La Tragedia Dei Trastulli. Guido Pagliarino

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La Tragedia Dei Trastulli - Guido Pagliarino

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il frigorifero, la lavatrice, il televisore, con formidabili affari per le industrie produttrici e i negozi di quei prodotti, come ad esempio l’esercizio commerciale della famiglia Trastulli che noi conosciamo; e non pochissimi lavoratori avevano osato permettersi l’acquisto a rate di un’auto, di norma una piccola FIAT 600 o una FIAT 500 piccina, piccina. Molti lavoratori avevano iniziato anche a godere d’almeno un paio di settimane di vacanza agostana in una pensioncina, di solito della vicina Liguria, mentre quasi tutti coloro che, sopra una gora di cambiali, erano proprietari di un’utilitaria o, addirittura, d’una FIAT 1100, avevano affrontato ogni agosto, coraggiosamente, famiglia al completo nella maggior parte dei casi stipatissima in un’utilitaria, il lungo viaggio, alla media di 70 chilometri all’ora, fin al proprio lontano borgo natio, esultanti di potersi mostrare all’arrivo sopra l’auto guadagnata col proprio apprezzato lavoro alla catena: di montaggio, ovviamente, non si fraintenda.

      Negli anni precedenti il 1963 molti imprenditori, basandosi sull’indebitamento piuttosto facile e sulle paghe molto basse, avevano ingrandito la loro attività, a volte enormemente rispetto all’originaria dimensione, tanto che diverse imprese artigiane s’erano ampliate al livello industriale con numerosi dipendenti, anche centinaia; nondimeno, senza che i titolari avessero la preparazione economica adeguata per operare non a braccio, come nella loro precedente piccola o minima dimensione, ma con accortezza prevedendo, caso per caso, le possibili conseguenze delle loro iniziative e considerando la possibilità d’inattesi fattori estranei contrastanti24 . Non avevano capito, fra altre cose, che i salari bassi avevano di molto favorito la loro ascesa. Quando i lavoratori, dopo anni di lotte sindacali, avevano finalmente ottenuto significativi aumenti, erano iniziate difficoltà per tutte le aziende, osticità assai gravi, in primo luogo, per le attività improvvisate, pur non restandone esenti le antiche, collaudate e ben dirette aziende, in quanto i rapporti fra ditte produttrici di beni e ditte fornitrici di servizi sono catene collegate, a loro volta, a quelle dei settori creditizio, assicurativo, consultivo; in altri termini, si tratta d’una rete d’affari tra fornitori di materie prime e fonti d’energia, produttori di servizi e beni, distributori degli stessi, e tale rete è connessa a propria volta agli studi di consulenza, alle banche, alle assicurazioni.

      Erano iniziati i fallimenti ed erano divenuti sempre più numerosi di mese in mese. Si sarebbero succeduti, ancor più gravi, ben oltre il 1964, anno peraltro dell’acme della crisi nel quale gli utili d’impresa e professionali e i redditi familiari sarebbero stati colpiti ancor più gravemente dall’incauto aumento dell’imposizione fiscale sulla benzina e da una novella tassazione sull’acquisto di automezzi, balzelli voluti da politici ben poco esperti di scienza delle finanze: quelle imposte sconsiderate avevano ovviamente aumentato i costi dei trasporti commerciali e, dunque, avevano ancor più gravato sull’intera economia. Il male maggiore era però venuto dai collegamenti di credito-debito fra le aziende e dalle azioni legali delle banche che, avendo prima concesso fidi con larghezza agl’imprenditori, avevano iniziato non solo a ridurre drasticamente le nuove aperture di credito e l’ammontare dei prestiti già accordati, ma ad aumentarne il costo percentuale e, peggio, a chiedere di rientrare ai clienti morosi, tante volte senza successo: come avrebbe potuto infatti una ditta rimborsare un prestito se troppi dei suoi clienti non le pagavano le forniture? Pericolosamente avversa era diventata nel 1964 la congiuntura, parola questa che, nel linguaggio popolare, era divenuta semplicemente e famigeratamente La Congiuntura intesa come sinonimo di crisi mentre, in realtà, quel vocabolo non significa stagnazione o recessione ma andamento degli affari, che può essere negativo, positivo o stagnante. All’inizio del triennio era stata stagnazione, innescata da una riduzione degl’investimenti dovuta al noto aumento dei salari e degli stipendi e al pesante innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti bancari, incrementi che avevano ristretto il capitale disponibile per gl’investimenti in acquisti di materie prime, fonti d’energia, merci, macchinari e via seguitando; peggio, il fenomeno era stato anche più grave perché, già nel 1963 ma soprattutto nel ’64 e nel ’65, non pochi grossi imprenditori avevano indirizzato abbondante parte dei loro capitali liquidi, quando non l’intero, verso certi Paesi stranieri, paradisi bancari, per ripararvi da guai la loro posizione economica e la loro stessa persona in caso di bancarotta. Dalla stagnazione s’era scivolati alla recessione: meno investimenti, meno produzione, meno scambi commerciali, meno trasporti, meno lavoro e dunque licenziamenti, perciò meno salari e stipendi e meno consumi con minori ritorni di denaro alle imprese; per molte di queste, investimenti nulli, ulteriore minore produzione, altri licenziamenti: un circolo vizioso in cui erano intervenuti fallimenti tra loro collegati, il più delle volte non innescati dai fornitori-creditori, desiderosi della salvezza dei clienti-debitori cui, anzi, andavano normalmente rinnovando cambiali su cambiali che avrebbero provato a scontare ancora una volta in banca per finanziarsi, ma attizzati proprio dalle banche che, implacabili, essendo i loro crediti privilegiati per legge, avevano preso a tempestare il mondo imprenditoriale di istanze di fallimento.

       Relativamente a i negozi e agli esercenti ambulanti d e i generi di prima necessità e a molte delle famiglie d i lavoratori loro clienti

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