Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

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Il Castello Della Bestia - Aurora Russell

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annuì saggiamente. «Mi comprano dei nuovi vestiti quando i miei pantaloni si aprono, quando mi siedo. Siamo dovuti venire in questa casa quando quella in cui vivevamo è bruciata. Alcune persone hanno detto che la casa era tracig... trajkig... tragica, ma a me piaceva... e anche i miei amici. Louis aveva due barboncini. Quelli sono cani, lo sapevi?»

      Come si può dimenticare il candore dei bambini in età prescolare? E cosa intendeva con “tragica”? Non aveva certo intenzione di chiedere i dettagli a Jean-Philippe, ma non poteva fare a meno di domandarselo. «Mi dispiace. Sembra che ti manchino la tua casa e i tuoi amici.»

      «Jean-Philippe, avresti dovuto restare con Yvette fino a quando Mademoiselle Carson non avesse avuto la possibilità di sistemarsi.» La voce profonda proveniente dalla porta, fece scattare Veronica in piedi. Come prima, la vista dell’alta figura del proprietario di quella voce, le fece battere il cuore e fremere le terminazioni nervose. Qualcosa in Monsieur Reynard aveva attirato la sua attenzione come nessun altro in precedenza. Forse come nessuno aveva mai fatto.

      «La signorina Carson dice che posso chiamarla Veronica e lei mi chiamerà Jean-Philippe» disse il ragazzino.

      «È vero? A volte Jean-Philippe... beh, spesso... ha una grande immaginazione.» Monsieur Reynard si voltò verso di lei mentre parlava.

      Una strana sensazione allo stomaco avvertì Veronica che forse le abitudini della casa erano un po’ più formali, ma si trattava di un bambino, per l’amor del cielo. Di sicuro non avrebbe voluto che un bambino di quattro anni la chiamasse ‘Mademoiselle Carson’. Veronica alzò il mento.

      «Ha capito perfettamente. In realtà, spero che tutti mi chiamino Veronica. Non credo di essere mai stata chiamata Miss, o Mademoiselle, Carson.» Se avesse pensato che il suo nuovo datore di lavoro le avrebbe chiesto di chiamarlo con il suo nome di battesimo, qualunque fosse, in cambio, sarebbe rimasta delusa.

      «Benissimo. Lo farò sapere al resto dello staff. E ora, Jean-Philippe, credo che abbiamo rubato abbastanza tempo, a, ehm, Veronica. Lasciamo che si rilassi e si rinfreschi.»

      «Non mi importa se rimane. Io, ehm, non ho molto da disfare o... rinfrescare, davvero.» Sentì le sue guance avvampare, mentre gesticolava goffamente verso la grande ventiquattrore dove aveva infilato un rapido cambio di vestiti e due set di biancheria intima, nel caso il colloquio fosse finito tardi e lei avesse perso l’ultimo treno.

      Lui sollevò un sopracciglio scuro. «Effettivamente mi devo scusare per non aver considerato i suoi piani, con la mia offerta impulsiva. Forse non si aspettava di rimanere così presto.»

      «Oh, nessun problema, capisco» si affrettò a rassicurarlo, e lui inarcò le labbra in un sorriso ironico.

      «E lo apprezzo, ma il problema rimane. Se per lei va bene, prenderebbe in considerazione di acquistare qui, in città, tutto ciò di cui potrebbe aver bisogno per la prossima settimana, a mie spese, ovviamente, e tornare a Boston con me mercoledì prossimo per fare le valigie? Temo che dovremo partire abbastanza presto, ho una riunione alle undici, ma lei avrebbe tutto il giorno a disposizione e saremo di ritorno entro sera.»

      All’idea di passare ore in macchina con quell’uomo, andando e tornando da Boston, venne travolta da un’ondata di qualcosa che poteva essere sia eccitazione che panico. «Oh, non è necessario... posso...» Veronica non era sicura di come avesse pianificato di finire quella frase, ma Monsieur Reynard la interruppe.

      «No, no, insisto. Ora lei è una mia dipendente, uno stimato membro della mia famiglia. Inoltre, sarà la custode di tutto ciò che ho di prezioso: Jean-Philippe, il mio stesso cuore.»

      Le sue parole e il suo tono la presero alla sprovvista, così inaspettatamente tenere, provenendo da qualcuno che sembrava altrimenti formale e quasi distante. Ma mentre parlava, lei sentì la verità nascosta nella sua voce. Quell’uomo amava suo figlio ferocemente.

      «Ovviamente. Grazie, allora» accettò.

      «Mancano ancora ore prima che faccia buio e alla cena. Forse Veronica dovrebbe andare in città adesso?»

      Monsieur Reynard guardò incuriosito il volto sorridente di suo figlio. «Giusto. Questo sarebbe un buon momento per andare...»

      «Yeah!» Esultò Jean-Philippe. Le labbra di Veronica si contrassero mentre tratteneva una risata e il suo nuovo datore di lavoro la guardò con aria interrogativa.

      «Credo che si sia ricordato che ho promesso che gli avrei portato una sorpresa la prossima volta che fossi andata in città» spiegò.

      Monsieur Reynard non sorrise veramente, ma i suoi occhi si ammorbidirono in un modo che la fece sentire improvvisamente accaldata. «Vedo che ha già imparato a conoscere una delle cose preferite di questo piccolo mascalzone. Le sorprese non sono mai troppe.»

      «Potrebbe aver sottinteso qualcosa del genere» rispose lei scoppiando a ridere apertamente. «E sarei felice di andarci adesso. Non ho altro da fare, dopotutto.»

      Stranamente, le sue parole informali sembrarono raffreddare la temperatura della stanza, e lei desiderò potersele rimangiare.

      «Monsieur Hormet la accompagnerà, allora, e gli darò istruzioni di farmi fatturare direttamente dai negozi di abbigliamento… Non c’è bisogno che scelga qualcosa...» fece una pausa, come se cercasse una parola con tatto, «...di eccessivamente pratico» decise infine. «Può prendere qualcosa di adeguato e appropriato senza preoccuparsi del costo.»

      La scelta del cappotto di oggi mi perseguiterà per sempre? Si chiese Veronica. Di solito non si vestiva così, ma si era trattato di un colloquio di lavoro! Buon Dio. Nessuno in quella casa sapeva che per un colloquio di lavoro ci si veste per compiacere qualsiasi tipo di interlocutore?

      «Grazie. Farò del mio meglio» rispose acida, pensando che lui non avesse notato l’accenno di sarcasmo nel tono della sua voce, ma colse un certo luccichio di divertimento negli occhi del suo nuovo datore di lavoro, quando gli passò accanto dopo che lui le aveva fatto cenno di precederlo. Forse Monsieur Reynard non era fatto di marmo, dopotutto.

      Lasciando la stanza, Alain si rese conto di cosa fosse quella sensazione sconosciuta che si agitava nel suo petto. Leggerezza. Umorismo. Pensò che potesse piacergli davvero quella giovane donna un po’ troppo modesta. Veronica. Il nome non sembrava adatto a lei, ma gli era piaciuto come aveva insistito che tutti la chiamassero così, anche se lui aveva notato che si era resa conto che fosse una richiesta insolita.

      Il suo istinto, e aveva costruito il suo vasto impero commerciale in gran parte sulla sua percezione nei riguardi degli altri, gli diceva che non avrebbe potuto trovare una compagnia migliore per il suo bambino. E se le sue parole, espresse d’impulso, avevano sorpreso sia lui che la giovane donna, niente poteva essere più vero. Jean-Philippe era il centro del suo mondo. La leggerezza e la gioia che suo figlio portava con sé illuminavano anche le parti più oscure del cordiglio e dell’angoscia di Alain.

      Se prima dei recenti avvenimenti nella loro casa di Nizza a volte aveva dato per scontata la sicurezza e la presenza continua di suo figlio, ora tutto quello che faceva era per Jean-Philippe. Aveva trasferito una porzione molto ridotta della servitù nella loro casa più piccola e più remota lì, nel Maine, in parte per tenersi lontano dalla stampa implacabile, ma soprattutto per suo figlio, per assicurarsi che Jean-Philippe potesse correre libero e divertirsi senza il costante controllo dei media, le speculazioni, i sospetti, e i costanti crudeli pettegolezzi a cui non potevano sfuggire in nessun ambito della società francese.

      L’ironia della

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