La montanara. Barrili Anton Giulio
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– Bene! – conchiuse Gino. – Seguitiamo gli usi di questo paese. E datemi le uova, frattanto; non vorrei far troppo aspettare il figlio del re.
– No, scusi; – replicò il mugnaio: – non le posso dar altro. Il signor Aminta se l'avrebbe a male.
– Perchè? Non devo dunque mangiar altro?
– Per ora no, se non le dispiace. Il signor Aminta è escito per mandare l'avviso a casa sua, dov'Ella troverà assai meglio di quello che può offrirle la nostra cucina.
– Oh diamine! È grossa. Eccomi dunque invitato per forza.
– Qui è l'uso, quando passa un forastiero sul territorio dei Guerri.
– Ma qui, scusate, sono in paese abitato.
– Ha ragione; ma il mulino appartiene ai Guerri.
– Ed io mi trovo sul territorio del re, non è vero? – disse Gino, ridendo. – Ma sapete che è un uso piacevolissimo, e che tutti i re dovrebbero introdurlo nei loro Stati? Ottima istituzione, questi re della montagna! Passa un forastiero, in queste gole, e lo invitano a pranzo. Una volta si usava altrimenti; il forastiero, che si arrisicava in questi passi, era invitato bensì, ma a buttarsi con la faccia a terra, e lo svaligiavano senza misericordia. A proposito, e le mie valigie?..
– Le ha fatte prendere il signor Aminta.
– E per che farne, di grazia?
– Per mandarle a casa sua.
– Di bene in meglio! – esclamò Gino, che non sapeva se dovesse ridere, o andare in collera.
Ma perchè andare in collera, poi? Era venuto a cascare nei dominii d'un re, e quel re non somigliava punto al duca di Modena, suo riverito padrone. Questi lo discacciava, quell'altro lo accoglieva. In una cosa sola si manifestava una specie di analogia tra loro; ambedue facevano quel che volevano, senza consultare l'intenzione dei sudditi.
– Io, per altro, – soggiunse Gino, come ultimo atto di protesta, – debbo andare a Querciola.
– Che ci vuol fare, a Querciola? – disse il mugnaio, crollando le spalle. – È un paesaccio.
– Sia quel che gli pare; debbo andarci e ci andrò; – rispose Gino. – Mettete che io abbia da farci degli studi.
– In questo caso potrà sempre inerpicarsi lassù ed arrivarci in un'ora di cammino. Ma, come abitazione, si troverà meglio dai Guerri.
– Dai Guerri? Chi sono i Guerri?
– Gliel ho detto poc'anzi: la famiglia del…
– Ah sì, lo ricordo ora, del signor Aminta. Ed anche non ricordandolo, dovevo immaginarmelo.
– Hanno un alloggio molto comodo; – rispose il mugnaio.
– Lo capisco; – disse Gino. – Sarà una reggia, se i padroni sono i re della montagna. E voi mi dite che in un'ora si può andare a Querciola?
– Dalle Vaie, sicuro.
– Le Vaie! Che cosa sono le Vaie?
– Il luogo di abitazione dei…
– Basta, ho capito anche questo; – interruppe Gino, ridendo. – Caro amico, vi ringrazio delle vostre informazioni, che finiscono tutte ad un modo, come i salmi. Non mi resta ora che di pagarvi il conto.
– Perdoni, signor mio; – disse il mugnaio, schermendosi.
– Come? Non si usa pagare il conto, alla vostra osteria?
– Si usa, sì; ma in questo caso… Ella non ha mangiato che una cattiva minestra… E poi, il signor Aminta non permetterebbe.
– Ah, per tutti i… re della montagna, ed anche della pianura, questa è grossa davvero. E se io volessi darvi uno scudo…
– Quando Vossignoria lo volesse ad ogni costo… – rispose l'altro, facendo bocca da ridere.
– Ah, finalmente! – gridò Gino, mettendo mano alla borsa. – Ne vinco una io, sul vostro signor Aminta. —
Pagato a quel modo lo scotto, il conte Gino escì dall'osteria, per avviarsi sulla strada che avevano già presa le sue valigie. Quasi sarebbe inutile il dire che lo guidava il mugnaio, poichè egli, ignaro affatto dei luoghi, non avrebbe saputo da qual parte voltarsi.
Passarono sopra un ponte di legno il ruscello che forniva l'acqua al mulino, e di là presero a salire un sentiero largo e sassoso in mezzo ad una boscaglia di cerri, rada nei tronchi, che apparivano grossi e diritti, ma folta in alto, per la diffusione dei rami.
I cerri sono le quercie delle alte convalli, dove il freddo regna più a lungo. Robusti e previdenti, hanno la corteccia più fitta, e le loro ghiande portano il cappuccio lanoso.
Il conte Gino aveva fatto appena un cento metri di strada, quando attraverso i radi tronchi dei cerri vide discendere dall'erta uomini e cavalli.
– To'! – diss'egli. – Una cavalcata. Com'è pittoresca!
– È il signor Aminta che ci viene incontro; – rispose il mugnaio.
– Sempre Aminta! – gridò il conte Gino. – Caro mio, Torquato Tasso dovrà esservi molto riconoscente.
– Chi è questo signore? – domandò candidamente il mugnaio.
– Il padre di Aminta; – rispose Gino.
– Scusi, – replicò quell'altro, sicuro del fatto suo, – il padre del signor Aminta si chiama Francesco. —
Gino diede in una matta risata, e il mugnaio pensò ch'egli fosse matto davvero, volendo sbattezzare il signor Francesco Guerri, per chiamarlo Torquato. Ma rise anche lui, vedendo ridere il suo compagno di viaggio.
Il nostro giovanotto era di buon umore, e la cosa vi parrà singolare, in mezzo a tanti dolori che lo avevano accompagnato sulla via dell'esilio. Ma io già ve l'ho detto, Gino Malatesti aveva ventisei anni. Aggiungete la novità del caso, che lo faceva ospite per forza di gente che non lo conosceva affatto, e che egli conosceva anche meno. E poi, non dimenticate la bella natura, questa regina sempre giovane e lieta, che fa anch'essa ogni cosa a suo modo, e che, dentro la cerchia del suo regno, per un giorno almeno, ha potestà di giocondare gli spiriti.
La cavalcata intravveduta da Gino si componeva di due soli cavalli. Sul primo torreggiava il signor Aminta; l'altro era condotto a mano da un famiglio.
Come fu a venti passi da Gino, il signor Aminta balzò leggero di sella e gli mosse incontro a piedi.
– Perdoni la libertà grande; – gli disse, scoprendosi. – Gasparino le avrà già detto…
– Sì, mi ha detto molto; – rispose Gino. – Ma io non so veramente con qual diritto dovrei dare tanto incomodo a Lei… ignoto come sono…
– È un viaggiatore: è un ospite; – replicò l'altro, con bella semplicità