La montanara. Barrili Anton Giulio

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La montanara - Barrili Anton Giulio

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che Gino sentì un rumore di passi su per le scale.

      Il vecchio Mandelli precedeva i forastieri. Affacciatosi all'uscio della camera, che Gino aveva lasciato socchiuso, disse al suo inquilino:

      – Signor conte, son qua due signori che cercano di Lei.

      – Entrino pure; – rispose Gino, smettendo di leggere, ma lasciando aperto sulla scrivania il Dizionario storico geografico dello Stato di Modena.

      Il vecchio Mandelli si ritirò, e in sua vece si presentarono le due facce proibite che avevano guastata la digestione del conte Gino, facendolo correre con tanta fretta dalle Vaie a Querciola. Dico facce proibite per far piacere al nostro eroe; ma nel fatto erano due facce insignificanti; completamente rase, perchè a que' tempi non si amavano le barbe, e i pizzi e i mustacchi erano proibiti come le pistole corte, anzi come le pistole d'ogni misura e le armi d'ogni genere. I due possessori di quelle facce erano vestiti di nero, e i loro atti apparivano molto cerimoniosi, ma non senza quel po' di sussiego che ha sempre indicata la dignità di un ufficio governativo. Dal contegno dell'uno rispetto all'altro, dalla distanza che il secondo mantenne venendo dietro al primo, si capiva facilmente che quegli era inferiore di parecchi gradi al suo compagno di viaggio.

      – Ella ci perdonerà, signor conte, se veniamo a scomodarla; – disse il superiore. – Adempiamo un incarico del governo.

      – Facciano pure; – rispose Gino, accennando due seggiole, ma non degnandosi di domandare in che consistesse l'incarico.

      – Niente di noioso o di lungo, per altro; – ripigliò l'oratore. – Una semplice ricognizione, e punto offensiva. Sua Eccellenza desiderava di sapere se Vossignoria ha trovato modo di collocarsi a Querciola.

      – Ci sono venuto subito, appena ricevuto l'ordine; – rispose Gino, niente ingannato dalla forma garbata in cui quell'altro gli presentava la cosa.

      – Veramente, – disse il commissario, – questo è un paese poco abitabile, se debbo giudicarne dalla strada che abbiamo fatta per giungerci, e dalla meschina apparenza delle case. M'immagino che Sua Eccellenza non lo conoscesse altrimenti che sulla carta. —

      Gino rispose con un cenno del capo, che voleva dire e non dire. A quel discorso del signor commissario, in verità, non c'era nulla da rispondere.

      – Siamo tra contadini a dirittura; – continuò il commissario. – Ed Ella, signor conte, non ci avrà distrazioni. —

      Gino sospirò; poi rispose al signor commissario:

      – Che farci? Il confine è una punizione, e come tale non ammette passatempi, oltre quelli che un uomo industrioso, ed anche di facile contentatura, sa trovarsi da sè.

      – Studiando, non è vero? Ha qualche libro, come vedo.

      – Poca roba, signor mio: la Bibbia, la Divina Commedia, una Storia Romana antica…

      – Ah, buono studio! – esclamò il signor commissario.

      – Certamente! – disse Gino. – È molto interessante. Par di vivere in tempi migliori.

      – E stava per l'appunto vivendo cogli antichi, quando noi siamo venuti a disturbarla.

      – No, per il momento facevo dell'altro; cercavo qualche notizia in questo Dizionario storico e geografico del Ducato. Desidero di conoscere questi paeselli di montagna, per fare qualche passeggiata.

      – Ottima cosa, poichè si è in campagna; – disse il commissario. – E qui ci ha una bella prospettiva?

      – Ne giudichi Lei, signor commissario. Si affacci pure alla finestra.

      Vedrà molto verde. —

      Il signor commissario si degnò di andare alla finestra, e di metter fuori il suo naso.

      – Sì, veramente, molto verde; – diss'egli ridendo. – Nient'altro che verde. —

      Gino, frattanto, si sentiva cacciar tra le dita qualche cosa, come una lettera, o un foglio di carta ripiegato.

      Si volse a guardare il compagno del commissario, l'inferiore di grado, il semplice applicato, e vide ne' suoi occhi un lampo, un cenno d'intelligenza, una raccomandazione muta. Poi quel lampo si estinse; il cenno e la raccomandazione si smarrirono nella tinta scialba della sua faccia marmorea.

      Il giovanotto ebbe a mala pena il tempo di far scorrere in tasca il foglio di carta, perchè il signor commissario si era già ritirato dal vano della finestra, per rivolgersi a lui.

      – Del resto, – disse l'oratore del governo ducale, dopo aver data una guardatina in giro, – Ella è abbastanza bene, in questa cameretta.

      – Con qualche mobile preso in affitto; – rispose Gino umilmente.

      – Difatti, – riprese il commissario, – questi mobili non somigliano punto agli altri della sala d'ingresso, e stuonano anche con la misera apparenza della casa. Mi maraviglio che abbia potuto trovarne in questi dintorni.

      – Appena giunto a Querciola ne dubitavo anch'io; – rispose Gino, seccato da quel discorso, ma vedendo la necessità di condurre il suo interlocutore fuori di strada. – Ma offrendo danaro… Ella mi capisce!

      – Buona cosa averne molto; – osservò giudiziosamente quell'altro, che forse pensava in quel punto al magro stipendio per cui faceva da tanti anni un ingrato mestiere. – Ella è felice, signor conte!

      – Ma sì, ma sì! Non mi lagno.

      – Ed ha notizie di suo padre, di quell'ottimo conte Jacopo?

      – Nossignore, e di nessuno della mia famiglia; – rispose Gino, contentissimo di essere uscito salvo dalla rassegna dei mobili. – I miei parenti mi tengono il broncio, e si capisce, perchè il governo mi ha preso in sospetto come un reprobo.

      – Eh via! – disse il commissario, con accento di benevolenza somma. – Non chiami castigo una correzione paterna, per una colpa giovanile… che forse non sarà nemmeno una colpa.

      – Dice bene, e levi pure il forse.

      – Tanto meglio, e me ne congratulo con Lei; – ripigliò il commissario. – Allora è da sperare che tutto venga in chiaro tra breve, e che, per conseguenza, dopo un paio di mesi… dopo tre…

      – Metta anche sei; – interruppe Gino. – Non è privilegio della verità il venire così presto alla luce. Ella sa, signor commissario, che questa bella signora l'hanno relegata nel fondo di un pozzo. —

      Il vecchio funzionario sorrise. Capiva anch'egli benissimo che il confine non sarebbe levato così presto e che il conte Malatesti non poteva pascersi di troppe speranze in proposito.

      – Speriamo almeno, – diss'egli, – che per i meriti del suo signor padre…

      – Ecco, veda; – replicò Gino, mozzandogli le parole in bocca. – Per i meriti di mio padre possono dare un'altra decorazione… a mio padre. Il figlio, se ha errato, paghi; se non ha errato, riconoscano la sua innocenza. Non Le pare?

      – È la logica, lo riconosco; – rispose il commissario, che incominciava a seccarsi di quella disputa, in cui il conte Gino voleva aver sempre ragione. – Ma Ella

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