Spezia. Robert A. Webster
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Descrisse loro il ruolo che i bambini avrebbero ricoperto dopo essere stati addestrati da Angka affinché diventassero soldati per l’organizzazione. Non avrebbero più avuto bisogno dei genitori, dato che gli adulti sarebbero diventati umili servi, quindi sarebbero stati inferiori a loro. Angka sarebbe stata la loro famiglia. Il comandante proseguì per più di un’ora con il suo discorso ben preparato.
Gli abitanti ascoltarono con fare terrorizzato, disorientati dalla gioventù indottrinata. Dara ondeggiò quando si mise in piedi a malapena. Di tanto in tanto il ragazzo le tirava la vestaglia per ottenere la sua attenzione.
Una volta terminato il discorso del comandante, quest’ultimo concentrò la propria attenzione su Dara e disse, rivolgendosi agli abitanti.
“Questa donna ci ha condotti da voi. È debole, e non accettiamo i deboli”. Strinse poi il cappio attorno al collo di Dara, trascinandola a sé. Afferrò quindi il nodo, sollevandole il mento e tagliandole la gola con un piccolo coltello affilato. Dara era troppo debole per opporre resistenza, e lo sputo, il sangue e l’aria le gorgogliarono nella gola quando la donna si abbandonò a peso morto. Il comandante gettò il cadavere a terra, si piegò e pulì la lama sui vestiti di lei. Tuonò degli ordini agli altri soldati, indicò il corpo di Dara e lanciò un avvertimento severo agli abitanti.
“Obbedite ad Angka o morirete!”
Gli abitanti del villaggio guardarono terrorizzati gli altri soldati urlare verso di loro di prendere i propri averi e di fare ritorno.
Gli abitanti sconvolti lasciarono quindi la capanna comune, diretti verso le proprie abitazioni per fare i bagagli, il tutto mentre i soldati Khmer Rossi ronzarono attorno alle famiglie terrorizzate, sollecitandole.
Rotha, Tu, Ravuth e Oun andarono alla loro capanna. Tu parlò con Rotha, la quale, nonostante fosse scossa dagli eventi, era d’accordo con lui. Tu, con voce tremante, disse ai figli
“Dovete scappare e nascondervi nella giungla. Quando ce ne saremo andati, tornate indietro e restate qui al villaggio. Vi raggiungeremo quando avremo capito che cosa sta succedendo, e quando la situazione sarà sicura”.
I ragazzi, per quanto spaventati, accettarono, sperando che si sarebbe trattato di poco tempo.
Rotha guardò fuori e vide gli Khmer Rossi allontanarsi dalla loro capanna per controllare un’altra famiglia, e non ne vedeva altri nelle vicinanze.
“Svelto, Ravuth! Vai tu per primo” sussurrò lei.
Ravuth scese cautamente gli scalini e percorse di corsa la breve distanza che separava la loro casa dalla giungla. Si nascose quindi dietro un gruppo di alberi, e si guardò indietro in attesa del fratello.
Vide Oun ai piedi degli scalini, ma verso di lui si stava dirigendo un soldato, che si fermò accanto al fratello. Il ragazzo agitò il fucile verso Rotha e Tu, ordinando loro di scendere immediatamente. Il cuore di Ravuth batteva all’impazzata quando si nascose dietro il largo tronco dell’albero.
Le grida degli Khmer Rossi svanirono, quindi Ravuth sbirciò da dietro l’arbusto. Vide la madre, il padre e il fratello venir condotti verso la capanna comune. Si rese conto di non essere stato visto, quindi costeggiò il villaggio, nascondendosi grazie agli alberi e alla vegetazione della giungla per osservare ciò che stava accadendo all’interno dello stesso.
I compaesani restarono nella capanna comune per un’altra ora prima di uscire e aggirarla.
I soldati selezionarono quattro anziani dal gruppo di persone. Ravuth sperò che li avrebbero fatti restare al villaggio. Pensava che si sarebbero potuti prendere cura di lui fino a quando i suoi genitori e Oun avrebbero fatto ritorno.
Sul viso del comandante si fece strada un ghigno quando i suoi soldati spinsero i quattro anziani a terra e spararono loro alla testa.
Gli abitanti urlarono dalla paura mentre gli Khmer Rossi puntarono i fucili sulla folla caduta nel panico e urlarono “Fate silenzio o morirete!”
Il comandante si rivolse alla folla “State zitti!” Esclamò, e attese fino a quando ebbe la loro completa attenzione. “Queste persone erano così vecchie da non poter produrre nulla per l’Angka. Le loro vite non portano alcun beneficio all’Angka e le loro morti non sono una perdita”.
I paesani, tremanti e spaventati, sembravano degli avviliti rifugiati. Incespicarono lungo il tragitto che portava a Koh Kong per unirsi all’esodo della popolazione rastrellata e destinata ai campi di lavoro.
Gli Khmer Rossi lasciarono che gli abitanti portassero con sé i loro miseri averi, che avrebbero sottratto loro alla fine del viaggio.
Restarono solamente due soldati. Ravuth li guardò trascinare il cadavere di Dara dalla capanna comune, gettandola insieme agli altri. Presero poi una tanica di benzina dal capanno in prossimità del generatore, e ne versarono un po’ sulle abitazioni e sui cadaveri. Ridacchiarono nell’appiccare il fuoco, incendiando le capanne e incenerendo i corpi. Quegli assassini senza pietà erano adolescenti, che non mostravano alcun tipo di rimorso per le loro azioni. Un soldato si divertì a colpire con un bastone le teste dei cadaveri ardenti, e alzò lo sguardo sulla vegetazione della giungla quando captò un movimento. Urlò qualcosa a un suo commilitone, il quale imbracciò il fucile e corse verso il nascondiglio di Ravuth, fermandosi però sui propri passi.
“Te lo sei immaginato. Qui non c’è nessuno” disse il giovane.
“Sono sicuro di aver visto qualcuno” disse l’altro con fare indignato.
“Vuoi addentrarti nella giungla per cercare meglio?”
“No. Non so cosa ci sia lì dentro, forse è un animale selvatico. Andiamo, raggiungiamo gli altri”.
“Okay. Perché hai paura, andiamo” lo prese in giro l’altro ragazzo. Si voltarono e tornarono di corsa al villaggio per seguire il resto della truppa.
Ravuth tremava. Indietreggiò ulteriormente nel fitto sottobosco. I militari degli Khmer Rossi erano arrivati solo a qualche centimetro dal suo viso.
Ravuth ritornò al villaggio al tramonto, avendo troppa paura di muoversi nel caldo opprimente del giorno. Era stordito, confuso e assetato. Avanzò nel villaggio deserto, oltrepassando i cadaveri fumanti, e raggiunse la propria casa. Nonostante gli Khmer Rossi avessero incendiato diverse capanne e quella comune, l’abitazione della propria famiglia era rimasta relativamente incolume. Quando entrò apprese che non era rimasto molto, in parte perché l’abitazione era stata saccheggiata, e in parte perché era stato portato via dai suoi genitori. Ravuth si accovacciò e si mise a piangere. Restò nella propria casa per tutta la notte, domandandosi che cosa fosse successo e che cosa potesse fare. Quando giunse il giorno, la luce filtrò nella stanza, e il ragazzo vide la scatola fatta di foglie di banano fare capolino da un buco nelle assi del pavimento in un angolo della stanza. Si rese conto che i propri genitori avevano tentato di nasconderla dai soldati. Ravuth prese in mano la scatola e l’aprì. All’interno si trovava la strana pianta, insieme a qualche piccolo articolo di bigiotteria sotto alle fotografie della sua famiglia. Estrasse quindi le foto, e con le lacrime agli occhi le accarezzò una a una, chiedendosi che cosa fosse successo ai propri cari.
Ravuth si sentiva solo, impaurito e confuso. Ripose le foto