Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

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Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi

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qui d’increduli un diluvio: prima assettate le faccende di famiglia poi attenderete a quelle di fuori: chi tralascia avvantaggiare i suoi per vestire gli stranieri corre rischio di farsi abbaiare dai cani. In qual conto terreste il colono, che lasciasse in Europa il suo podere in balia delle ortiche per girsene traverso l’oceano a dissodare le terre della repubblica dell’Equatore? Innanzi di medicare altrui fie savio guarire sè stesso. Non nella China, o nel Giappone si rammenda il manto sdrucito della Chiesa, ma qui in Europa e più che altrove in Italia. Dite, preti, qual’è più cosa Dio, o il sole? Certo Dio; ora questa provvidenza suprema, che ogni dì manda il sole a illuminare la schiatta umana, ond’essa si mantenga in vita, non avrebbe saputo nella profondità del suo consiglio suscitare intelletti capaci di bandire la sua fede in ogni plaga del mondo? E se lo avesse giudicato spediente non lo avrebbe fatto da un bel pezzo a questa parte? Imperciocchè oggi alla religione di Cristo consenta la decima parte appena del genere umano. Donde in voi la crudele jattanza di affermare perduti tutti coloro, che, comparso Cristo, nol conobbero, o quelli altresì che innanzi di comparire non l’arieno potuto nè manco conoscere? Come lo sapete? Chi ve lo ha detto? Si confida la Divinità con voi? O presumete voi imporle regole, comandamenti, e definizioni?

      Intanto questo è il primo predicato del Vangelo, che i sacerdoti di Cristo non solo devono procedere immuni da qualsivoglia dominio il quale ingerisca necessità di rompere guerre, e mettere mano nel sangue, ma ed anco da possedimento terreno.

      Il Papa per dare un po’ di sostegno alle strane pretese sè afferma successore di San Pietro ito a bella posta da Galilea a Roma per fondarvi il supremo sacerdozio di Cristo: ora mercè la storia critica si rese manifesto come San Pietro non si recasse mai a Roma: e valga il vero. Gli storici della Chiesa cattolica asseriscono come San Pietro venisse nella metropoli del mondo nell’anno 42 dell’era cristiana e quinci scrivesse le due lettere, che rimangono di lui; tu prima nota: in quelle non rammentarsi mai Roma; solo nella prima si legge: «vi saluta la Chiesa ch’è in «Babilonia con voi eletta, e Marco mio figlio.» L’Arcivescovo Martini chiosando dichiara tutta l’antichità per Babilonia avere inteso Roma, e non è vero che se a taluno sembrerà temerario opporre una mentita ad un’Arcivescovo, e per di più morto, mi scusi presso costui lo sbugiardare ch’io faccio l’Arcivescovo Martini l’autorità dell’Arcivescovo Martini, il quale commentando il capitolo 16 dell’Apocalisse tira fuori tre ragioni per confutare gli antichi interpetri i quali insegnarono per Babilonia nell’Apocalisse aversi ad intendere Roma; ed è singolare quest’altro, che ad escludere il concetto, che Babilonia sia Roma, allega S. Agostino nella Enarrat, secunda in psal. XXVI, mentre quel medesimo benedetto Santo nella Città di Dio l. 48. c. 2. scrive: Roma essere quasi una seconda Babilonia. Però non voglio tacere, che ai giorni nostri Vincenzo Padula di Acri con begli e dotti ragionamenti dimostra come la Babilonia dell’Apocalisse non può essere altro che Roma, e chi ne ha voglia li vada a leggere, che io per me li lessi una volta e n’ebbi d’avanzo. Più sicuro è questo altro che seguita, Babilonia avere i nostri poeti chiamata più tardi la corte pontificia sia che ad Avignone stanziasse ovvero a Roma:

      «L’avara Babilonia ha colmo il sacco

      «D’ira di Dio, e di peccati empi e rei.

      cantava il canonico Petrarca che ci stava di casa.

      E qui pure, o lettore, pon mente, come per colorire sue novelle il prete non aborrisca prendere per prova ciò che una volta fu titolo per significare la infinita infamia di lui. – Pudore di prete, e sfrontatezza di meretrice gli è quasi come dir marito e moglie. E mira, se ti quadra, che San Pietro rammentando la Chiesa di Roma non lo avrebbe fatto sostituendo al vero un nome di vergogna. – Arrogi, che San Paolo descrivendo minutamente il suo viaggio, e la sua dimora in Roma nè anco per cenno rammenta la presenza di San Pietro costà. Contegno siffatto arieggia gli amori pieni zeppi di astio, che ricambiansi gli amici politici dei giorni nostri, ma che decisamente avrebbero fatto scorgere due santi, massime apostoli e di quelli che vanno per la maggiore. E vi ha di peggio; San Paolo oltre a non ricordare San Pietro inviando saluti ai Cristiani di Roma in nome suo, e dei compagni suoi non dimentica alcuno; fa i suoi rispetti così agli uomini come alle donne, e si dimostra sommo maestro in divinità del pari che fiore di gentiluomo; ma di San Pietro nulla. Gli scrittori papisti soliti a non isgomentarsi per poco obiettano: – allora San Pietro era in giro. – O dove? – Dove s’ignora, ma che fosse in giro egli è sicuro. – Bene sta. Ma dalla medesima lettera di San Paolo ecco uscire la testimonianza, che Pietro non fu mai a Roma; Paolo dichiara: «io poi non ho predicato lo evangelo dove è conosciuto Cristo, affinchè non edificassi sopra il fondamento altrui.» Ora parmi chiaro, che se San Pietro avesse fatto conoscere Cristo a Roma queste parole Paolo non aria potuto dire.

      Rincalza l’argomento quello, che seguita; Paolo afferma i Romani convertiti giusta il suo evangelo: «a lui solo onore, il quale può confermarvi secondo il mio vangelo.» E questo da lui sarebbe stato anco meno veramente asserito se i Romani fossero stati redenti alla fede mercè il vangelo di San Pietro il quale usava quello di San Marco, mentre Paolo preferiva quello di San Luca. Paolo dunque non Pietro fu a Roma mandando innanzi alcuni suoi discepoli, e parenti perchè ammannissero il terreno alla sementa di Cristo.

      Tuttavolta o andasse, come pretendono gli scrittori papisti, San Pietro in Roma, o non vi andasse come pensiamo noi certa cosa ella è che nè manco costoro, ora, che sono alla porta co’ sassi, perfidiano San Pietro immaginasse, e molto meno istituisse il primato della Chiesa Romana: solo sostengono che stava dentro il concetto di lui come pulcino nell’uovo, ed oggi predicano così il Dottore Newmann, e il Cardinale Wisemann, e il Moelher, ed altri cotali che la sanno lunga e la sanno contare. E’ sono arzigogoli pretti, però che la Chiesa cattolica non crebbe la dottrina di Cristo esplicandola bensì la schiantò di pianta sostituendone un’altra contraria, si capisce ottimamente come il pargolo crescendo diventerà uomo, non si capirebbe se diventasse un bufalo: e si comprende altresì che da non possedere altro che un paio di scarpe i sacerdoti tirando innanzi nei tempi dovessero essere forniti da comparire onorevoli secondo la dignità del sacerdozio; ma da non avere nulla a pretendere tutto ci corre: s›intende acqua ma non tempesta!… E badate che come concederei io per menare il buono per la pace non l›ammolla San Paolo, il quale fa una lavata di capo ai Galati con queste parole: «ci sono alcuni, che vi sconturbano e vogliono capivoltare il Vangelo di Cristo: ma quando anco noi od un›angiolo del cielo evangelizzi a voi oltre a quello, che abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema.

      I dottori papisti abbaiando parlano di tre unità, di cui una si è votata mano a mano dentro l’altra, prima del vescovo, poi del metropolitano, all’ultimo del papa. – Dunque sul principio, cristianesimo non fu cattolicismo, e questa ultima forma, che sostenete perfettissima, non cadde nè anco in mente al suo fondatore: ciò parmi grave, e come grave contrario alla natura delle cose; perchè gl’instituti umani nei primordi procedono dirittamente, ma coll’andare del tempo venendosi a corrompere, egli è mestieri riportarli via via ai loro principii per mantenerli, la quale considerazione se ha luogo negl’instituti fondati dall’uomo, quanto non deve apparire maggiore negli altri che emanano da mente divina? – Il prete pertanto presume saperne più di Cristo, e mentre da per tutto il tempo logora o corrompe, a Roma poi conserva anzi migliora. Ancora, vuolsi domandare, perchè accaddero le modificazioni di cui favellate? Perchè, dice il Papista, secondo il costume degli uomini, e le qualità dei tempi egli è mestieri mutare. – Tu parli di oro; ma se questa tua gerarchia si governa co’ tempi, il tempo muta e non si ferma mai, onde nel modo che necessità ti strinse un giorno a cambiare potrebbe coartarti la quarta volta e la quinta; che se presumi sostenere come ormai lo edifizio essendo compito veruno abbia da toccarlo più, io ti avverto che le tue parole ti condannano, imperciocchè questa presente unità cattolica tu non l’affermi ordinata da Cristo, nè ottima in sè, sibbene partorita dalla necessità, e dal degenerare che fecero i cristiani dalla eccellenza antica; insomma buona come rimedio tenuto caro finchè il morbo dura: certamente quando giaci infermo tu bevi olio di ricini, ma ricuperato che abbi la salute già non credo che a mensa tu ti mesca olio di ricini, anzichè vino, e quello a questo tu preferisca. Peggio se il Papista pretendesse la ultima unità opera di Dio, le precedenti

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