Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire. Belgioioso Cristina

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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire - Belgioioso Cristina

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di Lucca, la Sardegna, il Napoletano, la Sicilia, e non so se la repubblica di S. Marino, avevano ciascuna non meno di una Università; ed i riguardi con che il governo nostro nazionale ha creduto di dover trattare i pregiudizii autonomici delle provincie italiane sono tali, che non si è peranco accinto a ridurre questo superfluo numero di Università. — Lo stesso può dirsi verosimilmente di alcuni degli osservatorii astronomici e delle accademie letterarie, che erano considerate come un adornamento distintivo di una capitale; ed ora non si tolgono per non far sentire agli abitanti di coteste già capitali ch'essi sono decaduti da ciò che ad essi o ad alcuno di essi può sembrare una situazione assai elevata. Ma tali riguardi eccessivi non possono essere perpetuati, ed il numero degli istituti scientifici o insegnanti sarà messo in armonia coi bisogni del paese, cioè col numero degli studenti di esso.

       Certo è però che se quel prodigioso numero di Università non ha tutto il favorevole significato che gli si potrebbe attribuire, ciò non significa per nulla che debba o possa farne arrossire; e se il numero dei nostri corpi insegnanti oltrepassa i nostri bisogni, questo difetto di proporzione non è cagionato dal recente scemarsi del numero degli studenti, bensì dalle cangiate circostanze del paese, dal concentramento nazionale, dalla distruzione di pressochè tutti i confini interni d'Italia, e dal rapido accrescimento delle vie di comunicazione fra le varie Provincie. Il numero delle Università italiane sarà indubitatamente ridotto; dubito però che possa mai esserlo nella misura della Francia e dell'Inghilterra, perchè la topografia e la figura stessa della nostra Italia osta ad un sistema troppo assoluto di concentramento. Se le provincie meridionali d'Italia come le Calabrie, gli Abruzzi, Terra di Bari e di Otranto, la Sicilia, ecc. dovessero mandarci i loro studenti a Pavia o a Padova, temo che finirebbero col rinunziare ai vantaggi di una educazione universitaria.

      Prima di procedere alla soppressione di alcune delle nostre Università, conviene ponderare accuratamente quali fra di esse possono essere impunemente tolte, cioè senza che si interrompano e facciano sosta i progressi della pubblica e nazionale istruzione, che è quanto dire del nazionale incivilimento.

      Questo rapido esame dell'incremento, ch'ebbero negli ultimi pochissimi anni i mezzi di comunicazione e d'istruzione popolare nel nostro paese, ne presenta in vero molte sorgenti di conforto. Una considerazione però tempra la soddisfazione, che vorremmo ritrarne; ed è questa la influenza, anzi la ingerenza piuttosto accresciuta che scemata del clero negli stabilimenti della pubblica istruzione. Eravamo preparati a codesta preponderanza nelle provincie meridionali; ma i dati statistici, ai quali mi riferisco per questo lavoro, non la mostrano minore nel Piemonte, nella Liguria, nella Lombardia e nella Toscana, che nel Napoletano e nella Sicilia stessa. — Se di tale scoperta non solo mi meraviglio, ma mi rammarico, ciò non proviene da avversione al clero cattolico, e molto meno poi da dispregio per la religione, di cui è detto il ministro; ma soltanto perchè il clero può essere considerato a buon diritto, meno qualche eccezione, irremissibilmente ostile all'ordinamento oggi in vigore in Italia, e perchè tale essendo, i nostri giovanetti a lui affidati non possono ispirarsi ai sentimenti di lealtà, di gratitudine e di rispettosa fiducia verso il nazionale governo, che si richiedono dai cittadini di un paese libero. — Il clero cattolico è naturalmente avverso alle libertà civili, ch'esso confonde talora colla libertà di pensiero e di coscienza, e che in ogni caso esso tiene per indissolubilmente legate fra di loro, e non a torto. Io non discuterò quì se più felice sia il popolo soggiogato civilmente e intellettualmente, ma che non sente il peso del giogo a cui è avvezzo, ed al quale si rassegna confortato da una cieca fede in tutto ciò che gli insegna il suo clero; o il popolo liberale ed indipendente, conquistatore dei proprii diritti e di essi pienamente conscio, ma a cui fu tolto l'intimo conforto, ed il forte sostegno di quella cieca fede. — Sono queste quistioni le mille volte discusse, senza ricevere una soluzione che ponesse fine ad ulteriori dibattimenti. — Ma il nostro popolo ha risoluto il quesito col fatto della sua scelta. Il popolo schiavo ha voluto essere libero ed indipendente a qualsiasi costo; ed ha realizzato diffatti questo suo ardentissimo desiderio. Oggi non si tratta di decidere se a lui convenga di acquistare la libertà, o se sia meglio per lui di rimanere qual era nel medio evo. — Trattasi d'imparare a far buon uso dell'acquistata libertà; di preparare la vegnente generazione al pieno godimento di quei beni che i padri suoi non seppero che imperfettamente sviluppare. Trattasi di riunire, di fondere tutti gli Italiani in un pensiero concorde di gratitudine pei singolari benefizi ricevuti, e nella invariabile risoluzione di sottoporsi ai maggiori sagrifizi, piuttosto che rinunziare alle conquiste fatte, o che mostrarsene poco degni. Tale essendo la parte che spetta all'attuale e alla futura generazione di Italiani, vorrei mi si dicesse che cosa pensano e quale scopo si prefiggono i parenti che affidano la educazione dei loro figli al clero, ed al clero regolare in particolar modo, cioè al nemico delle nostre istituzioni, a quello che vorrebbe ricondurne indietro sino alla servitù materiale ed intellettuale del medio evo, e che ha missione dal suo capo spirituale e temporale, da quel capo riverito e temuto, a cui nessun membro del clero cattolico può sottrarre la menoma parte di sè stesso, ha missione, dico, di non transigere mai coll'attuale ordine di cose in Italia, ma di creargli quanti ostacoli e quanti nemici può. — Molti sono i padri che così pensano e che così parlano del clero; eppure non pochi fra questi affidano i figli loro ai Barnabiti, o a qualche altra corporazione religiosa, specialmente dedita alla istruzione dei giovani. — Di tale singolarità essi si scusano coll'asserire che i collegi tenuti dai laici sono così male diretti, e la istruzione dispensatavi così meschina, che nulla può aspettarsi da educazioni così condotte. Forse non sono senza fondamento tali critiche, e tali osservazioni: tutto il sistema che ne diresse per tanti secoli, e che era basato sul più rigido assolutismo, cadde in un'ora, e diede luogo ad una illimitata libertà ossia ad una generale rilasciatezza. — I primi effetti di così repentino cangiamento non ponno essere che tristi. — Ma se invece di condannarli come tali, e di volgersi a ciò che rimane dell'antico sistema, come se questo potesse convenire ad una nazione libera, i padri di famiglia delle classi educate si applicassero ad emendare i difetti dei collegi tenuti da laici, essi non andrebbero incontro, e non esporrebbero i figli loro ad una serie d'incalcolabili danni, col risospingerli nel passato; e ciò nel momento appunto che questo passato crollò, e che ad esso subentrava un avvenire interamente opposto a quello.

      Che che ne sia delle molte imperfezioni ed incapacità nostre, delle nostre impazienze, diffidenze ed inerzia, ecc. abbiamo fondate speranze di un felice e glorioso avvenire. — Mettendo a confronto ciò che abbiamo operato in questi ultimi sette anni, con ciò che operarono durante uno spazio di tempo assai più lungo, cioè dal 1821 e dal 1831 sino ad oggi, altri due popoli meridionali, repentinamente usciti di servitù ed assunti all'onorato seggio di libere nazioni, voglio dire dei Greci e delli Spagnuoli, troviamo occasione di confortarci, e di rinfrancarci nelle nostre speranze. — L'Europa tutta parla dell'Italia come di una nuova potenza di primo ordine, e chi ne avesse predetto dieci anni indietro che di noi si sarebbe oggi portato siffatto giudizio, sarebbe stato tenuto o per pazzo o pel più impudente degli adulatori.

      Possano realizzarsi così le nostre speranze, come fu di gran lunga superata sin qui la nostra aspettativa. Poche parole aggiungeremo ancora sulla situazione d'Italia in quanto concerne la sua politica esterna, ossia le sue relazioni colle potenze estere.

      Nata o, per meglio dire, rinata, per opera della Francia, col concorso di questa grande e generosa nazione, le altre potenze potevano considerarla come di lei satellite, e trattarla conseguentemente. con poco rispetto e poca benevolenza. Così non accade; e di ciò dobbiamo rendere infinite grazie al nostro governo, e specialmente agli uomini di stato che diressero la nostra rappresentanza diplomatica, e che seppero fare all'Italia un posto nuovo negli annali della storia di Europa, un posto onorevole e degno. Le amicizie politiche sono per lo più di fragile tessitura, mentre le nimicizie, che ad esse corrispondono, hanno profonde e saldissime radici. — Era dunque assai da temere che dopo il 59, o nel corso degli anni che gli succedettero, si allentassero, anzi si rompessero i legami della nostra alleanza colla Francia, e che la vendetta austriaca, trovandoci spogliati della protezione francese, ne perseguitasse sin che ne avesse ridotto nel pristino stato di suoi schiavi. — Se così fosse accaduto, potevamo lottare, e lottare con gloria, ma presto o tardi avremmo dovuto soccombere.

      Accadde appunto tutto all'opposto. — Sebbene noi

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