La vita intima e la vita nomade in Oriente. Belgioioso Cristina
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A voler parlare di quel soggiorno parigino della principessa di Belgiojoso durante la Monarchia di luglio, un italiano della presente generazione si trova ormai in quella situazione imbarazzante, così ben tratteggiata dal Sainte-Beuve quando tenta di ritrarre madame Récamier nella sua età mitica, cioè durante il suo reame mondano anteriore al primo impero. Il rimpianto appassionato che quell'epoca d'intensissima attività politica e letteraria, di una sorta di libertinaggio intellettuale ha lasciato nei superstiti, dopo il crollo del regime nella fornace del 1848, appanna il quadro agli occhi dello storico. Comprendiamo che una società nella quale ancora regnava il Chateaubriand, mentre si affermavano il Lamartine, il Musset, Victor Hugo, Enrico Heine, il Balzac, il Thiers, il Mignet, il Vigny e cento altri, si disfrenavano le passioni di una Sand e di una Ortensia Allart, al tempo stesso in cui si estendevano le applicazioni delle scoperte scientifiche alla vita pratica e si diffondevano le ricchezze, una tale parentesi di rapide realizzazioni e di piaceri dello spirito posta fra le guerre dell'impero e l'inasprirsi delle rivendicazioni sociali fosse atta a suscitare l'entusiasmo di cenacoli raffinati. Noi ora vediamo peraltro la ristrettezza della base di un tal regime troppo assorto nel godimento del presente senza che i moniti del passato lo incuriosissero e lo preoccupassero per l'avvenire, e sentiamo come fosse necessaria una preoccupazione più alta, meno dilettantistica, si potrebbe anzi dire meno bizantineggiante, per riscattare tanti agi e tante feste.
Non si potrebbe negare tale vanto alla principessa di Belgiojoso che, fra tante esperienze psicologiche e mondane, recava l'ardore della sua fede patriottica ed a quel suo apostolato in difesa dell'Italia perseguitata riconduceva spesso anche inaspettatamente le divagazioni ed i trionfi femminili. Le fu imputata una mancanza di coerenza nel frequente oscillare dal metodo riformatore al rivoluzionario e dal programma repubblicano al monarchico; ma le accuse che le furono mosse dal più autorevole storico del Risorgimento, Alessandro Luzio, per qualche condiscendenza formale alle imposizioni dei governanti austriaci, non possono diminuire l'ammirazione per una lunga vita avventurosa che ritrova appunto la sua unità nell'efficace amor di patria. Meno sicura è la linea di condotta di questa dama con pretese teologiche nei dibattiti filosofico-religiosi. È noto che si arrischiò a scrivere un «Essai sur la formation du dogme catholique» pubblicato nel 1842. Vi tratta con qualche disinvoltura i Padri della Chiesa ed affronta i più spinosi problemi con tanta spigliatezza da aver subito legittimato il dubbio che la collaborazione dell'abate Coeur vi avesse una parte preponderante. La principessa aveva in cuore un profondo attaccamento alla Chiesa Cattolica, che si paleserà anche nelle sue impressioni di viaggio in Oriente, e temette poi per quasi tutta la vita che i consigli di quell'eloquente sacerdote francese non bastassero a preservare il volume dalle censure ecclesiastiche. Con tutto ciò il solo pensiero di redigere un tal libro attesta nobilissime preoccupazioni ed una preparazione filosofica veramente eccezionale in una donna. Si consacrò pure a dilatare i confini della fama di Giambattista Vico e pubblicò un saggio sul filosofo napoletano, seguito da una traduzione della «Scienza nuova». Chi mai si sarebbe aspettato di rintracciare un tal merito nella vita di una regina dei salotti, arbitra della moda, centro di rivalità e di cupidigie? La scelta è difficile fra le numerose testimonianze che ci sono rimaste del soggiorno di Cristina di Belgiojoso in Parigi, variato dalle villeggiature a Versailles, a Marly, alla Jonchère presso Rueil. Il lettore esperimentato riconosce spesso in quei racconti gli echi di risentimenti, d'invidie, di gelosie e di delusioni, sovratutto di queste ultime, implacabili negli uomini vanitosi. Vi è tutta una letteratura, in gran parte fantastica, sulle relazioni fra la principessa ed Alfredo de Musset. I magnifici versi del poeta «per una morta» pubblicati nella Revue des Deux Mondes, e le caricature schizzate a penna e riprodotte nel volumetto della viscontessa de Janzé (poi divenuta la principessa di Faucigny Lucinge) sono gli elementi positivi per risalire con un'indagine non ancor fatta spassionatamente all'origine di quella clamorosa rottura che turbò nei suoi vertici la società parigina intorno al 1840. Non vi è quasi esempio di altre signore straniere che avesser conquistato tanta rinomanza in un mondo chiuso e spesso impassibile verso i nuovi venuti come è l'alta società francese. Alla principessa di Belgiojoso furono intimamente devoti uomini come Claudio Fauriel, scopritore del Medio Evo neo-latino e maestro di Alessandro Manzoni, gli storici Mignet e Agostino Thierry, ospite questi per lunghi anni di cecità in un padiglione eretto nel giardino Belgiojoso della Rue Montparnasse, perfino l'amarissimo Enrico Heine. Il giudizio di testimoni così acuti e liberi dovrebbe pur bilanciare le insinuazioni maliziose dei Don Giovanni respinti o giocati. Leggete in ogni modo, se volete farvi un'opinione personale di questa bella sfinge, le pagine di Madame Jaubert, sorella del conte d'Alton-Shée, della contessa d'Agoult, donne esperte del cuore umano e delle competizioni femminili e concluderete certo che la riputazione di crudele freddezza fabbricata ai danni di Cristina di Belgiojoso è una triste favola. «Pallida, sed quamvis pallida pulchra tamen» fu definita in un momento di irritazione da Alfredo de Musset e, se l'aspetto suo fu cereo e a volte spettrale, la sua bellezza seppe pure animarsi quando sentimenti affettuosi od emozioni patriottiche facevano affluire il sangue nelle vene di quel corpo diafano. Alta, magra, con occhi e capelli nerissimi, collo allungato, la principessa di Belgiojoso, maestra di tutte le eleganze che potessero accentuare il significato della sua personalità estetica, eserciterebbe certo un gran fascino anche nella nostra società contemporanea. Apparsa, fuggiasca e perseguitata, nella capitale del Romanticismo, vi fu da troppi considerata un simbolo vivente di quel mondo d'eccezione e pagò il prezzo di tanti successi cogli strali avvelenati che i contemporanei le lanciaron dietro talvolta additandola