Il diavolo nell'ampolla. Albertazzi Adolfo
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LE FIGURINE
– Mulattiere!
Al vicino, che gli chiedeva del suo servizio, rispose con l'impeto d'una coscienza aperta a tutti i doveri e a tutti i pericoli della carica. E per dimostrarne meglio la gravità, aggiunse:
– Addetto al vettovagliamento!
Anche la voce, forte, sonora, era espressione di vigoria.
– Di dove venite?
– Dal Trentino.
– E siete in licenza?
– Sì. Otto giorni di licenza straordinaria. Vado a casa a divertirmi.
Ora sorrise; ma l'ironia si adattava così male a quella sua faccia di uomo sano e florido e a quei suoi occhi chiariti dall'anima schietta e semplice, che gli ascoltatori rimasero incerti.
– Mi è morta la moglie quasi all'improvviso. – Dimenando la testa significava: – Questa doveva capitar proprio a me!
Quando la porticella fu riaperta, che già il treno era in moto.
– Oh! Carlino!
– Oh! Saverio! Sei qui?
Il sopravvenuto atteggiava il volto a mestizia; nell'altro il piacere dell'incontro pareva superar la tristezza dell'occasione.
– Ho viaggiato tutta notte. Sono arrivato, da Verona, a mezzodì, e ho fatto appena in tempo a correre da mio cognato, all'arsenale.
– Rubata! – esclamò l'amico. – Ti è stata rubata, Saverio! Nemmeno il dottore sa capire il come e il perchè della disgrazia, così, d'un tratto.
– Cosa importa saper il come e il perchè? – il soldato disse a voce anche più alta. – È morta, ecco!
– Hai ragione.
Inutile indagare; argomento concluso. Potevan passare ad altro.
– Ditemi, Carlino. Vostro nipote?
– Ferito a una gamba; ne avrà per qualche settimana.
– Me ne rallegro, che si tratti di poco. E gli amici? Otto mesi che non ne ho nuova! Michele Costa?
– È prigioniero.
– Prigioniero! Michele? – La notizia conteneva per lui tale contrasto fra l'idea di prigionia e l'immagine dell'amico spaccone o gaudente, che il soldato scoppiò a ridere. E udendolo e vedendolo ridere, più d'uno, ai prossimi posti, pensò: – Bel dolore ha costui d'esser rimasto vedovo!
Ma il dialogo seguitava.
– E Luigi dell'Osteria Grande?
– Imboscato.
– Figlio d'un cane! E Isidoro?
– È morto; a Bainsizza. Anche Giovanni del Poggio: ha lasciata la pelle in Albania.
Il mulattiere stette un po' a bocca aperta; e soggiunse:
– Io non trovo che morir qui o morir là sia lo stesso. Io preferirei la fine d'Isidoro.
Non tutti eran del suo parere, e sorse una discussione; della quale approfittò l'amico, che stava in piedi, per andar a un posto, in fondo alla carrozza.
– Ehi, Carlino! – Saverio gli urlò dietro. – Vi ringrazio di quel che avrete fatto per la mia vecchia.
E poi volgendosi alla donna dirimpetto a lui:
– Se tutti fossero galantuomini come Carlino, la guerra non ci sarebbe.
– Non ci sarebbero tante famiglie addolorate – sospirò la donna.
Riprese il mulattiere:
– La guerra non si può fare senza ammazzar il prossimo, e non c'è da meravigliarsi che molti abbiano da patire. Non c'è da meravigliarsi che uno si salvi e uno ci resti. Secondo il destino! Un giorno io conducevo la mula su per un monte battuto dalla mitraglia. Tenevo la briglia a man mancina, dalla parte bassa del sentiero. Un colpo, e la mula stramazzò con la testa fracassata. Se ero a mano diritta, il colpo toccava a me. Bene; chi mi avesse detto quel giorno: – Tu l'hai scampata; tua moglie non la scamperà – , gli avrei dato del matto.
Sempre col tono d'uno che narra una storia non sua, il soldato continuò:
– Matto invece sono stato io, dall'altra sera fino a oggi, fino all'ora che ho discorso con mio cognato. L'altra sera io e il mio compagno, Biagini, un toscano, avevamo già caricate le bestie (si andava al reparto, al lume di luna), quando mi consegnarono una lettera. Accendo un zolfanello. Vedo che non è la scrittura di mia moglie; è della mamma. – Uhm! – dico. – Scrivermi la mamma?: m'insospettisce. – Non ci pensare – fa Biagini. – Siamo al Natale e tutte le mamme scrivono ai su' figliuoli. – E non ci pensai più. Tornati, nella baracca ci avevo un pezzo di candela. Lessi. È persuasa? Mi misi in mente che fosse un raggiro di mia madre con qualcuno del Comune per ottenermi la licenza. Anche il certificato di morte mi pareva una fola! Ma oggi ho dovuto credere. Mia moglie il sabato avanti le Feste venne a Bologna a trovar la sorella; stava bene; allegra; il ritratto della salute. Arrivò a casa, e andò a letto, che non era più lei. Mio fratello corse dal dottore, e lei in quel mentre spirava.
Una breve pausa; e dopo:
– Cosa importa saper il come e il perchè? È morta: ecco!
La donna chiese:
– Avete figli?
– Uno; di sei anni. Il giorno che partii, volli mangiare, prima d'avviarmi. Mia moglie – piangeva – cominciò a tagliar del prosciutto. – Basta! – diss'io. E il bambino: – No, mamma; tagliane pur molto, del prosciutto, al babbo, che non ne mangerà più. – Fra poco il bambino mi verrà incontro e mi dirà: – La mamma è morta.
Il vicino di posto guardò il mulattiere: immutato nel viso come nella voce. Solo gli vide una lagrima, ferma, tra ciglio e ciglio, in coda all'occhio.
Allora parlò colui:
– Sapete perchè l'avete perduta, la vostra donna? Perchè era onesta. Le altre, che non si accorano d'aver il marito lontano, quelle, state pur sicuro, non muoiono!
Gli ascoltatori approvarono, e la conversazione prese un andamento piacevole. Saverio rideva non meno degli altri, e più forte.
Nessuno avvertiva in lui un'eccitazione strana: per l'insonnia – tre notti che non dormiva – ; per la fame – dalla sera innanzi non aveva mangiato che una mezza pagnotta – ; per il piacere stesso che, in contrasto con la sua sventura, provava a riudire il suo dialetto, a trovarsi fra gente delle sue parti, in vista ai noti luoghi, lontano dalla vita di guerra. Nessuno, neppure il vicino, dubitava ch'egli non fosse una clamorosa testimonianza del motto: «Chi è morto, giace; e chi è vivo, si dà pace».
Carlino e Saverio discesero alla stazione di San Niccolò. Una stretta di mano; buona sera!, e si separarono.
Il soldato s'incamminò a passo di marcia per la viottola solitaria.
Cadeva rapido il crepuscolo; la luce sfuggiva dalla tetraggine dei campi arati, umidi e neri; dei filari degli olmi scheletriti; della nebbia