Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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per dissodamento, sia per partaggio. Le prime debbon supporsi rade e di poca estensione. Il partaggio fu al certo di maggiore importanza. Quantunque in Affrica fosse cominciata a seguirsi nel nono secolo la scuola di Malek, la quale attribuisce allo Stato le terre prese per forza d'armi,63 pur non erano obbligatorie così fatte teorie, nè la scuola era riconosciuta da tutti i giuristi; e inoltre i principi aghlabiti, infino ad Ibrahim-ibn-Ahmed, poca o niuna autorità esercitarono su le milizie di Sicilia, le quali certamente amavano meglio il partaggio. Indi è da conchiudere che gli emiri pigliassero in demanio quando poteano, e, quando no, scompartissero i quattro quinti delle terre. Così credo si praticò alla resa di Palermo; il cui territorio, e forse di gran parte della provincia, fu tolto ai naturali, per esser tutti o fuggiti o fatti schiavi.64 E veramente a partaggio accennano le discordie che immediatamente seguirono, composte a mala pena dagli Aghlabiti.65 La resa a discrezione o presura per forza d'armi, si rinnovò poscia in varii luoghi, onde dovea portare il medesimo effetto. Le possessioni decimali poteano anco nascer da quelle lasciate per avventura in piena proprietà a Cristiani i cui figliuoli avessero professato poi l'islamismo; chè moltissimi il fecero nel nono secolo in Val di Mazara, e nel seguente in Val di Noto e parte del Val Demone. Nondimeno, com'è incerta la stipolazione della piena proprietà, e come l'interesse del governo e degli antichi Musulmani si opponeva a lasciar godere la franchigia ai novelli convertiti, così non sapremmo supporre frequente un tal caso. Un cenno che ne danno le cronache nei principii dell'undecimo secolo, e che si riferirà a suo luogo, ne fa certi che i Musulmani dettivi Siciliani, fossero progenie degli antichi abitatori, ma non che il kharâg posto sopra di loro lo fosse stato allora per la prima volta: e però questo fatto non può dare argomento dell'indole della proprietà, se libera o vincolata.66

      In ogni modo il conquisto musulmano cagionò profondo rivolgimento nella costituzione e distribuzione della proprietà territoriale in Sicilia. I poderi dei Musulmani, originati da dissodamento o partaggio, doveano esser molti e non vasti; e a suddividerli conducea la legge delle successioni, la quale permette i legati infino a un terzo dell'asse ereditario, accorda parti uguali ai figli e metà di parti alle figliuole, e chiama all'eredità gli ascendenti, anche sendovi discendenti, e in mancanza degli uni e degli altri ammette i collaterali.67 Spicciolavansi altresì le terre del demanio, affittate o censite per compartimenti.68 Conferman la suddivisione della proprietà i moltissimi nomi arabici che rimaneano ai poderi nel duodecimo secolo, soprattutto in Val di Mazara, e ve ne rimangono tuttavia, i quali nacquero al certo dal detto rimescolamento; poichè le denominazioni topografiche son tenacissime, le antiche si smetton di rado per mutazione del possessore, le nuove nascon quasi sempre da suddivisione o aggregamento dei poderi. Così il conquisto musulmano guarì la piaga dei latifondi, la quale avea consumato la Sicilia fino al secol nono, e riapparve con la dominazione cristiana nel duodecimo.

      Più vasto frutto della vittoria, più divisibile, e più congeniale alla maggior parte dei primi coloni di Sicilia, era lo stipendio militare. Godealo, in tutti gli Stati musulmani, il giund, ordine militare propriamente detto; del quale farem parola, lasciando indietro le altre maniere di combattenti; cioè gli schiavi e liberti che alcuna volta si adoperavano come stanziali, e le plebi, le quali traeano volontariamente alla guerra sacra, partecipavano al bottino, e, finita la impresa, se ne tornavano a vivere di limosine o dure fatiche. Nel giund si scrissero un tempo tutti i Musulmani; poi, a misura che l'impero si allargò, i ruoli si ristrinsero, com'abbiamo accennato nel primo Libro. Quivi anco abbiam divisato le norme dei divani di Omar; le quali durarono e si modificarono al par di tante altre primitive istituzioni dell'islamismo. Nel nono secolo, gli Arabi prendean luogo tuttavia nei ruoli sopra le schiatte straniere; e queste tra loro secondo l'anteriorità della conversione: suddivisi gli Arabi, al par che gli stranieri, per tribù e parentele; le quali prendean grado secondo la consanguineità col principe; gli individui secondo la età. Ma ormai non entrava nel giund chiunque il chiedesse, solo i figliuoli di militari, quando fossero adulti, validi, buoni alle armi e senz'altro mestiere; di che giudicava il principe, e potea alsì ammettere uomini nuovi. Variava il soldo a giudizio anco del principe o dell'emiro, secondo i bisogni, che è a dire in ragion del numero dei figliuoli e degli schiavi, la quantità dei cavalli mantenuti e i prezzi delle vittuaglie in ciascun paese; ma in ambo i casi detti era limitato l'arbitrio dalla consuetudine universale e dalla potenza delle famiglie componenti il grosso delle milizie. Discendean esse in parte dall'antica nobiltà arabica; orgogliose di lor tradizioni, clientele, pratica e prontezza al combattere.69 Indi si vede che il giund era tuttavia, come dissi nel primo Libro, nobiltà armata, ordine aristocratico, temperato alquanto dalla monarchia.

      Agli stipendii suoi era specialmente destinato il fei; cioè prestazioni permanenti degli Infedeli, fossero tributi collettivi delle popolazioni assicurate, o tributi individuali delle popolazioni soggette, chiamati gezîa, kharâg o decima delle merci, comprendendosi sotto la denominazione di kharâg il ritratto dei beni demaniali.70 Nel primo secolo dell'egira, epoca di conquisti e franchige, gli Arabi avean fatto sì rigorosamente osservare lo investimento del fei, che il califo non ne metteva ad entrata altro che i sopravanzi; nè era lecito agli oficiali del tesoro d'incassare materialmente la moneta, se i notabili militari e civili che la recavano dalle province, non giurassero essere stati pria soddisfatti coloro che avean ragione su quelle entrate, specialmente le milizie.71 Cresciute poscia nel principato le forze e le brame, e abbassate le milizie per la istituzione degli stanziali, tanto pure avanzò delle costumanze antiche che il fondo degli stipendii non si menomò.72 Si pagavano oramai in molte province, se non in tutte, per delegazione sul kharâg di un dato podere o territorio, secondo la somma registrata nel catasto, che s'agguagliasse a quella dello stipendio registrato nel ruolo militare. La delegazione, oltre il kharâg, si facea sopra altre entrate di fei. Chiamavasi iktâ'; taglio, come suona in lingua nostra.73 Portava al governo risparmio delle spese e fatiche della riscossione; ma aggravava i contribuenti; corrompea le stesse milizie, mutate in torme di gabellieri e concussionarii privilegiati; e tornava alla fin fine a rovina dello Stato, per le infiacchite forze nazionali, le entrate distratte, i popoli spolpati, e gli sciolti legami tra le milizie e la pubblica autorità. Tanto più che alle milizie l'iktâ' soleasi concedere a vita, e talvolta con sostituzione dei figliuoli; quantunque i giuristi dichiarassero nullo tal modo.74 Sospetto che le concessioni per ordinario fossero state collettive in favore di un giund: naturalissimo e pessimo espediente. Che che ne sia, i beneficii militari, nati nella precoce decadenza della società arabica, aiutarono, con gli altri vizii, alla rovina di sua dominazione. La istituzione degli emiri di provincia primeggiò, come dicemmo, tra le cause che smembravano l'impero in reami: gli iktâ' cooperarono a rinnalzare l'abbassata aristocrazia e spingerla all'anarchia feudale; poichè le milizie divennero come forza privata dei capi loro; onde avvenne che alcuno occupasse il principato, o, peggio, che molti sel contendessero. Così fu in Spagna; così in Sicilia nello undecimo secolo.

      Ordinato per tal modo che la entrata principale si applicasse al principale bisogno dello Stato, poco rimanea per le altre spese, che pur cresceano con lo incivilimento e con gli sforzi dei principi tendenti al potere assoluto. Più che in niun'altra parte di governo, apparisce nell'azienda il radical difetto della teocrazia musulmana. Il Corano avea provveduto appena al bilancio, com'oggi si dice, d'un misero governo di tribù. Per soddisfare alle spese d'uno impero, convenne dunque cercare entrate fuor dalla legge; come fu appunto il kharâg statuito da Omar; e, quando nè anco bastò, forza fu di trapassare e legge e consuetudine. I giuristi allora, che si arrogavano il potere legislativo mediante le interpretazioni, si messero a tirar coi denti qualche capitolo del Corano e della Sunna per adattarlo ai bisogni attuali, o sostennero che non v'era modo. I principi posero balzelli a dispetto della legge e degli interpreti; e

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<p>63</p>

Veggasi in questo capitolo la nota 2 a p. 17.

<p>64</p>

Ad postremum, capientes panormitanam provinciam, cunctos ejus habitatores captivitati dederunt. Johannes Diaconus, Chronicon Episcoporum Neapolitanæ Ecclesiæ, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte 2ª, p. 313.

<p>65</p>

Veggasi il Libro II, cap. V, della presente storia, vol. I, pag. 294.

<p>66</p>

Veggasi il Libro IV, cap. VIII sul kharâg aggravato nel 1019, e il cap. IX su le possessioni dei Musulmani d'origine siciliana e d'origine affricana.

<p>67</p>

Hedaya, lib. XXXIX, e LII, tomo IV, p. 1, seg.; 466, seg.; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, lib. IV, V, p. 275, seg.

<p>68</p>

Si chiamavano in generale dhiâ', come notammo di sopra, e in Sicilia e Affrica anche ribâ'.

<p>69</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XVIII, p. 351, seg. e 355, là dove è detto che senza ricusa di combattere o altra causa legittima non si potea togliere lo stipendio, “sendo il giund esercito del popolo musulmano.” Si confronti col lib. III, p. 50, onde si scorge che lo emir di provincia potea, senza permesso del califo, accordare lo stipendio ai figliuoli di militari pervenuti ad età da portar arme.

<p>70</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 218, seg.

<p>71</p>

Akhbâr-Megmûa'-fi-iftitâh-el-Andalos, MS. della Biblioteca imperiale di Parigi, Ancien Fonds, 706, fog. 99 recto. In questa importante cronica del X secolo si legge: “Quando recavansi ai califi le entrate (gebâiât) delle città e province, ciascuna somma era accompagnata da dieci personaggi dei notabili del paese e del giund; nè si incassava nel tesoro (beit-el-mâl) una sola moneta d'oro o argento, se costoro non giurassero prima per quel Dio ch'è unico al mondo, essersi levato il denaro secondo il dritto, ed essere sopravanzo degli stipendii dei soldati e famiglie loro nel paese, ciascun dei quali fosse stato soddisfatto di quanto per diritto gli apparteneva. Or avvenne che si recò al califo il kharâg d'Affrica, la quale di quel tempo non si tenea come provincia di frontiera; e il denaro era veramente avanzo, sendosi pria soddisfatti gli stipendii del giund e le prestazioni dovute all'altra gente. Arrivate con cotesto danaro otto persone in presenza del califo, ch'era di quel tempo Solimano (715-717), furono richiesti di giurare; e in fatto fecero sacramento ec.” Questo fatto dell'VIII secolo risponde perfettamente alla massima di Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 50, che l'emir di provincia mandi all'imâm gli avanzi del fei, “quando ve ne abbia, pagati tutti gli stipendii.”

<p>72</p>

Secondo Mawerdi, l. c., mancando il danaro del fei in una provincia, dovea supplire il tesoro del califo. Negli annali dal terzo al quinto secolo dell'egira credo non si trovi un solo esempio di stipendii menomati.

<p>73</p>

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 337 a 341, enumera i varii casi e i varii pareri dei giuristi, relativamente all'iktâ'. Non si tenea lecito trattandosi di kharâg eventuale, cioè dovuto da Infedeli che avessero pieno diritto di proprietà, e però andassero sciolti dal tributo come dalla gezîa, facendosi musulmani. Il kharâg perpetuo, se dovuto in danaro e non variabile secondo il raccolto, si potea concedere. Pare che gli iktâ' si fossero anco tentati sopra le decime legali, ossia zekât; poichè i giuristi si sforzavano a dimostrarne la nullità. Questo luogo di Mawerdi è stato tradotto da M. Worms, Recherches sur la propriété etc., p. 206, seg.; la cui interpretazione non sempre mi pare esatta.

<p>74</p>

Mawerdi, l. c., della edizione di Enger, e p. 207, seg., della versione del Worms, enumera gli uficii pei quali si tenea permesso lo iktâ' e le condizioni necessarie nei varii casi. La regola generale che se ne cava, messi da canto i dispareri dei giuristi su i punti secondarii, è: 1º di escludere le concessioni oltre una vita d'uomo; 2º permettere le vitalizie ai soli militari; 3º permettere le delegazioni per parecchi anni agli impiegati permanenti, come muedsin e imâm delle moschee; e 4º limitarle a un anno pei non permanenti, come câdi, hâkim, segretarii e impiegati d'azienda.