Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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Tale avvisando, so come altri, nella sfacciata petulanza che oggi tiene il campo, non mancherà riprendermi come o perniciosamente sconsigliato, o mosso da smania di screditare il governo, o di parzialità per la Inghilterra: risponderemo ora all’ultima rampogna, le altre confutammo in prevenzione, o ribatteremo a suo tempo dopo: la Patria vuolsi amare, gli stranieri se in casa di riffa odiare con le viscere dell’anima, e qualunque essi sieno, a casa loro rispettare, e proseguire con ogni maniera di buoni uffici, come uomini fratelli, che procedano di conserva al miglioramento scambievole. Gl’inglesi certo si mescolano nelle nostre faccende, però nella guisa, che non si può loro impedire, e potendo non si dovrebbe; le arti adoperate da loro, il consiglio, le insinuazioni, e dove occorra anco un po’ di moneta: della natura del trapano essi ritengono molto, e le loro dita penetrano nella carne dei popoli più che non facciano le grappe di bronzo dentro la pietra. Quando venne Riccardo Cobden a predicarci il libero commercio, onde avere facilità anco maggiore di levarci di sotto le materie gregge per rimandarcele lavorate, io molto tenendo in pregio l’uomo mi astenni da fare di berretta alla sua predica e ne esposi con breve scrittura le ragioni, tra le quali, manifestando il concetto a quel modo che la mia natura m’ispira, dissi che quante volte mi occorre un’Inglese con gli occhi fitti nel nostro sole ho paura che egli almanacchi se ci sia verso di portarselo a Londra per rimandarlo a venderlo in Italia ridotto in candele sopraffini. Questo ed altro può dirsi dell’uomo inglese intento al proprio interesse; forse lo trascurarono gli altri? – Non ci è che i Francesi i quali si spencolino fuori della finestra per una idea! Gl’Inglesi hanno senno pratico, e stima dell’uomo: ordinariamente conoscono dove devono andare, come i Francesi ordinariamente non lo sanno, comecchè fine di entrambi sia l’interesse. Lo Inglese negoziando teco, fa il tuo conto, che del guadagno ne vuole a mano salva tre quarti, ma una volta rimasti d’accordo va franco, ch’egli curerà l’interesse tuo al pari del proprio; perchè non intende usare teco come i contadini a lascia podere, e confida cavarti di sotto qualche altro vantaggio: il Francese vuole tutto per sè, ti agguanta quanto può; se qualche cosa ti lascia e’ sono gli occhi per piangere, ma poi il rubato volentieri sprofonda teco per farti ridere; lo Inglese quando ti spoglia non confessa ai quattro venti che ti ha spogliato, ma nè manco si vanta averti vestito; mentre se dai retta al Francese sai tu chi è il ladro? Quegli che si è lasciato rubare; così vero questo, che uno dei loro filosofonisti ha spiattellato chiaro, che la proprietà è un furto; epperò i ladri devono venerarsi sopra gli altari come operai; a fare rivivere la pristina comunione delle cose; l’Inglese non pone nel traffico tenerezza in nulla eccettochè sul netto ricavato; salda affare per affare; la gratitudine che cerca sta nel profitto, ed altra non ne cura: al Francese non basta, esige la lode, desidera tu lo saluti generoso e magnanimo se portandoti via un quadro di Raffaello te ne lascia una copia fatta di sua mano; quasi quasi pretende una statua se dopo averti mangiato le ostriche te ne depone in mano con religiosa gravità i gusci vuoti!
Ha scritto Martino Lutero in qualche parte come considerando la ragione umana gli facesse lo effetto di un’uomo briaco a cavallo; non so in qual maniera ci possa incastrare, ma quante volte penso alla pretensione della Francia; di essere salutata cervello del mondo cotesto ricordo mi ronza per la mente zufolando a mo’ della zanzara. Dello interesse i Francesi hanno lo istinto, non il discorso, non per virtù di concetto bensì di nervi spiegano e ritirano gli ugnoli: per l’interesse ustolano, ma quale veramente sia, la vera strada di conseguirlo non sanno, e ciò perchè un pensiero torna loro molesto quanto una mosca sul naso; pensa se due! Piuttosto poi di tenere tre pensieri fitti nel capo li baratterebbero con la corona di spine di Gesù. Chiunque in mezzo a loro si ricorderà, che il quattro viene dopo il tre, e dopo il quattro il cinque, e chiunque non rifinirà gridare a squarciagola strozzandoli, come il carnefice del principe Carlo figliuolo di Filippo: «la stia zitto, signore, che quello che io fo, lo fo proprio per suo bene» arriverà a dominarli sempre, Infatti dopo che lo imperatore Napoleone pubblicò urbi et orbi, che impero significava pace, la Francia non sostenne mai guerre sì varie, nè più difficili a vincersi, nè meno facili a prevedersene la fine. A Caterina dei Medici, al cardinale Mazzarino, e a Napoleone Bonaparte, che mai possono opporre i Francesi? Il solo Richelieu, e questo perchè egli e gli altri ponevano il proprio concetto sul capezzale la sera quando si addormentavano per ripigliarlo appena desti la mattina. Per gli uomini francesi torna mostruoso tenere un pensiero in testa più di un›ora quanto alla femmina francese condursi due volte al festino col medesimo abbigliamento; che se contrastando tu osservi da Caterina, dal Mazzarino, e da Napoleone creature per eccellenza uniche non può cavarsene regola generale io ti allegherò la turba dei còrsi Saliceti, Pozzo di Borgo, Sebastiani, Abbatucci, ed altri moltissimi per ingegno certo non superiori ai Francesi, ma che pure costanti nei propositi, e fermi nei concetti arrivarono a dominarli, e li dominano.
Se la fortuna maligna ci fece il cervello senza gambe, o perchè non ci approfittiamo del giudizio dei nostri vecchi? Ora senza tante storie tenetevi come un breviario nelle mani da recitare quattro volte il giorno quanto lasciò scritto di loro Niccolo Macchiavello, o piuttosto imparatelo a mente, che la è cosa corta, ed insegnatelo invece della Santa Croce ai vostri figliuoli:
«Stimano tanto l›utile e il danno presente che poco rammentano le ingiurie e i benefizi passati, e poco cura si pigliano del bene, e del male futuri.»
«Taccagni piuttostochè prudenti; poco loro cale di quanto su loro si parli o scriva: cupidi più del danaro, che del sangue; generosi solo nelle udienze.»
«Chi vuole condurre a bene una cosa nella Corte di Francia gli bisognano danari assai, diligenza grande, e buona fortuna.»
«Richiesti di un benefizio pensano prima che utile ne possono cavare per loro, che se devano servirti.»
«Quando non ti possano far bene te lo promettono; quando te ne possano fare, lo fanno con difficoltà o non mai.»
«Umilissimi nella cattiva fortuna, nella buona insolenti.»
«Ordiscono male col senno, ma tessono bene con la forza.»
«Chi vince accorda sempre con loro, chi perde mai, epperò prima di cominciare una impresa bada se ti possa riuscire, e se la ti può riuscire non ti trattenga il pensiero d›impermalirli. Con