Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

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Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi

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con la solenne sentenza: «Quello soltanto è verità, ed è cattolico che prima fu stabilito; eresia quanto si diparte da lui.»

      San Bernardo, domando io, nel concetto dei cattolici che roba egli è? Santo od eretico? Diavolo! Santo e dei buoni: or bene; egli rimbrottando il papa Eugenio III così gli favellava: «Quale Apostolo ha giudicato gli uomini, diviso i confini, distribuito terre....? Coteste fragili cose terrene hanno per giudici i principi della terra, ma voi perchè invadete i confini degli altri, e nella messe altrui ponete la falce?.... È vietato agli apostoli dominare. Ora va ed ardisci usurparti l›apostolato o la dominazione intitolandoti apostolico. O l’una cosa o l’altra ti è interdetta, e se ambedue presumerai tenere, entrambi perderai» Se però San Bernardo tu reputi santo, e tu seguilo; se eretico, e perchè non lo consegni al fuoco eterno?

      E quanto San Bernardo dichiara in prosa Dante confermava da parecchi secoli in rima:

      «Di oggimai, che la Chiesa di Roma,

      Per confondere in se due reggimenti,

      Cade nel fango e sè brutta e la soma

      Dunque Cristo di cui si vanta Vicario il Papa gli vieta espresso ogni potestà temporale nel mondo.

      Però quando leggi come nei primi tre secoli la Chiesa si mantenesse pura non la devi intendere così puntuale che mali esempi non fossero di già corsi in lei. Il desire ceco tira alla terra, e il corpo dà perpetua gravezza all’anima; fra i molti fatti comparisce notabile quello di Vittore I, il quale presumeva imporre ai Vescovi di Asia l’uso osservato a Roma di celebrare la Pasqua; i Vescovi asiatici non volendo obbedire egli trascorse al punto di bandirli separati dalla sua comunione; di che acerbamente lo rimproverava Santo Ireneo chiamandolo vuoto di carità, e pieno d’ignoranza. Stefano I in certa questione intorno al battesimo amministrato dagli eretici si chiarisce avverso alla dottrina di San Cipriano vescovo di Cartagine, il quale confutandolo lo taccia di leggerino, di gaglioffo, e di cocciuto presontuoso; e San Firmiliano vescovo di Cesarea ribadisce il chiodo scrivendo al medesimo Papa: «essere universalmente biasimate la stupidità, l’arroganza e in modo speciale il difetto di carità in lui, che sè estima erede di S. Pietro, mentre egli lo giudica il pericolosissimo fra gli eretici.» E’ pare che questo Papa non avesse troppo fortuna co’ santi.

      La parola clero viene dal greco, e significa sorte, che è quanto dire i sacerdoti sortiti al servizio dello altare tutti si consacrino a quello lasciando addietro ogni cura mondana; pari ai leviti d’Isdraele si contentino delle decime, e delle oblazioni. – La tonsura poi denota la renunzia ad ogni cosa temporale: tutto si poneva in comunella tra i cristiani, ed anco dopochè i sacerdoti per munificenza di Costantino imperatore possederono terre, e casamenti per lungo tempo ebbero le sostanze comuni: le divisero in seguito. I vescovi eleggeva il popolo; parecchi fra loro vissero del lavoro delle proprie mani, e fu cosa degna; oggi si aborrisce parendo, che Cristo si degradi ad essere trattato da mani che il lavoro santificò, come se egli stesso con l’opera sua non sovvenisse al padre fabbro: servi dei servi di Dio non si dicevano quei primi sacerdoti, ma erano: loro intento procurare il bene meno del singolo, e di una classe, quanto della intera comunità. – Veramente San Paolo insegna, che gli anziani, o vuoi preti (che appunto prete suona anziano) quando fanno bene, e faticano nella parola e nella dottrina devano reputarsi degni «di doppio onore»; ma avverte altresì: «quando abbiamo vitto, e vestito contentiamoci.» E queste, nota San Girolamo, erano appunto tutte le ricchezze dei Cristiani. – Insomma per istringere quanto ci rimane a dire in una sola sentenza rammenteremo le parole di San Giovanni Crisostomo: – nei primi secoli della Chiesa preti di oro celebravano in calici di legno, adesso sacerdoti di legno celebrano in calici d’oro; e di quale legno! Di quello del quale Gesù Cristo comanda che inetto a fruttificare, ovvero atto a frutti tristi vuolsi mettere sul fuoco.

      I lutti della Chiesa e la ruina d’Italia derivano pur troppo dalla origine a cui alluse l’Alighieri nostro:

      «Ahi! Costantin di quanto mal fu madre

      Non la tua conversion, ma quella dote,

      Che da te prese il primo ricco padre

      Però che se la donazione di Costantino sia ormai confessata una delle infinite fraudi per cui la curia di Roma avrebbe ad essere condannata a perpetuo ergastolo come falsaria, tuttavia si ha per certo, ch’ei si fosse largo a Salvestro vescovo di Roma di protezione, e di averi, per la quale cosa costui uscito dallo scuro subborgo fuori di porta Capena, dove viveva confuso agli Ebrei, si condusse ad abitare il palazzo Laterano proprietà una volta della imperatrice Fausta.

      La Chiesa, e i chiesastici un tempo fabbrica e fabbricanti di falsità, nè permesse solo o sofferte, bensì prescritte: così quando non si avevano gli atti di un qualche martire pel dì della sua festa s’immaginavano; e tanto più erano accetti quanto più strepitosi; di quì le leggende mostruose onta della ragione umana, le false Decretali, i libri sibillini, il Libro della Gerarchia, i Canoni, le Costituzioni apostoliche, e la Donazione di Costantino.

      La prima volta questa donazione occorre rammentata nella lettera di Adriano I a Carlomagno per destare in costui la gara della larghezza: ne affermano fattore quell’Isodoro il quale di peccatore, che si chiamava prima si trasformò in santo Isidoro e mercatore. Tra le altre cose si diceva in essa: «noi attribuiamo alla sede di Pietro tutta la gloria, e tutta la potenza imperiale. Noi diamo a Salvestro ed ai suoi successori il nostro palazzo di Laterano, la nostra corona, e tutte le nostre vesti imperiali, la città di Roma, e tutte le città occidentali della Italia, e delle altre contrade. Noi gli cediamo il luogo non essendo giusto che un imperatore terrestre conservi la minima possanza dove Iddio ha stabilito il capo della religione.»

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