Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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Della cattolica chiesa Carlo Alberto zelatore quanto mio padre; e più, però che egli sendo dotto in lettere la difendesse con la penna mentre a Ferdinando, buon’anima, mancò la possa non la voglia; e di ciò fa fede quel perfetto gentiluomo del conte Clemente Solaro della Margarita di cui il Memorandum in mezzo al diluvio dei libri satanici galleggerà, pari all’arca santa, fino alla consumazione dei secoli; di vero si ricava da lui, che Carlo Alberto dopo avere dettato un libro di riflessioni storiche, lo facesse stampare; non so poi per quale cagione ne ritirasse le copie, eccetto una sola, che mandò in dono al cardinale Lambruschini, il quale esaminatala a dovere, trovatala conforme al suo cuore, assai la commendò; Gregorio XVI a cui ne fu data parte ne faceva le stimate; e stette a un pelo di segnarlo sopra l’albo dei santi… ma poi se ne trattenne.
Dal tratto che corre fra il 1821 e il 1847 io non rimoverò la tenda, che lo cuopre: la è pesa di sangue grommato, nè vo’ bruttarmene le mani, almanco senza profitto; e poi la reverenza regia mi preme come avrebbe importare altrui; non siamo tutti re? D’altronde ne vanno piene le storie dei tempi. Parliamo del 1847, che lo colse mentre, con altri nati in Arcadia si godeva ministro il buon Solaro; ora questi nel suo celebre Memorandum stampato proprio a Torino nel 1851 ci afferma essere stato il suo adorabile padrone tenace profondamente della regia potestà, ossequentissimo alla santa madre, la Chiesa cattolica, appassionato della indipendenza italiana, la quale (intendiamoci bene) a dire del conte ministro, dal suo adorato Signore ponevasi nello estendere quanto meglio per lui si potessero i proprii dominii: in omaggio al diritto divino, ed alla esaltazione della Chiesa protesse Don Carlos nella Spagna, la Duchessa di Berry in Francia, i Gesuiti da per tutto spendendoci attorno fiore di moneta, anzi per fine tanto lodevole s’indebitò. – Quando temè essere aggavignato dalla necessità, e non lo era, prese a tartassare, Dio lo perdoni, il beato Padre, ma ei lo fece per non perde; credito presso i liberali, e potersi avvantaggiare di loro nella prossima guerra, vinta la quale, e messo al largo proponeva convertirli tutti non senza speranza di riuscita, quando poi gli fossero tornati corti i presagi gli avrebbe spenti in pena della ostinazione loro. Di qui tu hai la chiave per capire la causa, onde gli aiuti francesi furono ricusati, le dimore in Lombardia, la repugnanza dalla Venezia; quindi l’astutezza non mai commendata abbastanza di mutare regia la guerra nazionale, e la giusta paura gliene scappasse dalle mani il governo, paura, che anco il mio augusto genitore partecipò col miscuglio di una seconda paura. e fu questa: che dei tre esiti della guerra tutti e tre gli approdassero a rovinargli un picchio tra capo e collo; imperciocchè, il mio augusto genitore, dando le spese al suo Cervello, faceva il conto così: se gli Austriaci ci zombano perdiamo egli ed io; così, del pari se la rivoluzione ruba la mano a lui, dove sbatacchierà me, non lo so nè manco io; ecci il terzo caso, che ei vinca, e allora ei vincerà per se non per me, e potrebbe anco darsi contro me; per le quali ragioni e cagioni se il padre mio richiamò di un tratto la sua gente, non sembra che deva poi scomunicarsi in cera gialla.
Di qui la chiave della Venezia derelitta, dei passi delle Alpi lasciati aperti, e i Romani, e i Toscani non soccorsi, quelli nel veneto, e questi nel mantovano, e le pratiche avvenute con l’Austria per la cessione della Lombardia. Nella medesima maniera si giustificano le diffidenze non mai troppe, e i timori plausibili contro la parte repubblicana; si spiegano le mirabili fortune della impresa, che dicono perduta per colpa, e arebbono a dire, per senno del Re, il quale aombrava meritamente della repubblica troppo più che dell’Austria, perchè con questa poteva guadagnare terra, alla più trista non perderla, con quella perdeva tutto di certo.
Rimarrebbe l’abate Gioberti, che stette ministro presso al trono di Carlo Alberto fino alla vigilia della battaglia di Novara, ed un tempo gli procedè piuttosto sviscerato che amico; ma ciò che lasciò ire cotesto benedetto abate nel suo Rinnovamento a bocca di barile contro Carlo Alberto, senza ritegno, nè pietà della tomba appena chiusa sopra la salma del misero Re, io non ricorderò: molte pagine, adopera contro la sua fama, nè già credo io; maggior virtù avrebbono esercitato due moggia di calce viva contro le ossa di lui. – Lasciamo i morti in pace; certo, chi soffiasse dentro le ceneri del mio genitore, correrebbe risico di accecare senza cavarne una favilla di virtù; ma domandate alla morte, che le pesa tutte nella sua mano, qual divario corra tra la cenere di un re e quella di un’altro. – Contro tutto questo, che vorrete opporre? Abbiamo creato un popolo! Per noi tornò la Italia se non donna di provincie, di sè signora; e rotte le catene antiche oggi siede venerata e temuta nei concilii dei Re!.... Se questo avete fatto, chino il capo e venero il decreto, che nella onnipotenza loro bandirono i popoli e Dio....
Queste ed altre cose, che vanno diffondendo nel popolo della Italia meridionale il Re di Napoli e i fazionarii suoi, non vere tutte, nè le vere a quel modo, e nondimanco poniamo le fossero vangelo tutte, a che montano? Anco a lui risponderemo in tempo debito, pure per impedire, che lo indugio pigli vizio, con parlare succinto consideriamo, elle di questo il popolo sa niente, ed è con lui, che bisogna fare i conti, o co’ delegati suoi. Delle colpe delle quali o per forza, o per fraudo, o per arte, o insomma, per volontà non sua egli porta il peso, male si domanda ragione al popolo, anzi ne cava argomento ad esercitare, liberissimo le sue facoltà. Chi dei due fu prima, re, o popolo? Certo il popolo. Veruno finquì ci mostrò lo instrumento in virtù del quale un popolo consenti a diventare gregge perpetuo di un membro, ne sempre il meglio, di sè; dove anco ce lo mostrassero, come l’uomo potrebbe alienare la libertà sua, datagli da Dio in presto, affinchè gliela renda insieme con l’anima? Donde cava l’uomo facoltà o diritto di obbligare le generazioni che gli succederanno in perpetuo? Egli, di cui la vita dura quanto un battere di palpebra, l’uomo, pugno di terra che si anima quando la Provvidenza lo piglia per buttarlo più in là sopra la terra, e muore mentre ch’ei passa da un punto all’altro; la vita dell’uomo che è mai se non una corsa verso la morte? Dicono, non so se vero, che la lingua ebraica non conosca presente, bensì verbi passati, o futuri, dacchè la parola, volata appena non ti appartenga e il battito del polso non anco compito è fuori di te. Le eredità gravose o ripudiansi, o accettansi sotto benefizio d’inventario… e questa tra tutte miserabile, come quella che mi lega la servitù devo accettare per forza? Finchè le colpe del popolo porgono alimento alla dominazione, durano la signoria e il servaggio, stato non solo fuori, ma sì contro natura; espiate le colpe il popolo riassume la libertà come, secondo la nostra fede il peccatore dopo il sacramento della penitenza torna in grazia di Dio. Qui dentro sta il diritto, e fra tutti sacrosanto, del popolo ad ordinarsi, potendo, come meglio gli torna, e a preporsi chi gli talenti. Separate il nostro Eletto da qualsivoglia origine, dove non teniate ben ferma questa, suo padre fu il suffragio universale, sua madre la volontà popolare: Re per la grazia di Dio, e secondo della Sardegna altri lo salutò; per libera elezione di quanti fummo Italiani a votare, Re d’Italia, e primo lo salutiamo noi.
Necessità ultima di avere Roma, lo Imperatore dei Francesi: di lui parlammo, e di lui parleremo, finchè chiarite prova le parole inani, sorga chi chiami la Italia a generose risoluzioni, e degne in tutto di popolo grande. Quanto a me giudico, che l›argomento onde possa non solo ma debba spiegarsi meno cotesto uomo sieno le sue parole: e› ci ha chi afferma veruno in Francia procederci più amico di lui; e ciò muove da levità, o da ciurmeria, imperciocchè se costui accenna ai singoli Francesi risolutamente lo sostengo falso, e se piuttosto alla nazione intera, tu considera come un›uomo straniero, che trapassa su la Francia come la rondine cacciata dalla stagione iniqua, sia da tanto da conoscere la Francia; la rondine, che passa acchiappa insetti, non già il senso dell›anima di Francia: che se per Francia s›intendono gli attrezzi i quali stanno dintorno a qualunque trono, e vestiti di panno paiono persone non si nega; ma si mette in sodo, che soprastare a loro piccolo guadagno ne caviamo noi. Quando i potentati di Europa rovesciaronsi contro il primo Napoleone, quasi fiume ingrossato da molti torrenti, l›Austria parve avversario più mite degli altri, ma ciò non la impedì di spogliarlo più e meglio degli altri, nè insieme con gli altri conficcarlo sopra la rupe di Santa Elena.
Con Napoleone