Carlo Darwin. Michele Lessona
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Sono trascorsi dieci anni da che mi venne fatta quella traduzione, e in questo decennio, come in tutta la mia vita, non ho avuto guari tempo a gustar la dolcezza di riposarmi col pensiero nel passato. Pure oggi ho quel viaggio nella memoria come quando lo traduceva, e ancora tengo dietro a passo a passo al grande viaggiatore, e sento vivo più che mai l'affetto per lui che non ho mai veduto, con cui non ebbi mai che fare altrimenti che per la lettura e lo studio de' suoi libri; ma il lungo addentrarmi nel suo pensiero, il seguirlo nel suo vagar di spiaggia in spiaggia e più nel pellegrinaggio sublime della mente, mi hanno affezionato a lui per modo che egli ha preso posto nell'animo mio fra le persone più care cui sia mai stata legata la mia esistenza.
II
Il Beagle, salpando da Devonport, lasciò l'Inghilterra il giorno 27 dicembre 1831 e, toccando qualche punto secondario, il giorno 29 febbraio dell'anno 1832 approdava al Brasile, a Bahia, e il giorno 4 aprile a Rio-Janeiro.
Là ebbe il Darwin la prima occasione di fare quello che sempre cercò poi di fare lungo il viaggio, e invero ripetutamente fece, una escursione dentro terra. Un inglese di cui aveva fatto, appena arrivato, la conoscenza, doveva andare a visitare un suo podere, discosto oltre cento miglia dalla città; gli fece l'invito, che molto di buon animo egli accolse, di tenergli compagnia. Partirono addì 8 aprile.
«La giornata, dice egli, era terribilmente calda, e nello attraversare i boschi ogni cosa era immobile, tranne le grandi e splendide farfalle che svolazzavano qua e là. Il paesaggio veduto nell'attraversare le colline dietro Praia Grande era bellissimo; i colori intensi, e la tinta dominante l'azzurro scuro; il cielo e le tranquille acque del golfo splendevano a gara. Dopo di avere attraversato un po' di terra coltivata, entrammo in una foresta, di una maestà al tutto insuperata. Giungemmo a mezzogiorno ad Ithacaia; questo villaggetto è posto in una pianura e intorno alla casa centrale stanno le capanne dei neri. Queste, per la loro forma regolare e per la loro posizione, mi rammentarono i disegni delle abitazioni degli Ottentoti nell'Africa meridionale. Siccome la luna si alzava di buon'ora, determinammo di partire la stessa sera per andare a dormire a Lagra Marica. Mentre andava facendosi buio, passammo sotto uno di quei massicci, nudi e scoscesi dirupi di granito che sono tanto comuni in questo paese. Questo luogo è notevole per essere stato da lungo tempo la dimora di alcuni schiavi fuggiti, i quali, coltivando un pezzetta di terra presso alla cima, riuscirono a sostentarsi. Alla fine furono scoperti, e una compagnia di soldati spedita contro di loro s'impadronì di tutti gli schiavi, salvo una vecchia, la quale anzichè ricadere in schiavitù amò meglio morire precipitandosi dalla rupe. In una matrona romana quest'atto sarebbe stato chiamato amore nobilissimo di libertà; in una povera nera era solo brutale ostinazione. Continuammo a cavalcare per alcune ore. Per le ultime poche miglia la strada era intralciata, e attraversava una landa deserta, sparsa di paludi e di lagune. Il paesaggio veduto al chiaro di luna aveva un aspetto desolatissimo. Alcune poche lucciole svolazzavano accanto a noi; e il beccaccino solitario mandava, spiccando il volo, il suo grido lamentoso. Il lontano mormorio del mare rompeva appena la quiete di quella notte.»
Lo spettacolo della schiavitù contristò profondamente l'animo del Darwin. Più volte egli ne parla e quando, compiuto il viaggio, il Beagle tornò a Rio-Janeiro, al momento di salpare egli ha queste parole:
«Ringrazio Dio di non aver mai più da visitare un paese di schiavi. Fino ad oggi, se sento un gemito lontano, esso mi richiama alla mente con dolorosa verità il senso che provava quando passando vicino a una casa di Pernambuco, udiva gemiti pietosissimi, e non poteva supporre altro che la tortura di qualche povero schiavo, mentre sapeva che io era tanto impotente quanto un fanciullo per fare anche solo una rimostranza. Io sospettava che quei gemiti venissero da qualche schiavo torturato, perchè mi fu detto che questo era il caso in un'altra circostanza.
«Presso Rio-Janeiro io abitava in faccia ad una vecchia signora che aveva uno strumento a vite per schiacciare le dita delle sue schiave. Io ho dimorato in una casa ove un giovane maggiordomo mulatto era giornalmente e ad ogni ora avvilito, battuto e perseguitato per modo da rendere stupido l'animale più basso. Ho veduto un fanciullo di sei od otto anni, colpito tre volte con una frusta (prima che io avessi potuto intervenire) sul capo nudo, per avermi portato un bicchiere d'acqua non ben pulito; vidi il padre di quel bimbo tremare ad una occhiata del padrone. Fui testimonio di queste ultime crudeltà in una colonia spagnuola, nella quale si è sempre detto che gli schiavi son meglio trattati che non dai Portoghesi, dagli Inglesi, e da altre nazioni europee. Ho veduto a Rio-Janeiro un nero robusto spaventato ripararsi da uno schiaffo che credeva rivolto alla sua faccia. Era presente quando un uomo molto compassionevole stava in procinto di separare per sempre gli uomini, le donne, i bimbi di un gran numero di famiglie che da lungo tempo eran vissuti insieme. Non menzionerò neppure le molte dolorose atrocità che ho udito menzionare da fonti autentiche; nè avrei riferito i rivoltanti particolari suddetti, se non avessi incontrato certe persone, le quali, accecate dalla indole naturalmente allegra del nero, parlano della schiavitù come di un male sopportabile. Quelle persone hanno frequentato in generale le case delle classi più agiate, ove per solito i domestici schiavi sono trattati bene; e non hanno vissuto al pari di me fra le classi inferiori. Cosifatti investigatori chiedono ragguagli agli schiavi intorno alla loro condizione; essi dimenticano che lo schiavo deve essere ben stupido se non calcola la conseguenza che può avere la sua risposta se venisse all'orecchio del padrone.
«Si è detto che l'interesse proprio può impedire una eccessiva crudeltà; come se l'interesse proteggesse i nostri animali domestici, che son molto lontani dal somigliare a schiavi degradati nel destare la rabbia dei loro selvaggi padroni. È un argomento contro il quale da lungo tempo ha protestato con nobile sentimento, e con esempi notevolissimi, il sempre illustre Humboldt. Si è cercato spesso di palliare la schiavitù comparando lo stato degli schiavi con quello dei nostri più poveri contadini; se la miseria dei nostri poveri non fosse cagionata dalle leggi della natura, ma dalle nostre istituzioni, il nostro peccato sarebbe grande; ma non vedo come questo abbia rapporto colla schiavitù; sarebbe come se per difendere l'uso delle tanaglie per stritolare le dita in un paese, si dicesse che in un altro gli uomini vanno soggetti a qualche terribile malattia. Coloro che considerano con tanta benevolenza il padrone, e con tanta freddezza lo schiavo, non si sono mai messi nei panni di quest'ultimo—quale desolato avvenire, senza neppure la speranza di un mutamento! Immaginatevi la probabilità, che sempre vi sta sul capo, di vedere vostra moglie e i vostri bambini—che anche allo schiavo la natura dà il diritto di chiamare suoi propri—strappati dal vostro petto e venduti come animali al primo offerente! E questi fatti sono compiuti e sostenuti da uomini che professano di amare il loro prossimo come loro stessi, che credono in Dio, e dicono pregando che la Sua volontà sia fatta su questa terra! Fa bollire il sangue, tremare il cuore, il pensiero che noi inglesi ed i nostri discendenti americani, col loro vantato grido di libertà, abbiano compiuto e compiano ancora simili delitti; ma è una consolazione pensare, che noi almeno abbiamo fatto un sagrifizio maggiore, non mai fatto da nessuna altra nazione, per espiare il nostro delitto.»
In quelle prime sue gite nello interno del Brasile, poco dopo l'approdo, imbattutosi per avventura in una discreta venda, o locanda, dice:
«Siccome la venda era qui molto buona ed io ho la piacevole, sebbene rara, rimembranza di un eccellente desinare, mi mostrerò riconoscente, e la descriverò come tipo della sua classe. Queste case sovente sono grandi e fabbricate con pali spessi, diritti, con intreccio di ramoscelli e quindi intonacate. Di rado hanno un pavimento, e non mai finestre a vetri, ma per lo più hanno un tetto ben fatto. Generalmente la facciata è aperta, e forma una sorta di veranda, nella quale sono allogate tavole e panche. Le stanze da letto stanno ai due lati, e là il viaggiatore può dormire comodamente quanto gli è possibile, sopra una piattaforma