La rivicità di Yanez. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La rivicità di Yanez - Emilio Salgari страница 20
– E liberato Yanez dove andremo?
– Ci rifugeremo fra i montanari di Sadhja. Lassú Sindhia non verrà a scovarci, te lo dico io.
– Ed intanto lui s’impadronirà di tutte le migliori città dell’Assam che noi non possiamo difendere.
– Ma gliele riprenderemo – rispose Sandokan. – Ormai questo famoso impero, per il quale non darei cento rupie, poiché rende piú noie che utile, è da riconquistare da cima a fondo.
– Un’impresa un po’ dura.
– Ma è il nostro mestiere quello di battagliare continuamente. A Mompracem, ora che gl’inglesi mi lasciano tranquillo, cominciavo ad annoiarmi mortalmente.
Guardò bene in viso il cacciatore di topi, il quale non aveva mai pronunciata una parola, e gli chiese:
– Tu sapresti condurci, senza farci smarrire la via, fino alla fattoria?
– Rispondo pienamente, gran sahib – rispose il baniano. – Collocatemi dietro il cornac che guiderà il primo elefante, e vedrete che noi marceremo, o meglio, galopperemo diritti verso i grandi fichi baniani.
Sandokan guardò l’orologio:
– Sono le tre: approfittiamo dell’ora di tenebre che regnerà ancora. Farà caldo, l’impresa sarà dura, ma io non dispero affatto. Sindhia non ha che una marmaglia che cederà subito al primo attacco.
– Ed i rajaputi? – chiese Kammamuri.
– Ne abbiamo ammazzati tanti nelle jungle che credo ne siano rimasti ben pochi a Sindhia.
– E poi una parte di quei solidi guerrieri sono impegnati intorno alla fattoria.
Sandokan esaminò la carabina e le pistole, fece scorrere la scimitarra piú volte entro la guaina, poi disse con voce risoluta:
– Andiamo: succederà un massacro, ma non lo possiamo evitare.
Si misero tutti in marcia, senza curarsi di spegnere il fuoco, e raggiunsero il luogo dove si trovavano gli elefanti ed i cavalli.
Le povere bestie, straziate dalla fame, empivano la grande cloaca di fragori formidabili.
Invano i cornac, con carezze e con dolci parole, cercavano di calmare i giganteschi pachidermi, i quali erano diventati furiosi. L’olandese era nell’houdah contenente le sue famose casse piene di bottiglie micidiali, almeno cosí affermava lui.
– Signor Wan Horn, – disse Sandokan – mettete a dormire le vostre bestioline e preparate le vostre armi da fuoco.
– Come!… – esclamò il dottore. – Si parte senza attendere lo sviluppo dei bacilli virgola?
– Non abbiamo tempo da perdere, signore – disse Sandokan un po’ ruvidamente. – Io, d’altronde, ho sempre avuto piú fiducia nelle mie mitragliatrici e nei kampilangs dei miei uomini.
– Oh, le genti di Sindhia morranno ugualmente – rispose l’olandese colla sua solita flemma.
Attorno agli elefanti ed ai cavalli vi erano i cornac e due dozzine di malesi. Sandokan diede alcuni ordini con voce rapida.
– Vi aspettiamo – disse poi – all’uscita della grande cloaca. Badate che le mitragliatrici siano tutte cariche. È soprattutto su quelle armi che io conto.
Poi, seguíto dai suoi compagni, e preceduto dal cacciatore di topi, che aveva accesa un’altra torcia, si slanciò a passi rapidi attraverso la banchina.
Alla foce del fiume nero non si combatteva piú. I banditi di Sindhia, dopo aver fatto un debole tentativo per forzare l’entrata, si erano lestamente ritirati dinanzi alle grosse carabine dei malesi e dei dayaki che li mitragliavano inesorabilmente.
Quando Sandokan giunse, i suoi uomini, saputo di che cosa si trattava, erano già pronti ad impegnare la lotta. Come il loro formidabile capo, quei terribili pirati dei mari della Malesia, avevano presa l’abitudine di montare all’abbordaggio, di montare all’assalto senza mai chiedersi quanta gente avessero dinanzi.
Erano guerrieri che non temevano né cannoni, né baionette. A troppe vittorie li aveva condotti la Tigre della Malesia, ed erano sempre pronti a impegnare qualunque combattimento.
– Con cinquantamila di questi uomini si può conquistare l’Asia intera – mormorò Tremal-Naik.
Gli elefanti ed i cavalli giungevano senza far troppo fracasso, poiché i cornac ed i cavalieri facevano il possibile per mantenere ancora calme le bestie.
Sandokan si era spinto verso la foce del fiume fangoso in compagnia di Tremal-Naik, di Kammamuri e del cacciatore di topi, ed interrogava ansiosamente le tenebre.
Non riusciva a scorgere nulla; ma era piú che certo che dei banditi dovevano essersi ammassati in buon numero, poiché fino a pochi momenti prima avevano sparato delle fucilate dentro la grande cloaca.
– Non si aspettano certo questa sorpresa – disse a Tremal-Naik. – Caricheremo a fondo e ci apriremo il passaggio senza subire troppe perdite.
Noi abbiamo provate ben altre emozioni; non è vero, amico?
– Specialmente a bordo del Re del Mare – rispose il famoso cacciatore. – Ed allora combattevamo contro mio genero.
– E tu, cacciatore di topi, che vedi anche di notte come i gatti e gli sciacalli, vedi nulla? – chiese Sandokan al baniano.
– Sí, vi sono degli uomini radunati intorno alla moschea.
– Molti?
– Non saprei dirvelo, gran sahib.
– Montiamo: i cornac non possono piú trattenere gli elefanti.
Salirono rapidamente sull’houdah del primo elefante mettendosi dietro alle mitragliatrici, e diedero un ultimo sguardo alle altre bestie, le quali sentendo il profumo delle erbe e delle piante, che il vento spingeva dentro la grande cloaca, si agitavano e s’impennavano tentando di scappare.
– I dayaki a destra degli elefanti; i malesi invece a sinistra!… – gridò. – Ed ora via!… Alla battaglia!…
La colonna infernale si rovesciò fuori del gigantesco sotterraneo, mandando spaventevoli gridi di guerra.
Gli elefanti, uno dietro l’altro, si erano messi a correre furiosamente, barrendo.
In un momento tutti quei prodi si trovarono nei pressi della moschea.
– Fuoco alle mitragliatrici!… – urlò Sandokan. – Presto! … Presto!…
Centinaia e centinaia d’uomini erano usciti dalle tenebre, sparando all’impazzata contro gli elefanti, ma il fuoco delle mitragliatrici subito li arrestò.
– Alla carica!… Alla carica!… – urlò Sandokan.
La colonna infernale si slancia, rovescia, schiaccia, sciabola, mentre le mitragliatrici e le grosse carabine si uniscono a quel fracasso