Guida pei monti della Brianza e per le terre circonvicine. Ignazio Cantù
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Accogli dunque Lettore questo povero dono, e se scorgi qualche pregio in esso, riportane il merito alla bellezza del paese che lo ha inspirato; se lo trovi poi assai minore dell'aspettazione e dell'argomento danne pur colpa alla mia poca attitudine, non già a mancanza di buon volere, di fatiche, di studj, di spese se vuoi, di viaggi.
Intanto io auguro a chi s'appresta a visitare questa deliziosa terra, salute e ventura e mi stimerò fortunato quando appena appena potessi ottenere che egli leggendo questo volume, si ricordasse qualche volta di chi glielo donava nella speranza che non sarebbe affatto disaggradito.
IGNAZIO CANTÙ.
Milano 20 luglio 1837.
BREVI NOTIZIE STORICHE DELLA BRIANZA.
Non parmi sconveniente riportare alcuni brevi cenni storici dei paesi fra cui stiamo per fare una piacevole gita, cominciando dalle memorie più antiche, e discendendo fino ai nostri giorni, col compendiare quel che si dice con maggiore abbondanza ed ampiezza nelle Vicende della Brianza e dei paesi circonvicini.
La Brianza, il Piano d'Erba, il distretto di Cantù, il territorio di Lecco, le Valli Assîna e Sâssina furono abitate a immemorabile dagli Orobj, i quali, secondo la tradizione, fondarono la città di Barra sull'altura, che conservò poi sempre il nome di Monte Baro, in vicinanza di Lecco. Questi cedettero agli Umbri, nazione celtica, i quali vennero del pari sgombrati dagli Etruschi, che tagliando le selve, incanalando le acque, promovendo l'agricoltura tolsero ai nostri paesi l'aspetto selvaggio fino allora conservato.
Circa quattro secoli avanti Cristo, i Galli guidati da Bolleveso, superarono gli Etruschi; si fermarono nelle nostre terre, scompartiti probabilmente in due regioni, a capo delle quali erano Brenna, nel distretto di Cantù, e Brenno in quello di Erba. Ma tutti questi popoli oltremontani dovettero piegarsi alle armi di Roma, che ridussero la Brianza a provincia romana e vi fondarono, secondo l'opinione d'alcuni, Liciniforo rispondente all'odierno Villincino. Da servi diventammo anche noi cittadini romani, dopo che aiutammo Giulio Cesare reduce dalle Gallie a portar le armi contro la sua città. Incredibile ambizione!
Sorto il cristianesimo rifulse tosto anche fra noi la luce della verità. Beverate, frazione di Brivio, diede in San Sempliciano il successore di Sant'Ambrogio nella sede metropolitana; Cassago fu il luogo ove Sant'Agostino stette preparandosi al battesimo. Alcune chiese nostre ricordano quei primi tempi e principalmente i battisteri di Galliano, di Mariano, di Barzanò, che durano tuttora, e quel d'Oggiono che fu ridotto ad uso di sagrestia.
Nelle invasioni settentrionali, Unni, Goti si contesero le nostre terre; i primi furono dai secondi respinti, ma poi anche questi vennero cacciati dai Greci per istanza del nostro San Dazio d'Agliate, vescovo milanese. Finalmente i Longobardi ci sottomisero, inalzando fra noi molti monumenti della loro dominazione i quali si additano ancora senza però che si abbiano validi argomenti per comprovare la verità di questa credenza.
Tali sarebbero la chiesa di San Pietro sul monte di Civate, il San Michele sul Montebaro, il prosciugamento delle paludi di Rovagnate, le torri di Carate e Perledo e il monastero di Cremella. A questi aggiungi, il più magnifico di tutti, la cattedrale di Monza.
Divenimmo poi francesi con Carlo Magno, italiani ancora con Berengario, finalmente tedeschi con Ottone I. di Germania. Questi periodi sono per la nostra storia affatto tenebrosi.
Ed eccoti ai tempi feudali, in cui la Brianza costituì la più gran parte del contado rurale della Martesana, di cui era capo Vimercate.
Altri contadi erano pure Lecco e il suo territorio, Limonta e Civenna, a capo del quale rimasero gli abati di Sant'Ambrogio fino al 1796. Abbiamo statuti di questi due contadi, di quello della Martesana nessuno.
Altre autorità minori, col titolo di capitanati, furono erette da Landolfo arcivescovo milanese, uno a Carcano, l'altro a Pirovano e Missaglia, ed il terzo ad Incino di cui investì tre suoi fratelli. Capitanati erano Lomagna, Trezzo, Besana, Agliate, Mandello, Carimate, Mariano ed Asso.
Quando i Milanesi, sottomessi i nobili, si dichiararono in repubblica, i nostri avi, togliendone l'esempio, si affrancarono dai loro conti rurali, abbandonandosi alle violenze repubblicane, e scannandosi fratelli con fratelli. Miserabili ricordanze! Ma ben presto fummo di nuovo sudditi dei feudatarj milanesi, che continuarono ad opprimerci, fin quando furono essi alla loro volta domati da Federigo Barbarossa.
Durante le guerre tra i Milanesi e gli Alemanni, ai tempi di Federigo, noi fummo divisi di parte e di consiglio. Alcuni sull'esempio d'Algiso, abate di Civate, spalleggiarono il Barbarossa; altri, sostenendo i padroni dei nostri campi, combatterono pei Milanesi. Federigo, prevalendosi dell'ajuto dei primi, volle abbattere i secondi, e i Milanesi fecero lo stesso alla loro volta. Finalmente la battaglia di Tassera o di Carcano o d'Orsenigo, come la chiamano, (9 agosto 1160) pose termine alle contese fra noi segnalando il totale trionfo dei Milanesi. Gli uomini d'Erba e d'Orsenigo, mentre il combattimento pendeva indeciso, recando un improvviso soccorso ai Milanesi diedero il tratto della bilancia in favore di questi, onde da quel momento Erba ed Orsenigo furono donate dai Milanesi del diritto di cittadinanza, ripetuto poi da Ottone Visconti, dagli Spagnuoli e dai Tedeschi.
Ma la pace fu breve. I Milanesi ristorate le fumanti ruine della loro patria, si lacerarono tosto con intestine discordie, che rimasero sopite dalla Pace di Lecco (1223), ma che furono poi rinfrescate da Ardigotto Marcellino, che mise a nuovo rumore la città (1224).
Noi imitando l'esempio de' Milanesi ci dichiarammo repubblica, eleggendo a podestà generale della Martesana Enrico da Cernusco, e subalterno Pietro Cano da Agliate. Ma questa condizione di cose durò poco tempo, poichè ristabilita la fazione de' patrizi non solo i due nominati podestà furono obbligati a salvarsi colla fuga, ma i Brianzuoli finirono col perdere i rettori, i capitani e perfino i confalonieri, non rimanendo loro che i consoli comunali.
In quel tempo, i più ricchi possidenti della nostra Brianza erano il monastero di Sant'Ambrogio, da cui dipendevano Limonta e Civenna; l'arciprete di Monza che godeva la giurisdizione feudale sulle terre d'Oggiono, Sirone, Cassago, Monticello, Casirago, Massajola, Sorino, Maresso, Torrigia, Tresella, Castelmarte, le corti di Bulciago, Calpuno, e Velate, Monguzzo, Cremella ed Osnago e moltissime altre; il monastero di San Dionigi che possedeva alcune terre in Barzanò, Verzago, Cuciago, Merate, Pescate e Sabbioncello.
Intanto dalla Valsassina usciva una nuova potenza, che doveva passare dalla pace d'un umile paesello, al fasto d'un dominio potente, contendere colle prime autorità italiane, dare più presto de' re, che de' capitani, i quali sarebbero poi scomparsi, parte trafitti, parte condannati alle durezze dell'esiglio e delle prigionie.
Pagano della Torre, nativo di Primaluna, fattosi benemerito de' Milanesi, dopo la battaglia di Cortenova (1237), fu da essi nominato protettore del popolo, contro l'arcivescovo Leone, detto volgarmente da Perego dal nome del suo paesello natale.
Pagano trionfò, ma a mezzo delle sue vittorie cessò di vivere (6 giugno 1240) lasciando il protettorato a Martino degnissimo suo nipote, che proseguì le contese sanguinose coi nobili finchè la tregua di Parabiago (4 aprile 1257) sospese per qualche tempo lo scialacquo del sangue. Poco appresso l'arcivescovo Leone, infermatosi a Legnano, scese nella quiete della tomba, dopo la vita più tumultuosa ai 16 ottobre