I Vostri diritti in Germania. Alessandro Bellardita
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13 Schmidt, Das politische System der Bundesrepublik Deutschland, C.H. Beck, 2011, Kap. 1, p. 12 ss.
14 Vedi sulla Storia della Costituzione tedesca anche: Christoph Möllers, Das Grundgesetz, Geschichte und Inhalt, C. H. Beck, 2019; Peter H. Merkl, Die Entstehung der Bundesrepublik Deutschland, Kohlhammer, 1968.
15 Wolfgang Stumme, Die letzte Guillotine in Mainz, www.regionalgeschichte.net/rheinhessen/mainz/einzelaspekte/die-letzte-guillotine-in-mainz.html (20.4.2021).
16 Vedi anche: Joachim Hennig, Schriften zur Unkeler Geschichte, Rhein-Heimat Verlag, 2012.
Capitolo 2. Diritti fondamentali della Costituzione tedesca
La dignità dell’uomo – die Menschenwürde (art. 1Grundgesetz)
„La dignità dell’uomo è inviolabile”. Inizia con questa celebre frase l’art. 1 della Costituzione tedesca. Una frase che quasi tutti i cittadini tedeschi conoscono e citano spesso quando discutono di temi attinenti alla giustizia o, in senso lato, alla politica. Una frase, questa, che senza dubbio esprime con veemenza tutta la volontà politica dei padri della Costituzione nel prendere le distanze dal periodo più buio del popolo tedesco, il periodo del Terzo Reich – con le vittime nei campi di sterminio dovute alla volontà di eliminare il popolo ebreo dall’umanità.
Ma questa è soltanto una piccola sembianza dell’articolo più importante della Costituzione tedesca. Dietro al (e soprattutto nel) concetto di dignità c’è tutto un impianto, un sistema, un pensiero filosofico che, addirittura, risale a Giovanni Pico della Mirandola, per poi passare attraverso il concetto di dignità di Immanuel Kant e finire ad Hannah Arendt. Ma cos’è, in fondo, la dignità dell’uomo? E, soprattutto, quando viene violata dal punto di vista giuridico?
Nel famoso Discorso sulla dignità delľuomo di Pico della Mirandola, l’umanista italiano pone già nel 1486 l’accento sull’intelligenza dell’uomo come sinonimo di libertà e mezzo di formulare concetti in grado di poter condizionare il suo futuro: ed è proprio per questa capacità che l’uomo, secondo Pico della Mirandola, si distingue dagli animali. Quella di Pico della Mirandola è una vera e propria esortazione: l’uomo ha una responsabilità di fronte a questa straordinaria capacità, affinché primeggi nella conoscenza e nella sapienza avvalendosi dello studio e della filosofia come mezzo.
“Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, […] questa dimora del mondo quale ci appare, […]. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. […] Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori […] né dei posti di tutto il mondo […]. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi”17.
Nella concezione di Immanuel Kant, invece, la dignità umana è essenzialmente un concetto morale. Nella massima di non trattare mai gli uomini come mezzi ma sempre come fini vi è implicita l’idea che certi valori fondamentali non sono negoziabili. L’uomo non può mai essere strumento di qualcos’altro. È fine. La dignità è dunque connessa all’idea di valore: si tratta di un valore intrinseco all’essere umano, in quanto essere capace di darsi leggi morali – e dunque universali. Kant, in Metaphysik der Sitten, formula il suo concetto in questo modo:
“Nel regno dei fini ogni cosa o ha un prezzo o ha una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere rimpiazzato da qualcosa di equivalente; ciò che dall’altro lato si innalza su ogni prezzo e dunque non ammette alcun equivalente ha dignità. Ora, la moralità è la condizione per cui soltanto un essere razionale può essere un fine in sé stesso”18.
In un articolo del 1943, che fece scalpore, Hannah Arendt, che si trovava negli Stati Uniti costretta a fuggire dal regime nazista per il solo fatto di essere ebrea, criticava aspramente il concetto di dignità umana intesa come entità assoluta, come uno status naturale di ogni persona. A cosa serve la dignità umana se poi non c’è uno Stato che la rispetti? A cosa serve la dignità umana se non esiste uno Stato che la garantisce e la tutela? Per la Arendt l’innaturale conformismo di una società di massa costituisce, infatti, la causa principale della distruzione del mondo comune che è di solito preceduta dalla distruzione della molteplicità prospettica in cui esso si presenta alla pluralità umana”19. In tale ottica, “il diritto di avere i diritti” deve costituire un predicato imprescindibile per l’uomo, affinché questi possa essere effettivamente considerato tale e non semplicemente “individuo” o “persona”20.
Se lo Stato, ad esempio, sanziona con la pena di reclusione chi commette un reato grave, viola la dignità dell’imputato che è stato condannato? Il carcere, ovviamente, è la più netta e pesante sanzione che uno Stato democratico (che non accetta la pena di morte) può infliggere ad un cittadino: lo priva, difatti, della sua libertà. Ma il carcere, allo stesso tempo, rappresenta anche una violazione della dignità dell’uomo? La risposta dev’essere “no”, anche perché altrimenti in Germania non esisterebbero le carceri. Ma questa non può valere come spiegazione. La risposta esatta, infatti, è dipende: se il condannato in carcere viene trattato come un soggetto di diritto, se gli viene riconosciuto ad esempio il diritto di vedere sua moglie, suo figlio oppure di telefonare con loro regolarmente, lo Stato non viola la sua dignità. Se, invece, è costretto a vivere in una cella di 3 m2, in condizioni igieniche pietose e senza alcun contatto con la sua famiglia, lo Stato non lo riconosce come soggetto.
La violazione della dignità umana, infatti, inizia lì dove lo Stato tratta un cittadino come un oggetto di diritto (ted.: Rechtsobjekt): se lo Stato riduce un uomo ad un mero oggetto, l’art. 1 della Costituzione tedesca lo ammonisce. L’art. 1, infatti, è l’unico articolo relativo ai diritti fondamentali che il legislatore non può cambiare o, addirittura, abolire (vedi art. 79 comma 3 del Grundgesetz).
E quando, tipicamente, lo Stato riduce ad oggetto un uomo? Un tipico caso di violazione dell’art. 1 è il seguente: nel 2002 lo studente Magnus Gäfgen sequestra il figlio minorenne di un noto banchiere di Francoforte sul Meno, l’undicenne Jakob von Metzler. Dopo l’arresto – Jakob non era ancora stato ritrovato –, i poliziotti sottoposero Magnus Gäfgen ad un asfissiante interrogatorio per scoprire dove fosse il ragazzino. Dopo qualche ora – il presidente della polizia di Francoforte – Wolfgang Daschner, ordinò di minacciare Gäfgen per far sì che l’indagato indicasse il luogo del sequestro. Il commissario Ennigkeit, a quel punto, eseguì l’ordine e minacciò Gäfgen giurandogli di fargli sentire “dolori tremendi” che non avrebbe mai più dimenticato in tutta la vita.
La Corte federale di Karlsruhe (ted.: Bundesgerichtshof) ha stabilito che “minacciare con la tortura equivale a torturare”21: la tortura, in senso stretto, rappresenta la negazione della dignità umana dell’indagato, in quanto lo Stato non lo riconosce più come un soggetto di diritto, assoggettandolo fino a negarne l’esistenza come portatore di diritti. In altre parole: uno Stato che tortura un criminale è esso stesso criminale. Gäfgen, tuttavia, fu condannato all’ergastolo: il piccolo Jakob, infatti, venne ritrovato morto. Era stato ucciso da Gäfgen poco dopo il sequestro. Ma anche il presidente della polizia Daschner e il commissario furono condannati (rispettivamente ad una sanzione pecuniaria con relativa condizionale di un anno).
Questo caso fece esplodere un’accesa discussione: può uno Stato torturare per salvare la vita di un cittadino? La risposta della Corte Costituzionale22 fu chiara e indubbia: no. Uno Stato non può violare la dignità umana, neanche quella di un cittadino che commette un reato. Costi quel che costi.