Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

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Il Castello Della Bestia - Aurora Russell

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nella sua testa dato che il suo viso era così aperto. Non era sicura di quale fosse la risposta giusta. Stava chiaramente valutando se dovesse rifiutare perché era nuova... o se fosse più educato accettare qualcosa.

      «Forse un piccolo sherry o un porto? Io sto bevendo un Pastis, se le piace.» Non sapeva perché glielo avesse suggerito, se non perché non gli piaceva vederla a disagio. Il suo vestito, inoltre, non era così scialbo come lui aveva immaginato, ma sembrava invece abbracciare amorevolmente le sue curve in un modo che lo distraeva molto.

      La voce di Jean-Philippe ruppe l’incantesimo, distraendolo dalla contemplazione del vestito di lei. «Vorrei seltz con lime, per favore, papà» disse suo figlio, spostando il suo giocattolo e facendo versi da orca. Quelli molto acuti. In realtà erano piuttosto ben riusciti, notò Alain con orgoglio, anche se i suoi timpani avrebbero potuto non essere d’accordo.

      «Ovviamente, mon grand» rispose Alain, sorridendo al suo bambino mentre lo chiamava scherzosamente con l’equivalente francese di “grand’uomo”.

      «Mi piacerebbe un Pastis, allora. Grazie.» Il tono di Veronica era cauto e leggermente formale, e per qualche motivo gli venne voglia di sorridere ancora una volta. Alzò entrambe le sopracciglia quando lei gli comunicò la sua scelta. Avrebbe potuto arrivare ad amare quel tono di voce impertinente e il modo lussurioso in cui lei socchiudeva le labbra.

      «Un Pastis? Lo ha già bevuto in precedenza, quindi?»

      Un’espressione curiosa, un misto di amore assoluto e profondo dolore, le attraversò il viso. Era rimasta lì solo per un secondo, ma era inconfondibile. Alain la riconobbe, e si rese conto che era la stessa espressione che lei aveva avuto quando aveva guardato la foto, il piccolo screensaver sul suo telefono.

      «Sì, solo qualche volta, ma mi è piaciuto. Ho studiato a Parigi per un semestre, quando ero al college, ma ho fatto un viaggio una volta nel sud, vicino ad Aix-en-Provence.»

      Reprimendo la sua curiosità, Alain preparò abilmente sia il drink di Veronica che quello di Jean-Philippe. Le loro dita si sfiorarono solo per un istante, quando lui le porse il bicchiere. Nonostante il vetro ghiacciato, lui sentì un brivido caldo provenire dal punto in cui si erano toccati, che presto si diramò lungo tutto il corpo. Ritirò la mano come se si fosse bruciato, e lei fece qualcosa di simile, spruzzandosi del liquido sul vestito. Non incrociò il suo sguardo, mentre cercava disperatamente di riportare la serata su un piano più consono. Cortese. Distante.

      «Aix è bellissima... È vicina al luogo da dove proviene la famiglia di mio padre.» Aveva provato a fare alcune delle piacevoli conversazioni in cui eccellevano i suoi coetanei, ma invece, aveva rivelato più di se stesso. Perché aveva scelto quelle parole? Non parlava quasi più della famiglia di suo padre. Si sentì profondamente a disagio nel constatare quanto lei gli stesse già piacendo, e fece un passo indietro a livello mentale.

      Inconsapevole del suo imbarazzo, Veronica rispose con cortesia «Oh, sì. Un’architettura meravigliosa. Non sapevo che i romani avessero vissuto così tanto lì, costruito così tanti edifici. Ma non mi sono piaciute le arene.» I suoi occhi si addolcirono di compassione. «Mi sembrava quasi di percepire tutti i combattimenti che dovevano essersi svolti tra quelle mura.» Si fermò prima di dire la parola, probabilmente per riguardo verso Jean-Philippe, ma Alain capì perfettamente cosa intendeva. Tutta la morte... L’aveva sentita anche lui. Qualcuno non sempre sopravviveva dopo un combattimento, e spesso nessuna delle due parti si salvava. Era stato un commento istintivo, ma gli dimostrava quanto lei fosse sensibile. E l’ultima cosa che qualcuno, intorno a lui, avrebbe dovuto essere, era essere sensibile.

      Si schiarì la gola per rispondere, ma Jean-Philippe parlò di nuovo per primo.

      «La mia maman ha avuto un incidente. Con Sébastien. Lui mi piaceva. Mi portava dei dolci. Ma le creature marine mi piacciono più dei dolci.»

      Alain sapeva che quello era stato un commento innocente. Mon Dieu, Jean-Philippe era del tutto incolpevole, ma aveva risvegliato un fuoco che lui teneva ben custodito, un fuoco che, nonostante tutti i suoi sforzi, aspettava solo di divampare da un momento all’altro: la rabbia, cruda e primitiva. Sébastien era stato il suo più caro amico, il suo più stretto socio in affari e un assiduo frequentatore della loro casa. Poi aveva improvvisamente tradito Alain in ogni modo, e Joëlle...

      In un attimo, non c’era abbastanza aria nella stanza e Alain aveva bisogno di respirare. Inoltre, aveva bisogno di allontanarsi da Jean-Philippe per mantenere la sua innocenza, lasciandolo ignaro della verità il più a lungo possibile. Stranamente, voleva proteggere anche la nuova ragazza alla pari. Veronica, con la sua aria così paziente e buona, anche se lui aveva intuito che nel suo passato avesse conosciuto la sua dose di tristezza.

      Posò il bicchiere e guardò di proposito l’orologio. «Mi dispiace. Ho dimenticato una chiamata che devo fare prima che i mercati aprano a Hong Kong» disse. Il suo tono era piatto, e le sue parole suonavano vuote anche alle sue stesse orecchie: doveva uscire di casa, nell’aria fresca della sera. «Perdonatemi. Sarà per un’altra volta. Buona cena.»

      Senza nemmeno guardarla, si accorse che Veronica era stata presa alla sprovvista. Anche Jean-Philippe sembrava deluso, ma se la cavò meglio perché, con vergogna di Alain, suo figlio aveva fatto molta pratica.

      Sentiva ancora sulla lingua il retrogusto amaro della sua menzogna accuratamente formulata, quindi si voltò senza dire una parola e uscì con deliberata attenzione dalla stanza, proseguendo dritto fuori dalla porta principale nella foschia scura della sera.

      Dopo la brusca partenza di Monsieur Reynard, Veronica abbassò lo sguardo su Jean-Philippe. Il viso del bimbo era abbattuto ma stoico. Le fece male il cuore. Chiaramente, quella scena si era già ripetuta in passato, il che era strano, visto che da subito le era parso evidente che Monsieur Reynard adorasse il suo bambino. Ma immaginò anche che lui dovesse essere un maniaco del lavoro. Nessuno diventava un mega milionario mantenendo un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. Lei stava ancora imparando la disposizione della casa, dopo il breve tour della mattina, e non le sembrava che Monsieur Reynard si stesse dirigendo verso l’ala con il suo ufficio, ma suppose che potessero esserci più postazioni di lavoro.

      Scrollandosi di dosso le sue riflessioni, fece un bel sorriso a beneficio di Jean-Philippe. «Dato che siamo solo noi, avremo un dessert extra?» gli chiese, e lui si illuminò immediatamente.

      «Davvero?» le rispose.

      Lei scrollò le spalle, bevendo un ultimo sorso del suo drink. «Non ne sono sicura, ma mangerò sicuramente tutta la mia carne e le mie verdure, così potrò scoprirlo.»

      Jean-Philippe annuì. «Anch’io» rispose lui, facendo eco al suo tono entusiasta, e si diressero in sala da pranzo.

      Sembrava un po’ ridicolo avere una tavola così elegante per due persone, soprattutto perché quelle due persone erano una ragazza alla pari e un bambino di quattro anni, ma la faccia di Monsieur Hormet mentre li serviva era assolutamente impassibile. Veronica era gelosa, in realtà. Aveva sempre voluto possedere l’abilità di non mostrare ogni suo pensiero sul viso, ma non aveva mai imparato a farlo. Prese mentalmente nota, mentre stavano mangiando l’insalata, di chiedergli più tardi come facesse.

      La cena era deliziosa e molto, molto francese. Cassoulet, con insalata a seguire, poi un piatto di formaggi, a terminare con una crème brûlée. Il suo dessert preferito. Non fu difficile accettare di condividere una seconda porzione di dessert con Jean-Philippe, anche se avrebbe dovuto stare attenta, se davvero mangiavano così tutte le sere. Le maniere di Jean-Philippe erano eccellenti, molto meglio di qualsiasi altro bambino di quattro anni che lei avesse incontrato prima, ma rifletté sul fatto che

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