Il diavolo nell'ampolla. Albertazzi Adolfo

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Il diavolo nell'ampolla - Albertazzi Adolfo

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allora, calde calde. Mille e settecentocinquanta! Che somma! Che cordiale! Ah!, i quattrini, hanno proprio il vigore, l'ardore d'un cordiale che risuscita! – E questa volta rise di gusto, e si diede a pensare rinvigorito, infervorato, franco. Ne aveva abbastanza; finalmente non avrebbe più un centesimo di debito, con nessuno al mondo! Finalmente potrebbe spendere senza angustia per una veste (e si guardò la veste rossigna e tignosa), per un paio di scarpe (e si guardò a quelle scarpe). Finalmente potrebbe cavarsi qualche onesta voglia senza paura! No? Gli arriverebbe addosso l'Americano, suo fratello, con la solita burbanza, con la solita prepotenza, con i soliti assalti? – Che prete sei? Dove hai nascosti i quattrini che hai riscossi da Bisaccia? Dammeli! Ne ho bisogno! Li voglio! Bada!..

      – No! non te li dò! Trovali!; e se li trovi, prendili! Cadrai fulminato!

      Una pausa. Quindi don Fiorenzo rispose forte a suo fratello come l'avesse davvero lì davanti, trattenuto dalla tremenda minaccia; e si sfogò, finalmente.

      – Che prete sono? Un prete che ha sempre fatto il suo dovere; un galantuomo, sono, io, che ha sempre sofferto in lite con la miseria!

      Sempre! E adesso che ho quel che ho, un capitale mio, tutto mio (un biglietto da mille, stupendo; uno da cinquecento, sudicio, ma stupendo anche lui; due da cento, del Banco di Napoli, belli e buoni; due marenghi d'oro lucidi e sonanti che consolano a toccarli, e una carta da dieci per giunta), adesso che posso rifiatare, io, fratello, non ti scongiuro più a mani in croce di non rovinarmi, di non sacrificarmi, di non rubarmi, e ti domando, io, a te: – Che fratello sei? che cristiano sei? che uomo sei? E ti dico:

      Quando io digiunavo per tirar innanzi gli studi e arrivare a dir messa; quando nostra madre rompeva il digiuno a fette di polenta, tu eri già in America a far fortuna, e non mandavi un soldo, che è un soldo, a casa, mai; e affrettavi con la tua condotta, col tuo silenzio, coi tuoi misteri, la morte di quella santa! Che Dio ti perdoni! E quando sei tornato e mi hai veduto qui, nella parrocchia più misera, più trista della diocesi, e mi hai veduto nelle spese e nei debiti – la cascina, bruciata, da rifare; il fondo da bonificare; la vigna da ripiantare, da scassare, da curare – , sei venuto forse ad aiutarmi? Ti sei dato, invece, alle gozzoviglie in paese, laggiù, perchè ti credessero un gran signore e ti dicessero l'Americano; ti sei mangiato, bevuto, giocato tutto. Spassi e bagordi! Donnacce! Faraone e goffetto! E io non conosco nemmeno le carte! Poi, dopo: – Fiorenzo, prestami cinquanta lire, cento lire! – Non le avevo: il capomastro da pagare; il solfato da pagare; la banca da pagare. Povero me! E tu a rimproverarmi: – Che prete sei? – A minacciarmi: – Bada che sono stato in America! – Come per spiattellarmi che in America ne hai fatte di peggio. Dio ti perdoni! E appena in paese ti informavano che avevo venduto qualche cosa, súbito mi correvi addosso, a martirizzarmi. – Dammi i denari!

      Io: – No! – E me li hai portati via: più di una volta; dal canterano, di dentro il pagliericcio, di sotto i mattoni. Ladro! che Dio ti perdoni.

      A tal punto la fosca immagine fraterna sembrava cedere, sopraffatta. Ma risollevava il capo. Domandava: – Mille e settecentocinquanta franchi?

      – Sì! E questi non me li becchi! Questi sono in una cassaforte, mio caro, che non si tocca senza tremare. Questi li ha in custodia un carabiniere che ferma le mani e le gambe anche di chi è stato in America! Próvati; cadrai fulminato! —

      Non c'era da ribattere. L'Americano sembrava allontanarsi intimidito da un sacro spavento. E dileguava.

      Don Fiorenzo oramai si sentiva libero e tranquillo; guardò nella realtà.

      Gli olmi terrei e squallidi sfilavano con le vecchie braccia aperte, quasi a reggere un peso grande, e reggevano due o tre esili rami. Tra gli alberi, in un punto, l'acqua del rio specchiava, dentro una luce opaca, la sponda di contro: scolorita; brulla. Ma sollevandosi e ondeggiando, la nebbia scopriva a poco a poco tutta la costa e svelava il verde vivo del grano. E anche l'aria si mosse. Lì dinanzi le foglioline dell'erba tremarono, piegarono, brillarono inargentate nel riflettere il sole che or sì or no le colpivano a pieno. Le galline beccavano nel fosso, tra le foglie morte, e di tanto in tanto, mentre si parlavano a grassa voce, ergevano il collo e la testa, per ascoltare e occhieggiare. Una balzò fuori. Bene incappottata di piume, cercò luogo da far covino al sole, e, sbattute le ali, si beò della polvere che le fumava dintorno. Garrivano i passeri; si chiamavano i ragazzi lontano. E una figura di donna sorse improvvisa alla riva, nera e lieve quale un'ombra; si colorì nella gonna, nel fazzoletto che le copriva quasi tutto il volto; e súbito disparve, per ricomparire e disparir poco dopo.

      – L'Assunta che raccoglie la mia e la sua cena – pensò don Fiorenzo. Povera vecchia! Quanto le doveva! Da anni lei e il figlio Andrea condividevano la sua povertà; nè essa si lamentava: si lamentava Andrea, mal rimunerato del triplice ufficio di campanaro, becchino e vignaiuolo, ma essa lo quetava dicendogli: – Quando il curato ne avrà, ce ne darà, anche a noi. È un santo.

      Ora il curato ne aveva… Dargliene?

      – Faremo un buon desinaretto il primo dell'anno – pensò don Fiorenzo con agevole trapasso. – Una bella mangiatina, fra tre giorni.

      E sorrise, indulgente a sè stesso, alla sua debolezza. In verità, per resistere alla gola aveva patito più che per ogni altra tentazione e contrizione; forse perchè aveva patito tanto da ragazzo! E riebbe il senso doloroso e strano d'allorchè, coi libri sotto il braccio e le mani nelle tasche vuote, si fermava in città, davanti alle vetrine dei pasticcieri e alle botteghe dei fruttaioli. In uno stupore avido assaporava con gli occhi, con l'anima le ignote dolcezze; e quelle delizie inafferrabili gli mettevano nel sangue e nei nervi come una esasperazione e quasi uno spasimo; da piangere. Più tardi aveva costrette in sè voglie ben più sostanziali ma non minori. Oh un cappone arrosto! E i capponi bisognava venderli. Oh i cappelletti in brodo! E il riso era la minestra dei dì solenni. Oh una torta vanigliata! E grazie se gliene toccava, rare volte, alle feste d'altre parrocchie!

      I colleghi non scorgevano che fatica egli durava a contenersi nei loro pranzi e a ingoiar acquolina. Piuttosto essi lo accusavano di poca sollecitudine, di poco zelo nel suo ministero.

      A torto? del tutto? No? Forse no. Perchè… perchè egli non era stato abbastanza sincero nel confortare gli infelici sentendosi più infelice di loro; non era stato abbastanza ardente e puro nei riti essendo angustiato sempre dagli affari e dai debiti, quando non erano i terrori delle cambiali in scadenza, delle citazioni e dei sequestri.

      Maledetti i quattrini!, allora… Ma adesso, oh!, adesso che gli ridavano la pace e la gioia, eran benedetti, dentro quella cassaforte, anche dall'invulnerabile custode!

      – Signore, mi raccomando a Voi! – ripetè don Fiorenzo; e nell'invocazione, congiunse al desiderio d'essere perdonato delle sue mancanze, la piena fiducia di meritar tuttavia aiuto e difesa. Quindi tornò a guardar fuori di sè.

      Il sole risplendeva libero, ora, d'ogni velame; con raggi vibranti di vita inesausta rianimava tutte le cose intirizzite, assopite, stinte, spogliate, strinate dal freddo, e ai suoi raggi correva in tutto, sensibilmente, una aspettazione benefica: di fronde e foglie negli alberi, di acque chiare nel rio, di fiori tra l'erba, di spiche sulla costa, di grappoli nella vigna, di opere e di canti agli uomini.

      Potenza di Dio! Questo granellino di polvere sperso nell'infinito, che dicono sia la nostra terra, come è grande!, che portenti racchiude!

      Quante energie! Quante creature! Quante forme diverse di erbe e di fiori, di colori e profumi! quante sorgive limpide e fresche! quante messi e granaglie! quante sorti di uva bianca e nera, e che vini!

      Nella ingenua ignoranza pareva al povero prete d'essere improvvisamente illuminato quel giorno da una miracolosa rivelazione.

      Per la prima volta immaginava con anima partecipe la gioia del vivere in ogni cosa vivente.

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