Una Maestra D'Asilo Per Il Re. Shanae Johnson

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Una Maestra D'Asilo Per Il Re - Shanae Johnson

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una femminista, certo. Del tipo, però, che voleva uguali diritti e pari stipendio, ma gradiva che ci fosse un uomo ad aprirle la porta e pronto a conquistarla. Avrebbe combattuto al fianco del suo principe se un drago, in una torre o durante una parata, li avesse attaccati. Ma perché avrebbe dovuto farlo, quando era a lui che spettava farsi trovare ben equipaggiato?

      «Signorina Pickett, ho appena ricevuto un’altra lamentela per del materiale inappropriato letto nella sua classe. Qualcosa su principesse, draghi e spade.»

      Esme si voltò di scatto. Come aveva fatto a saperlo? Era appena uscita dalla sua classe.

      «La madre di Aubrey Thomas ha appena chiamato.»

      Aubrey “Puzza sotto il Naso” Thomas. Quella ragazzina aveva un cellulare. Aveva scritto un messaggio alla madre? Beh, sapeva già leggere. La maggior parte dei bambini di cinque anni della sua classe erano a livello di quelli di seconda elementare, e si annoiavano durante le sue lezioni sull’alfabeto.

      «I genitori ci affidano il compito di preparare i loro figli al mondo reale, signorina Pickett.»

      Possibile che nessuno credesse all’esistenza del romanticismo, nel mondo reale? Che esistessero ancora uomini disposti a uccidere un drago per il loro vero amore? A quanto pareva, no. La maggior parte degli uomini della sua età sconfiggeva troll virtuali facendo scorrere un dito sulla tastiera e niente più.

      «Credo che lei abbia un futuro brillante, qui con noi» disse il preside Clarke. «Ma se continuo a ricevere chiamate…»

      «Stavo cercando di dare una lezione morale» rispose Esme. «Ma non sono riuscita ad arrivare alla fine della favola.»

      «Provi con una storia differente, la prossima volta. Magari con una biografia.»

      Esme respirò attraverso il naso per tenere la bocca chiusa. I fatti nudi e crudi, secondo lei, erano per i ragazzi più grandi.

      «Oggi vengono a farci visita due persone molto importanti. Il principe e la principessa di Cordoba. Vogliamo fare una buona impressione.»

      Ecco l’unica cosa a cui tutti, in quella scuola, erano interessati. Fare una bella figura. Non stimolare l’immaginazione.

      «Vado a prendermi una fetta di torta» disse Esme. «Posso portarle qualcosa?»

      «Torta? Carboidrati nel pomeriggio? Mio Dio, lei vive pericolosamente, signorina Pickett.»

      Con un altro profondo respiro attraverso il naso, Esme tenne la bocca chiusa e uscì dall’edificio. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, e, prima ancora di aver girato l’angolo, scrisse a Jan di scaldarle una fetta del suo dolce preferito.

      Premette il tasto INVIA. Quando alzò lo sguardo, faticò a credere ai suoi occhi. C’era un drago in mezzo alla strada. E stava volando dritto verso di lei.

      Capitolo Tre

      Mentre guardava fuori dal finestrino della macchina, la città di New York scorreva davanti agli occhi di Leo in cemento grigio, denim blu e luci fluorescenti. Gli scorreva davanti era un modo di dire. Avrebbe potuto camminare più velocemente di quanto l’auto viaggiasse nel traffico. Quella strada trafficata era più simile a un parcheggio che a un percorso.

      «Mi dispiace che ci si metta così tanto, signori» disse l’autista.

      Si toccò il cappello mentre guardava Leo e Giles sul sedile posteriore. Il loro autista era originario di New York. Era sembrato deliziato quando aveva saputo che avrebbe portato in giro un re in carne e ossa. In effetti, aveva davvero ridacchiato come una scolaretta quando si era trovato faccia a faccia con Leo.

      «Si figuri, tutto a posto» gli disse Leo.

      «Ha detto che vuole andarsene da questo posto, Altezza?»

      Leo aveva viaggiato molto prima di salire al trono. Ai tempi della scuola, aveva trascorso molto tempo in Germania, dove aveva imparato a esprimersi in modo chiaro e coinciso. Dopo la scuola, aveva lavorato a lungo nelle missioni nell’Africa francofona, dove l’accento era molto marcato.

      Eccelleva nella comunicazione. Tranne che lì a New York, dove gli accenti, che sembravano degli scioglilingua, i doppi negativi e i significati capovolti di alcune parole spesso lo coglievano alla sprovvista. E viceversa, a quanto pareva.

      «No» disse Leo. «Voglio dire che il traffico non è colpa sua.»

      L’autista annuì. «Mi scusi. Il suo è un inglese da ricconi. Ho già abbastanza problemi a capire le persone del Jersey.»

      Leo rise a quella battuta. Nonostante i problemi di comunicazione, gli piaceva parlare con l’autista sin da quando era andato a prenderli all’aeroporto. Avrebbero potuto utilizzare il loro autista di Cordoba, ma l’ambasciata aveva detto che sarebbe stato meglio averne uno nativo di New York, quella settimana, quando i diplomatici di tutto il mondo avrebbero intasato le strade.

      Leo guardò quei nastri di asfalto. Cosa non avrebbe dato anche per un solo attimo di libertà! Un momento per scomparire tra la folla.

      «Perché non usciamo e ce la facciamo a piedi?» propose Leo.

      Giles sbuffò come se qualcosa di aspro e sgradevole si fosse fatto strada con gli artigli dal fondo della sua gola. «Siete un re. Un re non cammina. Soprattutto in una città straniera.»

      «Nessuno sa chi sono, qui. Potrei essere un uomo qualunque che passeggia per strada.»

      In quel momento Giles arricciò il naso come se avesse fiutato qualcosa di veramente disgustoso. «Appartenete a un lignaggio di grandi guerrieri e leader, i quali, secoli fa, avrebbero schiacciato ribelli come questi se avessero osato non essere d’accordo con il loro re. Siete tutt’altro che un uomo qualunque.»

      Leo azzardò un’occhiata nello specchietto retrovisore. «Senza offesa» disse all’autista.

      «Non mi offendo» rispose prontamente lui. «Non sono sicuro di aver capito bene tutto quello che ha detto.»

      Leo ridacchiò di nuovo, e poi il suo stomaco entrò in azione. «Quello che io so per certo è che sono affamato.»

      «Ha fatto colazione nella suite dell’hotel.» Giles non alzò nemmeno lo sguardo. Sfogliava le carte del suo dossier.

      «Ho di nuovo fame» si lamentò Leo, suonando simile alla sua bambina di cinque anni prima di andare a letto.

      «Naturalmente» disse Giles sottovoce ma abbastanza forte perché Leo potesse sentirlo. «Ci siamo quasi. Sono certo che ci sarà da mangiare in abbondanza.»

      Sebbene Leo indossasse la corona e sedesse su un trono, sentiva che la sua vita non era mai stata sua. Prima che fosse Giles a gestire i suoi programmi, erano stati i suoi genitori a pianificare ogni sua mossa. A volte si chiedeva se il castello immerso tra le nuvole dove risiedeva non fosse in realtà una gabbia dorata.

      Si rivolse di nuovo allo scenario di New York che aveva davanti. Quando la macchina svoltò in una strada laterale, ai suoi occhi apparve un castello. O qualcosa che si avvicinava a un castello. Invece delle torrette, la tenda parasole ricordava la crosta di una torta salata. L’insegna sopra la porta identificava il negozio come il Peppers’ Pies.

      Fuori

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