I Vostri diritti in Germania. Alessandro Bellardita
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу I Vostri diritti in Germania - Alessandro Bellardita страница 8
Perché, in fondo, siamo portati ad enfatizzare questo principio? Perché, in fondo, siamo uguali quando si parla di diritto? Fisicamente, biologicamente e – ancor di più – caratterialmente siamo unici, unici nel mondo. Ognuno di noi è diverso dall’altro, proprio come ogni nuvola in cielo è diversa dall’altra. Eppure, qualcosa ci spinge ad affermare che senza eguaglianza un ordinamento giuridico non sarebbe “giusto“ oppure “equo”, ma piuttosto, discriminante, non idoneo a garantire una “giusta“ sentenza, un atto amministrativo “equo” oppure – in termini politici – una giustizia sociale (ted.: soziale Gerechtigkeit).
Per capire la legittimità del principio di eguaglianza, bisogna partire da un altro fondamento: la dignità. La dignità dell’uomo è quel valore implicito ad ogni persona, un valore naturale che acquistiamo (al più tardi) con la nascita e ci preserva un ruolo speciale nell’ordinamento: quello di “soggetto di diritto”. La dignità umana, infatti, è violata quando lo Stato tratta l’individuo come oggetto e, appunto, non più come soggetto. La dignità umana non conosce una misura: ha sempre lo stesso valore, indipendentemente dal ruolo sociale che svolge una persona. Un ingegnere ha la stessa dignità di un senzatetto. Una persona con la fedina penale pulita ha la stessa dignità di un pregiudicato – e così via. L’eguaglianza, dunque, sembra essere fondamentalmente legata alla dignità: e, difatti, siamo uguali davanti alla legge proprio perché abbiamo pari dignità.
Eguaglianza davanti alla legge significa che la legge si applica a tutti. Il principio fu esaurientemente formulato già nel preambolo della Costituzione francese del 3 settembre 1791, laddove si afferma che nel nuovo ordinamento “non c’è più nobiltà, né paria, né distinzioni ereditarie” ecc. Il principio di eguaglianza, sotto questo profilo, costituisce l’altra faccia del principio della generalità della legge: infatti, l’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti del 1789 aveva stabilito che la legge è “l’espressione della volontà generale”. Essa “deve essere la medesima per tutti, sia che protegga sia che punisca. Tutti i cittadini sono eguali ai suoi occhi”. Motivo per cui le statue che rappresentano la dea della giustizia sono sempre bendate: la iustitia dev’essere cieca davanti alle controparti di un qualsivoglia processo. Il che implica, di conseguenza, che sono vietate leggi ad personam, leggi speciali o eccezionali.
Ma l’art. 3 del Grundgesetz va oltre all’eguaglianza formale: la realtà dei rapporti materiali, infatti, presenta situazioni di profonda diversità. È inutile negare l’evidenza: chi nasce in una famiglia ricca, ha più opportunità di chi nasce in una famiglia disagiata e meno abbiente. Ecco perché la Costituzione richiede che lo Stato rimuove gli ostacoli che si frappongono al godimento concreto dei diritti da parte di tutti. Un principio questo, che suona come una chimera ai nostri tempi: ovunque, anche in Germania, i cittadini si sentono in disagio e, appunto, necessitano dell’aiuto da parte dello Stato per sbarcare il lunario e sopravvivere, giorno per giorno.
Ma, a tal proposito, bisogna constatare che, prima di chiamare all’ordine lo Stato, dobbiamo capire che lo Stato, in fondo, siamo noi cittadini. Non possiamo pretendere uno Stato equo e giusto se non iniziamo da noi stessi. Se un imprenditore è disposto a pagare ad un uomo un salario maggiore rispetto ad una donna, se un’azienda non assume uno straniero perché è straniero, se non accettiamo l’inquilino perché è di fede islamica, non possiamo pretendere che lo Stato faccia diversamente. Le cariche dello Stato, gli impiegati statali, gli insegnanti ecc. – che formano il corpo di uno Stato – non rispettano la Costituzione automaticamente solo perché indossano una divisa oppure sono responsabili di un ente. La rispettano solo se hanno sposato in pieno i principi della Costituzione, se la sentono parte del loro pensiero, se ne condividono lo spirito.
La fine delle “razze”
Un tema che riguarda l’eguaglianza è proprio l’uso della parola “razza”. Dopo la morte di George Floyd23 negli Stati Uniti, il leader dei Verdi (ted.: Die Grünen), Robert Habeck, propose di cancellare dall’art. 3 della Costituzione tedesca la parola “razza”. L’articolo afferma infatti che “nessuno può essere discriminato o privilegiato a causa del suo sesso, la sua discendenza, la sua razza, la sua lingua, il suo paese, la sua origine o le sue convinzioni religiose e politiche”.
È indubbiamente vero che le parole sono anche atti, dei quali è necessario fronteggiare le conseguenze. Esse sembrano non avere peso e consistenza, sembrano entità volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e implica responsabilità: le parole – possiamo dire – “fanno le cose”, come suggerisce, fin dal titolo, un libro celebre del linguista John L. Austin24. La parola, dunque, non nasce dall’idea, bensì l’idea deriva dalla parola.
La domanda da porre, a questo punto, è quella che va in direzione contraria: cancellando le parole si possono eliminare anche le idee? In altre parole: cancellando il termine “razza” – che nella scienza non ha più una ragione d’essere – tramonterebbe anche il razzismo? Mi pare ovvio, purtroppo, che non sia così. Sarebbe come sostenere che eliminando la parola fascista, si potrebbe sancire la fine del fascismo – magari, mi verrebbe da dire!
In altre parole: la Costituzione non dice ai cittadini che le razze esistono, ma che il razzismo dev’essere sconfitto, che il razzismo non può far parte della nostra società.
Quel che serve, dunque, non è un semplice atto legislativo, un atto puramente simbolico, come quello di cancellare la parola “razza” oppure sostituirla con un altro sostantivo (ad es. etnia). Quel che serve, piuttosto, è una netta presa di posizione da parte di tutti – soprattutto da parte degli schieramenti politici – contro ogni forma di razzismo, iniziando dalle scuole. A cosa serve eliminare la parola “razza” se poi anche gli stessi politici non mandano i loro figli nelle scuole con arabi e turchi, ma piuttosto in quelle dove trovano la loro stessa etnia, magari in istituti privati che costano una marea di soldi? A cosa serve eliminare la parola “razza” se poi nelle scuole non si parla del principio fondamentale di ogni costituzione democratica, il principio di eguaglianza?
La differenza ontologica tra eguaglianza e libertà sta nel fatto, purtroppo, che la libertà è una condizione naturale, uno status che ognuno di noi può pensare ed intuire senza una chiave di lettura specifica, senza una riflessione basata su una visione ideologica del mondo. L’eguaglianza, invece, è un’idea che dev’essere interiorizzata, pensata e ripensata, riflettuta e, infine, rispettata, giorno per giorno, in ogni situazione della vita, sia privata che professionale. A differenza della libertà, l’eguaglianza è un principio estetico, ricavato – künstlich, direbbero i tedeschi. In quanto individui siamo tutti liberi, ma solo in quanto ogni uomo ha pari dignità siamo tutti uguali. L’invenzione della dignità ha reso possibile l’ascesa dell’uguaglianza. La natura non ci ha fatto identici, fortunatamente, ma siamo simili e, dunque, uguali grazie ad una straordinaria idea politica che – dopo tante lotte – si è trasformata in un concetto giuridico, per l’appunto: nel principio di eguaglianza.
Solo nelle esigenze e necessità naturali gli uomini sono uguali, ma non nei desideri e nei sogni: ecco perché il fatidico discorso di Martin Luther King, nell’ormai lontano 1963 a Washington, davanti a 200mila persone, inizia con “I have a dream” e non con “We have a dream”. La tragedia del razzismo non si manifesta, dunque, nel fatto che esiste la parola “razza”, ma nell’assurda e triste constatazione che non tutti, ascoltando la voce vibrante da baritono di Luther King, si commuovono nell’ascoltare il suo disperato appello di speranza che – nonostante gli anni passati – non ha perso un solo grammo di attualità.
La proposta dei Verdi, almeno finora, non è stata attuata. E la Große Koalition ha fatto intuire che la Costituzione, almeno durante la