Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

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Il Castello Della Bestia - Aurora Russell

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dicesse “per favore” e “grazie”, della sua postura formale e di come non battesse ciglio davanti al formaggio di pecora o all’insalata mista. In effetti, pensò che probabilmente lei avrebbe avuto bisogno di migliorare le sue stesse maniere.

      Quando ebbero finito di leccare fino all’ultima deliziosa goccia di crema pasticcera dai loro cucchiai d’argento e nessuno era venuto a dire nulla riguardo a Jean-Philippe o ai suoi impegni, capì che avrebbe dovuto improvvisare per il resto della serata. Alzò il mento, segretamente compiaciuta della possibilità di mostrare quanto bene si stesse ambientando.

      «Ho sentito che hai già fatto il bagno, giusto?» chiese.

      Jean-Philippe annuì, facendo sobbalzare i suoi riccioli biondi. «Sì, adesso è l’ora della storia! Nel mio letto, ma non devo andare a dormire. A volte chiudo gli occhi, ma non devo.» Intuì dal sottofondo ostinato che “dormire” era probabilmente considerata alla stregua di una parolaccia, ma era incoraggiante che almeno il resto della routine notturna gli piacesse.

      «E allora, che ora della storia sia! E scommetto che hai anche una bella camera da letto.» Sorrise passando davanti a Monsieur Hormet, e le parve di vedere l’approvazione sul suo volto.

      Jean-Philippe le raccontò tutto della sua fantastica stanza mentre saliva al piano di sopra, e lei si rese conto che era proprio dall’altra parte del corridoio rispetto alla sua. Pratico. Il suo cuore fece una piccola capriola quando lui mise la sua manina paffuta nella sua con assoluta fiducia, e lei riconobbe ciò che avrebbe potuto non essere ovvio durante il giorno, quando il piccolo correva in giro come un pazzo: era pur sempre solo un bambino.

      Le decorazioni nella cameretta erano una combinazione selvaggia di animali, creature marine, pianeti e dinosauri, ma tutto sembrava pulito e confortevole. Dovette nascondere un sorriso quando pensò allo sguardo che doveva avere avuto quel povero decoratore d’interni quando aveva scoperto il progetto per quella stanza, specialmente considerando quanto gusto ed eleganza sembrava avere la maggior parte del resto del castello. Ogni angolo era pieno di tesori e giocattoli per bambini, e anche di scaffali di libri. C’era un tavolo da gioco, un tavolo da pranzo, un cavalletto, una lavagna e persino una finta cucina che sembrava abbastanza grande per preparare pasti veri, santo cielo! Jean-Philippe aveva la camera da letto dei sogni di ogni bambino, ma le sue preferenze individuali erano anche impresse in modo inconfondibile.

      Il suo letto, che era un tradizionale e grande letto a baldacchino in legno scuro, con una comoda sedia posta accanto – forse da Yvette? – era coperto da uno spesso piumone nero, che era praticamente l’unica cosa semplice nella stanza. Ripiegato sopra le coperte c’era un pigiama fatto di una stoffa decorata con navi spaziali, e sul pavimento c’erano anche delle piccole pantofole a forma di dinosauro. Jean-Philippe andò subito a mettersi il pigiama, poi le mostrò il bagno attiguo, dove aveva lo spazzolino e il dentifricio. Entrambi erano a tema dinosauro.

      La guardò sospettoso prima di iniziare a lavarsi i denti. «La tata Marie mi leggeva sempre una storia, ma da quando se n’è andata, Yvette di solito dice che non ha tempo.»

      Veronica dovette sorridere di nuovo. Lavorare in un ambiente professionale negli ultimi due anni le aveva fatto dimenticare quanto potessero essere divertenti i bambini dell’età di Jean-Philippe.

      «Prometto che avremo tempo per leggerne una» lo rassicurò, e lui si lavò i denti con vigore, mentre lei osservava con occhio critico per essere sicura che arrivasse bene dappertutto.

      «Allora, che tipo di storia vuoi?» gli chiese Veronica quando ebbe finito. «Penso di poter inventarne praticamente di qualsiasi genere, anche se ti avverto: la mia pronuncia dei nomi dei dinosauri non è perfetta, quindi potresti dovermi correggere.»

      Gli occhi di Jean-Philippe si spalancarono e sembrò impressionato. «Racconti storie inventate da te? Tata Marie mi faceva scegliere i libri.»

      «Puoi scegliere due libri, se vuoi.»

      Lui scosse la testa con enfasi. «Oh no, voglio una storia inventata. Solo per me!» I suoi occhi blu scintillavano e praticamente ballava sulle punte dei piedi per l’eccitazione.

      Veronica non aveva intenzione di fare qualcosa di così diverso o di farlo eccitare a tal punto proprio prima di andare a letto, ma fece un’alzata di spalle mentale. Averla lì era comunque fuori dall’ordinario, e lui era inevitabilmente un po’ più eccitato, quella sera.

      «Va bene, allora vai sotto le coperte e dimmi quali storie ti piacciono di più. Astronauti, dinosauri, creature marine, favole...»

      Mentre si sistemava nel letto gigante, Jean-Philippe la interruppe. «Favole! Sì, io amo le favole.»

      Veronica si sedette sulla comoda poltrona. «Perfetto. Piacciono anche a me.» Le sfuggì una risatina, mentre il suo protetto la guardava in attesa. Sembrava decisamente un nanetto, un bambino così piccolo in un letto enorme.

      «C’era una volta...» iniziò.

      «Che cosa significa?» La interruppe Jean-Philippe. Il suo inglese era così buono che era facile dimenticare che lo stava ancora imparando.

      «Oh, è così che iniziano la maggior parte delle fiabe. Significa Il était une fois…»

      Lui annuì sagacemente. «Ah, allora va bene.»

      Nascondendo un sorriso per il tono magnanimo del bimbo – avrebbe dovuto tenere in considerazione la sua opinione – cominciò di nuovo.

      «C’era una volta una bestia che viveva da sola in un castello.»

      «Questa la conosco già!» si lamentò Jean-Philippe, ma Veronica scosse il dito e poi si toccò delicatamente l’orecchio.

      «Ascolta. Magari conosci una storia su una bestia, ma questa è diversa.»

      Sembrò che lui volesse discutere, ma rimase in silenzio.

      «La bestia aveva un aspetto spaventoso e sembrava feroce. I suoi ringhi erano così forti che echeggiavano sulle montagne e sulle colline. Tutti gli abitanti del villaggio avevano paura di lui.»

      Gli occhi di Jean-Philippe si spalancarono. «Aveva i denti grandi?»

      Lei annuì enfaticamente. «I più grandi! Come coltelli da bistecca, lunghi e perfidamente affilati. A volte ferivano persino le labbra della bestia, il che lo faceva sembrare ancora più terribile. Vedi, quello che gli abitanti del villaggio non sapevano era che la bestia non era pericolosa, ma era solo triste. Nessuno degli abitanti del villaggio lo sapeva, tranne un bambino, che si chiamava Ludo. Un pomeriggio, mentre stava raccogliendo delle bacche, Ludo cadde e si fece male a una caviglia. Si era allontanato da casa più di quanto avrebbe dovuto.» Quando Veronica si fermò, Jean-Philippe sembrava ascoltare avidamente. «Il suo piede era rimasto bloccato sotto la radice di un albero in un canalone...»

      «Cos’è un canalone?» chiese Jean-Philippe.

      «È un’altra parola per dire un fossato, come una piccola valle.»

      Lui annuì e Veronica continuò, ma notò che gli occhi del bimbo cominciavano a sembrare stanchi e le sue palpebre avevano iniziato ad abbassarsi, anche se stava chiaramente combattendo contro il sonno.

      «Ebbene, la famiglia e gli amici di Ludo uscirono a cercarlo, lo chiamarono e guardarono in ogni caverna e buco che poterono trovare, ma non si spinsero più lontano, nel bosco, vicino al castello della bestia e così, quando iniziò a fare

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