Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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[1] Ora sentiamo che la vendita è accaduta alla ragione del 65 e centesimi per cento!
Intorno alla difficoltà di accomodare altri 150 milioni di Buoni del Tesoro in tempi così difficili, per iscarsezza di moneta e per presagi di guerra, il Ministro sta come torre fermo, che non crolla nelle sue virtù teologali (eccetto la carità) di collocarli con vantaggio. Per lui 300 milioni di Buoni del Tesoro, senza riscontro delle rendite da riscotersi in saldo di loro, e' sono ninnoli di cui non vale il pregio trattenere la brigata[1].
[1] Il discorso dei signor Pasini ha due parti; la prima per mantenere il credito alla sua relazione; la seconda per lavorare di straforo l'amico Minghetti—Anch'egli non reputa i Buoni del Tesoro sconti di rendite avvenire, e ci mette a riscontro i disavanzi passivi, i quali non ci avrebbero ad essere, e anch'egli li biasima. Quando la mala pratica cesserà i Buoni del Tesoro saranno cambiati senza provvista nel bilancio pubblico.—Quanto alla difficoltà di alienare beni, e in misura da saldare i debiti nè il Pasini, nè il Minghetti movono verbo; il Pasini poi fa buono fino al 1864; di quanto avverrà dopo pensi a cui tocca. Anco ci è parsa strana la risposta che la tassa della rendita mobiliare, e della prediale non può venire meno alla somma contemplata a cagione della quota apposta ad ogni Comune, come se il busillis istesse nello assegnarla, e non nel riscoterla.
Il Ministro non ha promesso mai bilanciare le spese straordinarie dentro i quattro anni, che per queste la Italia dovrà masticare fave per un pezzo; ma in ogni evento la Italia avrà proprio debito a lui, e all'onorevole suo predecessore Sella di averla salvata da fallire ordinariamente; quanto a fallire straordinariamente è un'altro paio di maniche: di questo egli se ne lava le mani nel 1867, e sempre.
Il Ministro non vede perchè abbia a rimanere inefficace la tassa sopra la rendita mobile; nè manco la vede al pareggiamento della imposta prediale: queste hanno da operare fino dal primo dì del 1864[1]: quanto a quelle sul consumo delle derrate non può negarsi, bisognerà aspettare; ma non fa nulla, bocca baciata non perde ventura, ma si rinnuova come fa la luna.
[1] Era così; adesso si è renunziato, diminuita la rendita il manco cresce.
Certo, nè anco il Ministro nega che vuolsi renunziare al pareggio delle spese con le rendite ordinarie pel 1867; e ciò che rileva? Se non avverrà pel 67, sarà pel 77; pel 97; per qualche sette sarà; e poi per lui non rimase, che tanto benefizio comparisse, le sue brave leggi ei compose, ed ordinò, e non potersi appuntare lui se il Parlamento non le mise a partito, come nè anco fie sua la colpa caso mai gli Italiani non pagassero i balzelli; colui che tolse ad avvezzare l'Asino a starsi digiuno, quante volte gli levò la biada il suo dovere lo fece, se poi l'Asino in capo a sei giorni volle morire, la colpa è dell'Asino, non dell'Asinaio.
A colmare il vuoto ci si butteranno dentro i beni demaniali; se non bastano questi, dietro a loro i beni delle casse ecclesiastiche della Italia settentrionale, e media; e se si trovassero corti anco gli altri delle province del mezzogiorno. I quattrini si trovano, o Signore! che ci vuole mai a battere moneta? Nulla; portare l'oro e l'argento alla zecca perchè te li conino, operazione semplicissima a cui basta l'ingegno del Ministro, e ce ne avanza.
Leggesi su per le storie, che le Castellane d'Inghilterra, venute meno le provviste, mettevano su la mensa al nobile marito un piatto con dentro un paio di sproni: a questa cena, se la dura così, io temo riserbata la Italia; per me credo, che il signor Minghetti, il quale è uomo di lettere, abbia imparato dalla lettura del Canto del Conte Ugolino a comporre i suoi poemi di Finanza, però che l'ultimo suo meni dirittamente la Italia a mangiarsi le mani per colazione.—
In onta a ciò, e al troppo più, che potremmo dire ogni cosa sarà non pure approvata, ma laudata, e levata a cielo, imperciocchè ormai gli avversari nostri non possano più come una volta sostenere che noi divide la opinione del metodo da praticarsi diverso per comporre la Italia: questo per taluno può essere, ma dai più ci separano cause bene altramente profonde. I nostri nemici tacciono, e così adoperando si gloriano savi; se così è sbrancate sette bufali e collocateli dentro le nicchie dirimpetto i sette sapienti della Grecia; essi tacciono perchè loro sta lo ingoffo in gola; se mai favellano borbottano come quelli, che tengono sempre il boccone in bocca: rettile di nuova specie, il Moderato si assidera finchè dura il tempo del ragionamento; quando poi spira l'aura dello errore e della servitù si rizza fischiante, e velenoso a mordere la Libertà, che lo sopporta. Miralo! cieco e incatenato ai suoi compagni contro la Patria, e la Libertà pari a Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, il quale privo di vista, è fama, che così facesse insieme alla sua baronìa nella battaglia di Crecy[1].—Chi non ha le mani pure, vada prima a purificarsi, e torni poi a sagrificare nel tempio, comanda il Vangelo, e noi chiunque tira soldo, e tiene ufficio di governo non apra labbro, se gli cale la fama, nei Parlamenti, e rifugga da parteciparvi, che le intenzioni Dio solo guarda, e l'uomo diritto ha da aborrire ogni sembianza, che sia vile. Prima a costui per la salute della Patria non parve abbastanza appiccare fuoco al Vesuvio, ora con poco spazio di tempo accostato ai geli delle Alpi, anch'essi non reputa sufficientemente ghiacciati: prima il popolo voce e braccio di Dio, adesso polvere soffiata dal Demonio su questa terra; o dove te sacramenti sincero, e immune da ogni vile talento, sarà, ma comincia dallo affermarlo senza il boccone in bocca: sputa i dodicimila franchi; sputa la cattedra; sputa la strada ferrata; sputa la badìa, sputa, e sputa o poi parla. Capitani allo esercito, Professori alle università, Giudici ai tribunali: la sua parte ad ognuno. E gli Avvocati dove? In paradiso a tenere compagnia a Santo Ivone, che ci entrò (dicono) di contrabbando.—Lo dissi e lo ripeto, il popolo ha proprio sete di onestà.—Noi pertanto abbiamo bisogno di Roma sia che dobbiamo ridurci in pace, ovvero rompere in guerra; o procediamo congiunti con la Francia, o ci separiamo da lei; o soli vogliamo combattere le nostre guerre, o in compagnia di Francia combattere le comuni: così durando nè per noi siamo buoni nè per altrui.—
[1] Froissard, Croni. t. 1. p. 238.
Contrariamente ai presagi, ci dicono uomini, che lo potrebbero sapere come lo imperatore di Francia si disponga a levarsi da Roma, lasciando libero, il popolo romano di eleggere il reggimento che meglio desidera: dopo quattordici anni e' sembra, che si voglia ricordare a Roma essere andato appunto per questo; gli è un po' tardi per la verità, ma meglio tardi, che mai. Certo Romolo per fondare Roma consultò gli avvoltoi dell'Aventino non i galli di Parigi: Roma si avrebbe a pigliare col dosso non già con la palma della mano voltata al cielo; in questo modo si chiede la elemosina: e noi andremo a Roma con la Libertà come il contrabbandiere col frodo sotto: non così, non così si salisce il Campidoglio a salutare le anime latine, bensì si scende nelle Catacombe a gemere sopra i martiri cristiani, e nondimanco pazienza! Purchè fosse…! Le memorie della romana grandezza