Una Maestra D'Asilo Per Il Re. Shanae Johnson

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Una Maestra D'Asilo Per Il Re - Shanae Johnson

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non credi nel romanticismo o nelle favole?»

      «Sono due cose diverse. Le favole sono storie inventate.»

      «E il romanticismo?»

      Leo guardò in lontananza. «Il romanticismo è reale. Ma non tutti possono permetterselo.»

      «Non riesco a immaginare di sposarmi per nient’altro che per amore. Che senso avrebbe?»

      «Sicurezza finanziaria. Protezione. Dovere. Ecco perché la nobiltà si sposava in passato, così come nel presente. Molte persone comuni si sposano ancora per convenienza. L’amore romantico ha solo poche centinaia di anni.»

      «Se ne scrive da millenni.»

      «Ed ecco le favole.»

      «Beh, allora è una fortuna che noi due siamo persone comuni e possiamo scegliere di sposarci per amore e non per dovere.»

      «Sì. Siamo proprio fortunati.»

      Una gola si schiarì alle loro spalle. Esme alzò lo sguardo per vedere il disapprovante Giles che la fissava ancora una volta.

      «Le mie scuse, Esme, ma il dovere mi chiama.» C’era vero rammarico nella voce di Leo. «Devo tornare al lavoro. È stato bello conoscerti.»

      Allungò la mano. Lei gli porse la sua. Aveva qualche briciola di torta sulla punta delle dita. Tentò di tirare indietro la mano nel tentativo di pulirla, ma Leo gliela fermò. Le girò il palmo e lo baciò.

      Le farfalle esplosero nel ventre di Esme. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva la lingua incollata al palato. E nel momento in cui il cervello riprese a funzionare, lui se n’era andato.

      Capitolo Cinque

      Leo raccolse con la punta delle dita le ultime briciole di quel dolce che gli ricordava casa e se le leccò. La crosta dorata lo aveva trasportato sulle spiagge sabbiose dell’isola appena a est di Barcellona. Le note dolci e fruttate gli avevano ricordato la regione vinicola francese a nord di Cordoba. E la miscela di spezie aveva dato un calcio ai suoi antenati moreschi che venivano dal sud. La pasticcera aveva catturato tutta la storia e la cultura di Cordoba in un boccone perfetto.

      «Puoi ordinarne un po’ per la cena di stasera?» chiese Leo a Giles.

      Il suo assistente tirò fuori il cellulare e fece l’ordine mentre Leo si leccava l’ultimo pezzetto dalla punta delle dita. Era maleducato succhiarsi le dita, certo, ma nessuno lo stava guardando. Giles era occupato al telefono con la pasticciera. L’autista aveva gli occhi sulla strada. E la mente di Leo era... altrove.

      Poco più avanti, vide il furgone della lavanderia con il disegno del drago verde parcheggiato davanti a un negozio. Se fosse stato in movimento, Leo avrebbe potuto essere tentato di lanciarsi nella mischia ancora una volta. Ma la sua damigella era sistemata al sicuro su uno sgabello nel negozio di torte.

      Leo si chiese se, accostando l’orecchio al telefono di Giles, fosse stato possibile sentire la risata tintinnante di quella donna. Lei aveva trattenuto il fiato mentre si chinava in avanti e lo ascoltava recitare i noiosi dettagli del lavoro di un re, un lavoro che lui aveva finto non fosse il suo. Eppure, ne era rimasta comunque affascinata.

      Esme lo aveva chiamato cavaliere, un eroe. Da vero re, quelle definizioni non gli appartenevano. Era solo un nobile in giacca e cravatta. Un uomo d’affari. E il titolo lo poneva come una figura di spicco con molte responsabilità. Una di quelle responsabilità era trovare una nuova moglie.

      Pensò al sorriso di Esme. A quanto spontanee fossero state le battute tra di loro. Alla sua immaginazione selvaggia. Al suo accento americano e al bell’aspetto da ragazza della porta accanto. Era così americana che di più non poteva essere, e senza una goccia di sangue blu che le scorresse nelle vene.

      Era tutta sbagliata per lui, ovviamente. Di certo non era la candidata ideale da far sedere accanto a lui sul trono. Ma una deliziosa compagna seduta accanto a lui su uno sgabello.

      Gli era piaciuta la loro conversazione. Gli era piaciuta la fuga che lei gli aveva offerto, anche se solo per un momento. Davanti a una fetta di torta, era stato un uomo normale che chiacchierava del più e del meno con una bella ragazza. Lui non aveva mai fatto niente di banale in vita sua. Ogni sua mossa, pensiero e decisione erano una questione di Stato.

      Il tempo passato con Esme era stato come una fuga in un libro di favole. Ora era di nuovo al lavoro mentre l’auto si fermava al quartier generale delle Nazioni Unite.

      L’alta struttura in vetro e cemento era simile a qualsiasi altro edificio per uffici in città. Ciò che la distingueva era la schiera di bandiere che sventolavano dai pennoni. Ce n’erano decine. Centonovantatre, per l’esattezza. Leo individuò facilmente la bandiera cordovana con i suoi fedeli colori arancione, rosso e blu.

      «Ha i suoi appunti?» chiese Giles.

      Certo che li aveva. Era sempre preparato. Ma Giles doveva fare quella domanda, era il suo lavoro.

      Leo sapeva che altri nella posizione di Giles avevano vita dura con i nobili che servivano. Alex non riusciva a tenersi un cameriere o un assistente. Uomini e donne si arrendevano nel giro di poche settimane cercando di domare la sua natura ribelle. La maggior parte delle volte, non riuscivano a trovare Alex perché era salito su un jet o su uno yacht ed era in qualche angolo sperduto del globo a riempirsi la pancia di piatti esotici. Leo era il perfetto datore di lavoro, Giles non avrebbe dovuto davvero lamentarsi.

      «Che cosa è successo al suo vestito?» Giles lo guardò con orrore. In fondo alla sua giacca erano rimaste alcune macchie, regalo degli istanti trascorsi sull’asfalto con Esme.

      «Oh, ho salvato una damigella in pericolo. Esme, la donna del negozio di torte.» Con il suo nome sulla lingua, Leo si gustò un’ultima esplosione di dolcezza che gli era rimasta incastrata dietro gli incisivi superiori, e che in qualche modo si era perso. Ingoiò quell’ultimo bocconcino e lo sentì spostarsi nella parte posteriore della gola e giù per il petto.

      Giles non si stava divertendo per niente. «Ecco, prenda la mia giacca.»

      Lui lo fece. Per fortuna, lui e Giles avevano la stessa taglia, e la giacca di Giles era elegante quasi quanto quella di Leo. Con quel disastro scongiurato, e le ultime tracce della sua avventura sparite, si diressero verso l’edificio.

      Il ruolo dell’ONU era quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Cordoba non era sotto minaccia e non ne fronteggiava una da secoli. Un tempo, gli antenati di Leo avevano una roccaforte nelle terre di quelle che sarebbero diventate le attuali Spagna e Francia. Ma la storia violenta divide le popolazioni, e i confini erano stati spostati fino a quando, alla fine, i cordovani moderni si erano trovati a vivere su un’isola lussureggiante nel Mediterraneo.

      La sua gente non poteva davvero lamentarsi. La loro isola era circondata da spiagge incontaminate. Nell’interno c’erano valli lussureggianti e alte montagne. Il terreno era fertile e c’erano pesci in abbondanza.

      Uno degli articoli della Carta delle Nazioni Unite imponeva di proteggere i diritti umani. Cordoba non era accusata di violazioni del genere. Anche in un paese popolato da ex nemici che avevano saccheggiato gli antenati l’uno dell’altro, ora c’era armonia tra i francesi, gli spagnoli e gli africani.

      Quando si trattava di aiuti umanitari,

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