Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

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Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi

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per crescere l’ardore dei carboni tu li sbraci; la luce alla fiaccola tu la sventoli; commuovi forte l’anima umana e manderà calore, e luce. – Allora nell’agitazione degli affetti i popoli vetusti decretarono a Giove l’ecatombe, sagrifizio di cento bovi, non consultate o neglette le necessità dell’agricoltura, onde temperando più tardi lo incauto zelo, la stessa religione interpetrò per ecatombe non avere inteso significare i padri il sagrifizio di cento bovi, bensì cento gambe di bovi, e così venne ridotto il macello da cento a venticinque teste. Con l’animo agitato dal pericolo, e dal furore di superarlo, e’ fu che gli Ateniesi allo approssimarsi dei Persiani votarono a Diana immolarle tante capre quanti avrebbero ucciso nemici; i quali salirono a numero così strabocchevole, che non trovandosi in tutta l’Attica capre sufficienti al sagrifizio, bisognò ridurre il voto a cinquecento per anno; a questo modo ridotto durava anco ai tempi di Senofonte, che ce ne ha lasciato il ricordo. Nè a me giova moltiplicare esempi cavati dalle antiche o dalle moderne storie quando pure ieri io ne vedeva sotto i miei occhi la conferma, conciossiachè disputandosi fra noi sul modo di sovvenire certa sventura fraterna, il popolo non trattenuto dalle parole dei savi, i quali facevano considerare come accadendo gl’infortuni quotidiani, ed uno pur troppo più lacrimabile dell’altro, prudenza persuadeva a risparmiare il danaro tenendone in serbo una parte, ed una parte donandone, divinamente improvvido si rovesciò le tasche dicendo: «a domani qualcheduno penserà.» I santi solo ed il popolo pronunziano col cuore: «Deus providebit,» perchè davvero essi credono in Dio, ed essi solo meritano che Dio risponda alla loro fede.

      La storia ci ammaestra l’esempio quanto sia contagioso così pel male, come pel bene; sebbene pel male due cotanti più, ond’io penso che amore desterebbe amore, generosità moverebbe generosità, e se taluno oltre a pagare i consueti balzelli per diventare popolo veracemente, costituire la Italia, uscire dall’uggia, e dalla umiliazione del presente avesse a deporre nell’erario mezza la sua entrata, a patti che l’avanzo bastasse ai bisogni della famiglia, e suoi, per me credo, che lo farebbe. – Che se altri irridendo opponga: «o chi lo para da mettere in esecuzione il suo proponimento?» Si risponderebbe: che a questi Governatori sempre ricusammo pecunia, però, che fino dal ministero Cavour a noi parve il concetto del governo viziato; c’increbbero gli uomini, ma più il disegno; conoscemmo la riga tirata obliqua, la quale quanto più sarebbe stata prodotta, di tanto sariasi dipartita dalla via retta. Anzi le mie parole novissime in Parlamento furono profferite per negare la riscossione provvisoria della rendita pubblica, avversando la opinione di tali, che si professano amici, quanto me, e più di me del vivere libero. Ora hassi a giudicare mal vezzo di animo stolidamente maligno intimarci a depositare il nostro danaro in mano a gente in cui non confidiamo, e che per opinione nostra servirebbe ad allungare l’agonìa della Patria. Come spontanei commetteremmo il nostro avere a tali a cui costretti innanzi di dare un soldo ci lasceremmo pestare nel mortaio come Anassarco? – Tanto varrebbe, come dice il proverbio, pagare il boia perchè ti frusti. E prima di dare, tirando un frego sul passato, vorremmo essere sicuri, che di ora in poi non ci si facessero mangerie come rescriveva Cosimo dei Medici allorchè stanziava i trecento scudi pel restauro del bagno di Montecatini. Ancora parrebbe giusto, che le bocche inutili si cacciassero via, dacchè se lice cacciarle dalle città assediate dalle armi non ci biasimeranno se lo facciamo noi assediati dai debiti. Oltre le bocche inutili le bocche indegnamente fameliche si hanno a sfrattare; e chi tira paga, provvisto secondo la condizione ai bisogni suoi e della famiglia, la lasci anch’egli per un’anno alla Patria. – A questo modo raduneremo danaro e subito. Le sono fisime queste, ci schiamazzano dietro, ma tutto ciò, che minaccia l’interesse acquistato, o lo interesse in procinto di conseguirsi dai conservatori chiamasi fantasia, e peggio, nè si contentano a parole, bensì lo lacerano coi fatti: quale impresa onorata cotesti uomini perduti non vituperarono delirio prima dello esito? E riuscita qual’è la impresa di cui non si approfittarono? L’aquila imperiale, il leone repubblicano capitati nelle loro mani, mantrugia mantrugia, tramutarono in pollo, e in capretto per arrostirli poi; e col sangue dei martiri li spruzzarono, affinchè riuscissero più saporosi a mangiarli. A fine di pasto propinarono ai pazzi sublimi defunti per avventarsi più rabbiosi sopra i viventi, finchè a posta loro non fossero morti vincendo nuova pietanza per essi. – Perchè ci lodino, la nostra sorte vuol’essere quella di Epaminonda a Mantinea, vincere la battaglia per loro e poi morire.

      Consideriamo questi uomini pratici, questi moderati, i quali, secondochè altra volta notammo, tolsero questo nome al modo stesso degli antichi Imperatori, che Affricano, o Asiatico, o Germanico appellaronsi per le stragi, che menarono in coteste parti di mondo; moderati per avere assassinato la santa moderazione; consideriamo, dico, questi uomini alla prova: con qual norma regolarsi non sanno; ora rendono omaggio allo scambio libero, ed ora lo rinnegano, anzi la stessa legge in parte lo accarezza, e in parte lo schiaffeggia; durante la stessa sessione un Ministro scema il porto delle lettere, perchè il buon prezzo cresce lo spaccio, e nello spaccio sta il guadagno; un’altro aumenta il costo dei trasporti sopra le ferrovie, perchè il rincaro quando l’oggetto è necessario non dissuade la gente da procurarselo. Fanno, e disfanno: adesso pare, che consentano, quanto all›aumentato prezzo dei trasporti, a rimettere le cose come prima e ne hanno presentato la legge al Parlamento, che ne voterà la soppressione con la medesima ressa insensata, e servile con la quale testè ne votava la instituzione: trafitti dal successo i Ministri piegano il capo a mutare la legge sul bollo e sul registro, senza però rimettere di un pelo dell›arrogante pertinacia a volere sgararla nelle proposte che sbalestrano a vanvera, nè i fidi Acati a cessare di un attimo dal servire cotesti buoni Signori di coppa e di coltello. Se tu avverti ai quotidiani svarioni economici contrastanti fra loro, e agli atti schiaveschi dei nove Ministri nostri tu pendi incerto se avrai a definire il Ministero o confusione divisa in nove capi, o trattato delle servitù in nove volumi.

      Economie non seppero, nè vollero fare: promisero prima, poi, secondo il solito, non attennero, e parvero, e furono modi di usuraio che abbindola lo scapestrato per cavargli di sotto il babbo morto. Alla prova ogni Ministro difese il suo bilancio con la ferocia di quei di Saragozza che contesero ai Francesi casa per casa, e stanza per istanza. Curioso poi è questo, che nonostante il crescere delle spese vantano economie, come se tu potessi consolarti di civanzo fatto, dove ti mostrino come invece di aggravarti del doppio ti hanno stremato solamente di un terzo. Per inquisire le ladronaie mancò il coraggio ai nostri uomini di stato ai quali sembra spediente imitare gli ordini religiosi, che negano sempre quando odono accusato reo di grave colpa un frate; con l’arco del dosso lo difendono, e poi di subito tramutatolo di Arno in Bacchiglione sopiscono o credono avere sopito lo sconcio fatto; Rimasta ferma la spesa possiamo senza tema di andare lontano dal vero, asserire che il disavanzo annuale batte in quattrocento milioni, o giù di lì. Alla fine del 1865 quando nel pozzo di San Patrizio avremo buttato la barca, e il palischermo salderemo con un debito nuovo di 766 milioni; questo affermano i moderati, figuratevi gl’intemperanti! Non mancarono persone amiche al Ministero per ammonirlo come essendosi riscontrato nel bilancio del Brasile un manco di quaranta milioni tra la spesa annuale e la entrata i rappresentanti della nazione ne menassero scalpore quasi fosse loro cascato addosso il finimondo, nè si tenessero quieti finchè non ebbero ottenuto il pareggio. La Francia dopo lo impero, che aveva a fondare la pace perpetua, s’indebita di trecentotrentasei milioni l’anno, e se non provvede corre a vele gonfie alla ruina; su di che tu giudica se le spese della Francia possano razionalmente confrontarsi con quelle d’Italia, e se fie dato alla Italia sostenere un carico al quale non regge la Francia. – Antico è il vizio, nè si vorrebbe senza ingiustizia apporre in tutto al presente Ministero; se non lo creava il Cavour, lo crebbe a dismisura, a mo’ del mercante sbilanciato negl’interessi che tira innanzi riavvallando le cambiali alla scadenza; certo se non fu egli che disse: «dopo me il diluvio» lo penso, e lo fece.

      Se a Ludovico Ariosto era commesso assettare le faccende dello erario io penso, che ci si sarebbe disposto con fantasie alquanto meno bizzarre di quelle del Minghetti, comecchè facilmente più leggiadre; le si conoscono dall’universale; esse consistono in quattro maniere di balzelli; tassa sopra le rendite mobili; dazi sopra la consumazione delle derrate cresciuti; nuovi dazi imposti: per ultimo il conguaglio sopra la tassa prediale: da quello che avrebbero gittato si augurava dentro quattro anni mettere in pari la uscita con la entrata ordinaria.

      Economie

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