Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire. Belgioioso Cristina

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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire - Belgioioso Cristina

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corte, fidavano anch'essi nelle armi che avrebbero consegnate ai lazzari in un momento di crisi rivoluzionaria e si confortavano pensando che il popolano così affezionato al suo Re e così devoto al clero avrebbe resistito a tutte le seduzioni del partito liberale.

      Già sul finire dello scorso secolo, i lazzari si erano mostrati quali li volevano il Re, la nobiltà ed il clero, e se nel Maggio del 48 il sangue cittadino non fu sparso in tanta copia, quanto nei giorni di Championnet, non fu quella parsimonia da attribuirsi alla clemenza del popolo, ma bensì alla debolezza della resistenza che ad esso opposero i liberali, che in picciol numero erano rimasti in Napoli, mentre pressochè tutti correvano verso il Po ove speravano combattere e vincere l'austriaco.

      Intanto sì il Re che la nobiltà ed il clero si confortavano colle dimostrazioni popolari che consideravano come sintomi importantissimi dello stato della pubblica opinione. — Quando il Re compariva a Chiaja o a S. Lucia era salutato con acclamazioni frenetiche dei lazzari-pescatori, ed esso rientrava nel suo palazzo convinto che il suo popolo lo adorava, e sicuro di trovar sempre una valida difesa contro il liberalismo ed i liberali, in quei semplici, ma fedelissimi petti. — La nobiltà divideva le illusioni del sovrano, e ben sapendo, che la privilegiata di lei condizione si manterrebbe quanto il potere assoluto del principe, dessa si stimava solidamente stabilita e secura. — Il clero anch'esso vedeva sempre lo stesso concorso di popolo nella chiesa di S. Gennaro il giorno del famoso miracolo; udiva le stesse preghiere, le stesse promesse, improperi ed acclamazioni secondo che il sangue era più o meno pronto a bollire, vedeva la stessa moltitudine seguirlo nelle processioni, la stessa calca nelle chiese, ai confessionali, dinanzi agli altari; vendeva lo stesso numero di reliquie, di messe, benedizioni, indulgenze, candele o acqua benedetta, ecc. ecc., e si confortava pensando che la fede non era scemata malgrado i tentativi e gli sforzi dei liberali, e dicendosi che molti secoli passerebbero ancora prima che si riescisse a trasformare il lazzaro napoletano, in un cittadino civile, istruito e spregiudicato.

      Erravamo tutti. — Nè il re, nè la nobiltà nè il clero distinguevano ciò che vi era di semplicemente drammatico in quelle dimostrazioni popolari, da ciò che vi era di veramente sentito. — Il popolo napoletano era favorevolmente inclinato al suo re perchè ne riceveva qualche parola o qualche tratto famigliare, e perchè il despotismo borbonico non pesava direttamente sopra di lui. — Era disposto verso la nobiltà ad un dipresso come verso il suo re ed il clero gli appariva come una categoria di esseri qualche poco soprannaturali, capaci di operare alcuni miracoli, ed in relazioni segrete ma dirette cogli abitanti del paradiso.

      Sapeva altresì che le sue acclamazioni, e le sue romorose dimostrazioni riescivano assai gradite a quei tre ordini di persone, la corte cioè, la nobiltà ed il clero, che le rimuneravano con qualche largizione o con altri favori, e siccome il porsi in iscena facendo dimostrazioni, acclamando, urlando e schiamazzando è cosa che nulla costa al popolo napoletano, così tanto la corte quanto il clero e la nobiltà erano sempre salutati dalla plebe con eguale entusiasmo.

      Ma le società segrete e gli emissarii di esse non trascuravano allora la educazione politica del lazzarone. — La classe media della popolazione apparteneva quasi per intiero a quelle società segrete, ed andava ispirando al popolo con cui mantenevasi in relazioni strette e famigliari, l'odio dello straniero e dei suoi strumenti, l'amore della libertà e della gloria, e l'entusiasmo per quel Garibaldi il cui valore emulava la potenza del clero nel far miracoli, il che eccitava nel cuore dei lazzaroni un ardente desiderio di vedere e di acclamare quel prodigioso eroe, ed un certo raccapriccio al solo pensiero che il Borbone imponesse loro di combatterlo.

      I progressi delle istruzioni e delle intimazioni date dal ceto medio al basso popolo, apparivano nella agitazione che subentrava alla naturale indolenza del popolo napoletano. — Il governo borbonico confiscava i giornali che trattavano delle cose d'Italia, e credeva con ciò di mantenere il popolo in quella assoluta ignoranza di cui si era fatto uno scudo; ma gli emissarii delle segrete associazioni spargevano a voce le notizie meglio adatte all'umore ed al carattere di quelle plebi; raccontavano i combattimenti e le vittorie conseguite sull'austriaco, la confusione e lo spavento del nemico, le prodezze del re Vittorio e di Garibaldi che apparivano come altrettanti Orlandi, presentavano alla immaginazione di quel popolo, un quadro così seducente che al confronto di questo impallidiva e si oscurava lo splendore delle cerimonie religiose, i miracoli di S. Gennaro ed altri, ed il magico sfarzo delle feste di corte.

      Ognun sa come Garibaldi entrò a Napoli, accompagnato soltanto dal suo stato maggiore, e come attraversasse le vie ingombre di popolo e di soldati borbonici, salutato dalle entusiastiche acclamazioni di quelli su di cui faceva appunto il re per combatterlo. — Non un colpo di fucile fu tirato quel giorno a Napoli; e fu questo per noi grande ventura, poichè cessato l'incanto che attraeva quelle moltitudini a Garibaldi, troppo facile cosa sarebbe riescita l'impadronirsi di lui e lo annientare tutti gli effetti della spedizione Siculo-Napoletana. Fortunatamente però, l'incantesimo non fu rotto. — I soldati borbonici si ritirarono a Gaeta ove li aspettava il re, ed il popolo lasciato in balìa di sè medesimo, si abbandonò all'ebbrezza della sua gioja e della sua ammirazione per quell'eroe ch'era venuto per così dire disarmato a liberarlo.

      Da quel momento sino ad oggi, Napoli ha subìto le varie peripezie che subiva il rimanente d'Italia; ma non ha dato segno di essersi pentito di quella sua rapida trasformazione. — Non camminò con passo veloce sulla via del progresso e della civiltà; ivi, non meno che altrove va deplorata la inerzia delle classi educate e colte; che poco o nulla hanno tentato per riscattare la plebe dalla sua secolare ignoranza. — Pure un certo quale progresso è evidente per chi visita oggi Napoli, e si ricorda come lo aveva lasciato alcuni anni addietro. — Le vie principali della città sono sgombre dalle immondezze e dai rottami che le disonoravano altre volte; alcuni ampj ed eleganti magazzini di stoffe, di ornamenti in oro o in corallo, adornano invece la città, e gareggiano già in estensione ed in lusso coi principali magazzeni di Parigi e di Londra, il popolo quasi ignudo che giaceva disteso in terra sulla sponda del mare, e sul lastrico delle contrade, è pressochè interamente scomparso. — I bambini di quei padri non istanno più li interi giorni rotolati ed aggruppati sui marmi delle chiese per godere un poco di fresco, intento favorito dal modo loro di vestire che consisteva nella assenza completa di qualsiasi pezza di tela o di stoffa che ne coprisse il corpo o le membra. — Da tutto ciò si vede che il popolo Napoletano, non ignora da qual lato dell'orizzonte spunti il sole del viver civile, e desidera uniformarsi anch'esso alle leggi della civile società.

      Diciamo ancora che il Napoletano sottoposto per la prima volta a gravose imposte, condotto sul campo di battaglia per difendervi dei principii a lui poco noti ed apparentemente estranei ai suoi interessi, non ha mai dato segno di malcontento; e meno ancora di tendenza alla ribellione.

      Tutto ciò ne dà liete speranze per l'avvenire, e poichè Napoli si mostra così bene disposta a lasciarsi guidare ed a porre la sua fiducia nel senno altrui, piuttosto che nei suoi naturali istinti, e nelle sue proprie impressioni, tanto più deploriamo la lentezza con cui il nostro governo e le classi più colte e più facoltose della popolazione si occupano di fondare associazioni ed istituzioni dirette alla educazione ed alla istruzione del popolo. Che cosa non siamo noi in diritto di aspettare da un popolo che per tanti secoli corrotto e depravato di proposito da un iniquo ed assurdo governo, acquistata in un giorno la illimitata libertà che si compete soltanto alle più incivilite nazioni, non abusa di così gran dono, e si sottopone di buona voglia a tutti i sacrificii che sono come il prezzo della sua libertà!

      Non possiamo tributare le medesime lodi alla Sicilia. — Ivi la corruzione si mesce alla naturale ferocia di una popolazione derivata in parte dall'Arabo, e quell'isola che fu un giorno popolare e ricca oltre ogni credere, non ha fatto sin qui uso della acquistata libertà se non per compiere atti che non si possono paragonare che alle carnificine del medio evo, o dei popoli selvaggi. — La camorra che alleata al brigantaggio nel Napoletano, ritardava il progresso di quelle popolazioni verso la civiltà, opprime e disonora la Sicilia con una impudente tirannide che non ha pari. — L'isola che per due terzi della sua estensione è posseduta dalle corporazioni religiose e dalle manimorte, è pressochè deserta,

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