Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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colpa che ha il ricco lasciando morir di fame i poveri e mancar le entrate allo Stato. In vero tassa di poveri è questa, non men che pubblica contribuzione; andando tripartita per legge tra lo erario, i parenti del Profeta e i bisognosi, fossero orfanelli, viandanti, o altri.40 Le proprietà esistenti, rispettate così dallo islamismo, si trasmetteano, al par che i beni mobili, per vendita, donazione o successione.

      Quanto ai nuovi acquisti, Maometto non parlò che del legittimo per eccellenza: dichiarò che chiunque renda alla vita una terra morta, così esprimeva il dissodare un suolo inculto o fabbricarvi sopra, ne divenga padrone assoluto; sì che nè il principe nè altri possa togliergli il podere, finch'ei lo coltivi.41 Nei tempi appresso restaron dubbii, secondo le varie scuole, i limiti che potesse porre il principe a tal dritto di primo occupante; ma la sostanza del dritto non fu mai disputata; anzi si accordò la terra intorno il pozzo, a chi primo lo avesse scavato in terren deserto.42

      Su le proprietà stabili rapite ai vinti, Maometto non fece provvedimento generale, perchè rado occorse ai tempi suoi; nè parlarne troppo ei potea, proponendosi di conciliare e amalgamare la nazione. Cominciati i conquisti fuori d'Arabia, Omar applicò al caso qualche esempio del Profeta, e l'ordine posto dal Corano al partaggio della preda; onde quattro quinte andavano divise ai combattenti e una quinta serbata a utilità pubblica, e sussidii a varie classi di persone.43 Per tal modo furon divise alcune terre ai combattenti.44 Ma, in quell'età eroica, gli Arabi si tediavan di così fatta ricchezza. Tra il genio di correre a cavallo, combattendo, rubando e gridando Akbar-Allah; e tra abnegazione e ignoranza, alcuni giund rinunziarono alla repubblica la parte loro dei terreni; talchè, nella fertile provincia del Sewâd, Omar poneva in demanio tutti i poderi della dinastia regia di Persia, e dei privati che fossero morti o fuggiti.45 Tal nuova usanza invalse in appresso; anche non volendolo le milizie, nell'animo delle quali i sentimenti poetici sempre più calavano alla prosa. Come i combattenti, oltre la quota del bottino, godeano stipendio su le entrate pubbliche; e come i conquisti erano da attribuirsi alla potenza comune dei Musulmani, anzi che alle armi di tale o tal altro esercito, così parve giusto, che i frutti perenni della vittoria si godessero dallo Stato: e indi più di raro si effettuò il partaggio dei quattro quinti delle terre.46

      A ciò condusse anco il fatto che i paesi non si pigliavano quasi mai con la spada alla mano; ma per dedizione degli abitatori, assoluta o a patti: avvenendo che, dopo alcuna vittoria, intere province si sottomettessero nell'uno o nell'altro modo; ovvero che gli abitatori si facessero musulmani prima dell'occupazione. Or, a mente del Corano, il principe disponeva ad arbitrio suo delle persone e roba degli Infedeli arresi a discrezione;47 in caso di accordo i patti eran legge; e in caso di conversione le terre, secondo alcuni giuristi, rimaneano in libera proprietà ai possessori attuali; secondo altri, il principe scegliea tra questo partito e il sottometterle a tributo.48 I principi, ad esempio di Omar, provvidero o stipolarono in tre diversi modi, intorno la proprietà territoriale degli Infedeli vinti. I demanii del governo scacciato e i poderi caduti nel fisco per morte, schiavitù o fuga dei possessori, divennero proprietà perpetua e inalienabile della repubblica musulmana; e teneansi in economia, o si davano in enfiteusi, per annua rendita, kharâg, come dissero vagamente gli Arabi, cioè quel ch'esce, quel che si cava dal podere.49 Le altre terre lasciaronsi ai possessori infedeli, dove in piena proprietà, e però con dritto di alienare, ipotecare e disporre per testamento; e dove in dominio utile, ammettendo soltanto, com'e' pare, le successioni; in ambo i casi a condizione di pagare un tributo, che fu detto similmente kharâg. Questo, su le terre di piena proprietà, tornava a tassa fondiaria, e cessava per conversione del possessore, o passaggio del podere in man di Musulmani; e su le terre di dominio utile era una maniera di censo, e durava in perpetuo.50 La legge riconoscea, dunque: proprietà libera di Musulmani per possesso anteriore alla conversione, per dissodamento o fabbrica, e per partaggio al conquisto; proprietà piena di Infedeli, soggetta a kharâg eventuale; proprietà vincolata di Musulmani e Infedeli, soggetta a kharâg perpetuo; e finalmente enfiteusi di fondi demaniali. Altra origine di possessione territoriale non v'era. Il principe potea scompartire ai combattenti e abilitare chiunque al dissodamento; non mai concedere terreni gratuitamente; non essendo suoi proprii, ma della repubblica o dello esercito vincitore.51

      Questo fu il dritto generale infino al decimo secolo dell'era cristiana. Nel fatto, erano già nati parecchi abusi in questa e quell'altra provincia: e dove si vedeano proprietà demaniali usurpate da privati,52 dove, al contrario, par che i governi si sforzassero a confondere il kharâg eventuale e il perpetuo; e ad aggravare, come se fossero demaniali, i poderi tributarii della prima o seconda delle classi dette di sopra: e non è dubbio che gli abusi crebbero col tempo; sopra tutto dall'undecimo secolo in poi, quando la schiatta turca dominò successivamente la più parte degli Stati musulmani, e vi istituì veri beneficii militari. Dopo dodici secoli, il viluppo cagionato da coteste vicende nella ragione delle proprietà, è stato assai difficile a penetrare; e si è corso rischio di scambiare il dritto con lo abuso, la eccezione con la regola, la ragion d'un paese con la ragione d'un altro: tanto più che la voce kharâg ha i varii significati che accennammo, e inoltre quello di censo dell'acqua dei canali mantenuti dallo Stato, con che si inaffiassero terre decimali, ossia di libera proprietà musulmana.53 E indi è che i trattati usciti fin qui su tal materia, lasciano tanto a desiderare.54 Quanto a noi, ci basta saper le teorie ammesse da Mawerdi, un secolo e poco più, dopo il conquisto di Sicilia: e avremo compiuto il nostro debito dimostrandone coi fatti la osservanza, se non nella colonia siciliana, almeno in tempi vicini e paesi analoghi.

      Nella quale investigazione occorre che al primo ordinamento della colonia d'Affrica (698) furono assoggettati al kharâg i Berberi non musulmani e gli abitatori cristiani di sangue fenicio, pelasgico o germanico,55 e ne andarono esenti i Berberi musulmani; i quali sostennero tal franchigia con le armi (720 a 740), contro governatori troppo fiscali.56 Da un'altra mano sappiamo che il governo dei califi, dando sesto alla Spagna nei principii del conquisto (720), divise parte delle terre ai soldati; parte ne serbò in demanio; e parte lascionne agli antichi abitatori, sotto tributo:57 nè è verosimile, anzi non è possibile, che siasi fatto altrimenti nell'Affrica propria, ond'eran mossi i conquistatori della Spagna, ed ove la colonia arabica tollerava sì poco il comando, non che i soprusi, dei califi. Ci accusa libera proprietà in Affrica il fatto che Ibrahim-ibn-Aghlab, emiro, comperava dai Beni-Tâlût (801) il terreno per fabbricare la cittadella d'Abbâsîa.58 Dei poderi soggetti al kharâg non è mestieri allegar prove. Dei poderi demaniali, dhiâ, come chiamavanli, si fa menzione più volte negli annali d'Affrica.59

      Ove si considerino i modi e il lungo spazio di tempo in che i Musulmani compieano il conquisto della Sicilia, non si metterà in forse che nascesservi tutte le maniere di proprietà discorse di sopra. Superfluo sarebbe a dire dei beni demaniali,60 e di quei rimasi ai Cristiani.61 Quanto alle possessioni dei Musulmani, poichè se ne conoscon tante dopo il conquisto normanno,62 non è mestieri, provare che esistessero innanzi; ma sì indagare se al tempo della dominazione musulmana ne fossero state delle decimali e delle tributarie; cioè proprietà libere o vincolate. Su di ciò non troviamo attestati positivi. Ma

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<p>40</p>

La zekât è dovuta dai soli Musulmani adulti, sani di mente e liberi, che posseggano oltre un certo valore fissato dalla legge. Si chiama anche decima. Il ritratto è stato sovente distolto dalla sua destinazione legale; usurpandolo i governi, che poi si sgravavano la coscienza in opere di pietà o di carità. Veggansi a tal proposito: Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. XI, p. 195, seg., e lib. XVIII, p. 366, seg.: questo dottore sciafeita riferisce il dritto come si tenea nella propria scuola, cita le opinioni delle altre e i fatti fino al tempo e paese suo, cioè tra il X e l'XI secolo, a Bagdad; Hedaya, lib. I, versione inglese, tomo I, p. 1, seg., che mostra il dritto osservato in India nel XVIII secolo secondo la scuola di Abu-Hanîfa; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo II, p. 403, e tomo V, p. 15, seg., che riferisce anco il dritto hanefita, osservato alla stessa epoca in Turchia; Khalîl-ibn-Ishâk, Précis de jurisprudence musulmane, traduit par M. Perron, cap. III, tomo I, p. 328, seg. Quest'autore, di scuola malekita, visse nel XV secolo. Il suo compendio, brevissimo e oscurissimo, fa legge in Affrica. Veggasi anche Burckhardt, Voyage en Arabie (versione francese), tomo II, p. 294, che descrive la pratica dei Wababiti, puritani dell'islamismo ai tempi nostri. Le varie scuole ed epoche fan poca differenza nell'applicazione degli statuti su la zekât.

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Mishkat-ul-Masabih, lib. XII, cap. XI, tomo II, p. 45, seg. Data la tradizione del Profeta, tralascio di citare i trattatisti, alcuni dei quali, a dir di Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 330, credettero necessaria la licenza del principe a confermare il dritto di primo occupante. Ognun vede che ciò non torna ad esercizio di un supremo dritto di proprietà, ma a necessaria misura di ordine pubblico, per evitare che due o più persone si contendessero un podere. È fondato su la medesima ragione il divieto di occupare il suolo bisognevole a pascolo comune, strade, mercati ec., di che tratta il Mawerdi, lib. XVI, p. 322, seg.

<p>42</p>

Hedaya, lib. XLV, tomo IV, p. 132.

<p>43</p>

Nella sura VIII, verso 42, è detto appartenere la quinta a Dio, e per lui al Profeta, ai parenti di costui, agli orfanelli, agli indigenti e ai viandanti. La morte di Maometto diè luogo a cavillare su questa legge. Dei dottori, chi ha pensato doversi investire tutta la quinta in utilità pubblica; chi poterne disporre il principe; chi doversi esclusivamente serbare ai parenti del Profeta, orfanelli ec. Veggasi Beidhawi, comento al citato verso del Corano, edizione di M. Fleischer, tomo I, p. 367 e 368; Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 239 a 242. Koduri vuol che la quinta si divida in tre parti uguali agli orfanelli, poveri, e viandanti; sostenendo che la quota del Profeta si fosse estinta alla sua morte; presso Rosenmuller, Analecta Arabica, § 34.

<p>44</p>

Questo importante fatto è riferito da Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 334, seg. Avanti la edizione di M. Enger del 1853, che noi citiamo, questo squarcio era stato pubblicato con una versione francese da M. Worms, Recherches sur la constitution de la propriété, etc., p. 188, 189, e 202, seg. Ma M. Worms non ebbe alle mani che un sol MS. del Mawerdi; non si servì delle varianti di quello che possiede la Biblioteca di Parigi; e d'altronde non colse sempre il segno nella versione.

<p>45</p>

Mawerdi, l. c.

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Il dritto era, secondo Sciafei, che le terre prese con le armi si dividessero al par che il bottino, a meno di cessione volontaria dei combattenti. Malek le dicea proprietà perpetua della repubblica. Abu-Hanîfa rimetteva al principe di scompartirle tra i combattenti, lasciarle agli Infedeli, con obbligo di pagare il kharâg, ovvero dichiararle proprietà della repubblica, come gli paresse. Così riferisce Mawerdi, lib. XII, p. 237, seg.; e lib. XIII, p. 254, seg. (anche presso Worms, op. cit., p. 100, seg.; 103, seg.; 107, seg.). Ma i giureconsulti vissero quando i conquisti eran cessati; onde la opinione loro non servì che a lodare o biasimare i fatti compiuti.

<p>47</p>

Sura, LIX, versi 6, 7, 8.

<p>48</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XIII, p. 254; e presso Worms, op. cit., p. 107 e 110. La prima era opinione di Sciafei; la seconda di Abu-Hanîfa. L'Hedaya, quantunque compilazione hanefita, si appiglia nel presente caso all'opinione di Sciafei, lib. IX, cap. VII, tomo II, p. 205. Koduri, autore del decimo secolo, sostiene la prima opinione, presso Rosenmuller, Analecta Arabica, § 12.

<p>49</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 334, 335; e presso Worms, op. cit., p. 189, e 204. Si vegga anche Koduri, presso Sacy, Mémoires de l'Académie des Inscriptions, tomo V, p. 10.

<p>50</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 237; lib. XIII, p. 253; e lib. XIV, p. 299; i quali squarci si veggano anche presso Worms, op. cit., p. 100, 103, 108, 111; Koduri, presso Sacy, Mémoires de l'Académie des Inscriptions, tomo V, p. 11. Si riscontri col lib. II, cap. XII della presente storia.

<p>51</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 330, seg.; e presso Worms, op. cit., p. 184, seg., e 196, seg.; alla cui versione van fatte molte correzioni. Ha errato il Martorana, Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, tomo II, nota 247, p. 248, sostenendo che tutte le proprietà musulmane venissero da concessione del principe.

<p>52</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 335; e presso Worms, op. cit., p. 189, e 205.

<p>53</p>

Questo ultimo fatto si ricava dall'Hedaya, lib. IX, cap. VII, tomo II, p. 205.

<p>54</p>

Prima di scrivere queste parole, io ho studiato le dissertazioni di M. De Sacy, Mémoires de l'Académie des Inscriptions, tomo I, V e VII; l'opera citata di M. Worms, e le compilazioni legali musulmane, come l'Hedaya, D'Ohsson, Khalîl-ibn-Ishak. Dell'opera di M. De Hammer, ne so quanto ne dicono M. Sacy e M. Worms.

La conchiusione di M. Sacy, che le terre d'Egitto appartenessero sempre agli antichi possessori indigeni, e fossero state usurpate in vario modo dai principi e loro soldatesche, è giusta, a creder mio, ma non abbastanza provata, nè applicabile a tutti i paesi musulmani.

Quanto a M. Worms, è da commendare il metodo, la sagacità, la erudizione; non la imparzialità sua. Ponendo un'arbitraria distinzione tra le terre da seminato e i giardini, o, com'ei dice, terre di grande culture e di petite culture, M. Worms pretende che le prime sian sempre appartenute allo Stato in tutti i paesi musulmani, fuorchè l'Arabia. Ed io credo ch'ei si apporrebbe al vero, se parlasse di una parte, anche della più parte, dei vasti poderi, ma che sbaglia sostenendo esser tale la condizione di tutte le terre da cereali; e doversi tener tali per presunzione legale, senz'altre prove. Così ei viene a negare i dritti certissimi: 1º di dissodamento; 2º di partaggio tra i soldati; 3º di proprietà di convertiti avanti il conquisto; e 4º di beni lasciati agli Infedeli in piena proprietà, e indi passati in man di Musulmani. Se non altro, il numero dei wakf, ossia lasciti pii, ch'è grandissimo in tutti i paesi musulmani, avrebbe dovuto avvertire M. Worms della esistenza di moltissime terre libere; non potendosi dai Musulmani fare wakf senza libera proprietà; nè supporre da Europei che tutte le proprietà private fosser divenute lasciti pii. Qui parlo dei wakf a moschee o altre opere; non di quello in favor della repubblica musulmana che costituisce il demanio pubblico.

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Si confrontino: Ibn-abd-Hâkem, citato da M. De Slane, nell'Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, tomo I, p. 312, nota 1; Ibn-Khaldûn stesso, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduzione di M. Des Vergers, p. 27; e il Baiân, tomo I, p. 23. Ho accennato questo fatto nel lib. I, cap. V, p. 121 del primo volume.

<p>56</p>

Si confrontino: Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 31, 34; il Baiân, tomo II, p. 38; e Nowaîri, Storia d'Affrica, in appendice a Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 159. Ho ferma opinione che M. De Slane non s'apponga al vero, rendendo in questo luogo la voce Khammasa “fare schiavo il quinto della popolazione.” Si deve intendere più tosto “levare il quinto della rendita territoriale” ossia porre il kharâg; come lo mostra con varii esempii il professor Dozy, Glossaire al Baiân, tomo II, p. 16.

<p>57</p>

Isidoro De Beja, cap. XLVIII, su l'autorità del quale hanno registrato questo fatto M. Reinaud, Invasion des Sarrazins en France, p. 16; e il prof. Dozy, Glossaire al Baiân, tomo II, p. 16.

<p>58</p>

Baiân, tomo I, p. 84. A questo esempio si potrebbe aggiugner quello delle terre che pagavan decima, su le quali il secondo principe aghlabita, Abd-Allah-ibn-Ibrahim, comandò (812) che si levasse un tanto all'anno secondo la misura della superficie, e non più la decima in derrata. Ibrahim-ibn-Ahmed, che avea continuato o ripigliato tale abuso, il cessò l'anno 902. Baiân, tomo I, p. 87 e 125. Nowairi, in appendice a Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 402. Or come decima in derrata significa ordinariamente zekât, così le terre che ne pagavano si dovrebbero credere libera proprietà de' Musulmani. Nondimeno si può dare che i cronisti abbian voluto significare la doppia decima, ossia kharâg, dovuta sopra terre tributarie, e che la ingiusta innovazione fosse stata soltanto nel modo della riscossione in danaro, e a misura di superficie. Mi induce a tal supposto l'enormezza che sarebbe stata a mutare la zekât in tassa fondiaria; e mi vi conferma la opinione di alcuni giuristi, riferita da Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 335, cioè che il kharâg su le terre da seminato non potea passare il dieci per cento su la raccolta.

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Baiân, tomo I, p. 125, 175, 184, 273, anni 289 (902), 303 (915), 305 (917), 405 (1014).

<p>60</p>

Il Martorana, Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, tomo II, p. 130, e nota 254 a p. 252, afferma potersi provare la esistenza di così fatti poderi coi nomi di città e castella che rispondono a quelli di emiri siciliani. Ma gli esempii ch'ei ne dà son tutti fallaci; e non lo è meno il supposto che i poderi demaniali dovessero prendere il nome degli emiri. Nè anco posson servire di argomento i beni demaniali dei Normanni. Ma la legge, l'interesse dei governanti, e l'uso generale degli Stati musulmani, danno tal presunzione che val meglio di ogni prova.

<p>61</p>

Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 474 del primo volume.

<p>62</p>

Lasciando da parte i molti diplomi del XII secolo che lo attestano, basti allegare le Consuetudini di Palermo, cap. XXXVI, e gli Statuti di Catania contenuti in un diploma del 1668 presso De Grossis, Catena sacra, p. 88, 89, citato dal Di Gregorio, Considerazioni, nota 21, cap. IV del lib. I.