ferruccio spronando di nuovo alla volta dell'Albizzi, piegato il corpo dalla sella, gli susurrava sommesso all'orecchio:

      «Commissario, la tua onta è coperta, — giustificata la fuga; n'ebbe colpa il cavallo; — dacchè non hai virtù, fa di mentirla; — mostrati in parole valente. Nota bene, contro gl'insegnamenti della milizia io ordinai la ritirata, ed io l'ho fatto a posta onde tu salvi la reputazione di magistrato della Repubblica...; però biasima il comando..., raddoppia di fronte le file..., manda gli archibusieri alla coda..., ai fianchi due squadroni di cavalli per tentare la campagna. L'Altoviti tiene fermo nella cittadella finchè gli basti la vita; — comanda al marchese del Monte, uomo animoso e dabbene, insomma diverso affatto da te, di prendere mille fanti e affrettarsi in soccorso dell'Altoviti. Per onestare la tua infamia, basta che tu mentisca, e di leggieri il farai, imperciocchè i codardi sieno maestri di menzogna. — Addio. — Ora cesso cittadino e, ridivenuto soldato, ti obbedisco.»

      Machiavelli nostro, massimo conoscitore di questa umana natura, scrisse in alcuna parte delle opere sue, difficilmente occorrere uomo del tutto buono, come del pari riesce difficile incontrarlo affatto tristo: però l'Albizzi sentì pungersi il cuore di rimorso profondo più adesso, che il Ferruccio vedeva studioso di giustificarlo, che quando con parole acerbe lo rampognava pur dianzi; e poi cominciava per prova a comprendere quello spirito altissimo; e sè a lui paragonando, lo agitava un gruppo di passioni così diverse, di ammirazione per esso, di avvilimento per sè, di rimorso, di vergogna e di terrore, che il sangue a guisa di marea ora gli si spingeva sul volto, ora, ritraendosi verso il cuore, glielo tramutava in colore di defunto.

      Ma se il suo onore era perduto davanti alla sua coscienza e al Ferruccio, poteva e doveva sostenerlo in pubblico per reverenza della patria: — quindi, composto quanto gli riuscì meglio il sembiante, trasmise con voce sonora gli ordini consigliati e comandò a Francesco marchese del Monte, tolti seco i mille fanti, accorresse in aiuto dell'Altoviti, accompagnandolo con sì calde raccomandazioni di travagliarsi in pro della Repubblica, e parole sì ardenti di sacrifizio e di zelo che molti, persuasi della sua fuga, si ricrederono, prestando fede alle parole del Ferruccio.

      Cotesta ora fu piena di amarezza per l'Albizzi, un'ora di passione; mai croce al mondo tanto pesò sugli omeri mortali: sicchè il Ferruccio, sottilmente investigando quel volto che a mano a mano a fior di pelle s'increspava per lo interno lacerarsi dell'anima e il fremito fitto che gli investiva le membra al pensiero terribile che di repente gli suonasse negli orecchi la parola: — cervo, lascia la pelle del lione; — insieme a disprezzo prese ad averne pietà, sempre più imprecando sventura sul capo dei Dieci, i quali, il nome anteponendo alla virtù, lo avevano scelto a Commissario.

      Così senz'altro accidente procederono fin presso a poche miglia da Firenze: andavano mesti e taciturni, perchè pesava a tutti il dolore di cotesta fuga, e, al rivedere che facevano adesso le mura dilette della patria, sentivano più fieramente tormentarsi la coscienza... Che cosa sarebbe stato di lei, se, come principiarono, avessero continuato a difenderla? Sopra gli altri dimesso nell'animo s'innoltra l'Albizzi, col mento abbandonato sul petto, stordito da pensieri senza séguito, — da dolori senza nome; — chiunque lo avesse incontrato per la via, lo avrebbe detto un masnadiere condotto a guastarsi.

      Giunti che furono in parte dove il sentiero si divide in due diversi cammini, l'uno dei quali mena a Firenze, l'altro ai borghi e alle ville circostanti alla città, il Ferruccio, frenando all'improvviso il cavallo, chiamò:

      «Messere Antonfrancesco!»

      L'Albizzi, assorto nella sua meditazione, non lo intendeva, sicchè egli poco dopo più forte replicava:

      «Messere Antonfrancesco!»

      «Chi mi vuole?»

      «Se non vi fosse gravoso, piacerebbevi dirmi qual cosa divisate di fare?»

      «L'ufficio mio, capitano: andarmene ai Dieci ed esporre loro un ragguaglio fedele della mia commissione.»

      «Allora più poca via vi rimane a fare in questo mondo: — dai Dieci al bargello, dal bargello ai sepolcri della vostra famiglia.»

      «E perchè, Ferruccio, perchè? Forse non ebbi consiglio da Malatesta di abbandonare Arezzo? Forse non è vero, ch'essendo debole, mal si poteva tenere, e, perdute queste genti, la città nostra

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