Il ponte del paradiso: racconto. Barrili Anton Giulio

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Il ponte del paradiso: racconto - Barrili Anton Giulio

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permetterò che tu ne corra neanche il pericolo.

      – Ma non la perderò; – riprese Raimondo, – poichè rimarrà nella mia cassa forte. Se tu m'annoi, bada, dirò che il tuo deposito è di dugentomila. Infine, senti, non mi far pena coi tuoi rifiuti, più orgogliosi che tu non pensi, più orgogliosi del sogno che non osavi fare, e di cui ti volevi castigare. Voglio il tuo bene; voglio vincere; Margherita è un angelo, e deve esser tua. Sono impegnato, dopo tutto; che figura farei, se dovessi rimangiarmi quello che ho detto? Sii ragionevole, amico; obbedisci a chi ti ama, e non lo far passare per un burattino. —

      Filippo Aldini era stato lungamente zitto, come oppresso da quella valanga di ragioni, di esortazioni, di prepotenze. Ma bisognava rispondere qualche cosa; Raimondo era in attesa, smanioso, incalzante, con la tensione dello sguardo e col fremito delle labbra.

      – E allora… – chiese Filippo, esitando, – dirai alla tua signora…

      – Che c'entra lei? – gridò Raimondo, inarcando le ciglia dallo stupore.

      – C'entra benissimo; – rispose Filippo, questa volta con accento più risoluto, staccando le frasi e battendo le sillabe. – La moglie è ricca di ciò che possiede il marito. E tu dovrai dirle che mi vuoi far ricco d'una parte, sia pur piccola, del tuo, e che io ho accettata l'offerta. Che cosa penserà ella? Che io sono un matricolato furfante, entrato destramente nelle tue grazie, in veste di amico sincero, coll'idea di accostarmi alla cassa. Infine tutto ciò che dovrei fare per compiacerti, mi diminuisce nella mia propria stima. Come oserò andare dalle signore Cantelli, dopo quello che hai detto alla signora Eleonora? Come oserò mettere ancora il piede in casa tua, dopo quello che dirai alla signora Zuliani?

      – Oh Dio! – esclamò Raimondo, che incominciava a sentirsi scappar la pazienza. – La signora Eleonora sa da me che saresti andato da lei, e mi ha mostrato di gradire assai la tua visita. Non puoi farne di meno, senza passare per uno screanzato. Quanto allo scrupolo che hai per la mia cassa, siccome è una probabilità molto lontana che io debba fare al banchiere Cantelli il discorso che ti avevo accennato, è chiaro che io non ne debba parlare a nessuno, e molto meno a mia moglie, colla quale, del resto, io non ho mai discorso d'affari. Per tua norma, la casa e la cassa le ho sempre tenute separate; è l'unico modo perchè non si diano noia a vicenda. Sei contento? Non ancora, mi sembra. Ebbene, ritiro, se vuoi, mi rimangio l'idea di esserti utile al bisogno col mio denaro, che finalmente non avrei dovuto neanche metter fuori. Ti va, benedetto ragazzo? Ecco adunque appianata la gran difficoltà. L'essenziale è che tu vada dalle signore Cantelli. Faccio, se tu non vai, una figura barbina; e non la merito, com'è vero Dio, non la merito. Ma vediamo di appianare anche questa; – soggiunse Raimondo, cavando l'orologio per guardar l'ora; – sono le due e mezzo in punto; non hai da vedere i tuoi commilitoni prima delle quattro. Di qui in un volo siamo a San Marco; in un altro al Danieli, e facciamo questa visita insieme.

      Filippo Aldini chinò la fronte rassegnato. Era preso, come in una morsa, dal suo prepotente amico. E lo seguì in istrada; ma non fu necessario di fare i due voli che Raimondo annunziava, perchè, riusciti dalla via del Telegrafo all'imbocco delle Procuratie, incontrarono le signore Cantelli davanti alle vetrine del Munster. La signorina Margherita andava per l'appunto dal libraio, in cerca di un'opera recente che desiderava di leggere. Qui, dunque, saluti e fermata; comperato il libro, e mandatolo all'albergo, le signore avrebbero fatto volentieri quattro passi per le viottole. Accompagnate, non temevano più di smarrirsi.

      – Vi lascio il mio amico; – disse Raimondo. – Io mi ricordo di avere ancora una lettera da scrivere, per impostarla prima di sera. —

      E se ne andò, felice, rifacendo la strada verso il suo banco. Il merlo finalmente era in gabbia.

      – Ce n'è voluto, – pensava Raimondo, – ce n'è voluto, con quel cercatore di gretole. Ma vedete un po' come sono diversi gli uomini! C'è chi arraffa di qua e di là, e chi tiene costantemente le mani in tasca. Uno v'insidia giorno e notte la borsa; un altro, a cui la offrite, ve la sbatte signorilmente sul muso. Vogliamo credere che ci siano due razze umane, in natura? Ho letto non so più dove che ci furono uomini prima di Adamo sulla faccia della terra, e che ciò apparisce anche dal racconto della Bibbia. Dunque diciamo Adamitici gli uni, discesi dalla semenza di Adamo, e Preadamitici gli altri che non si sa donde siano mai capitati. Basta, andiamo a scrivere questa lettera, la quale mi par più che mai necessaria. Se, Dio guardi, la signora Eleonora non è forte di scrittura, mi lascia qualche cosa nella penna, non dicendo al signor Anselmo degnissimo tutto quello che occorre. Qui bisogna battere il ferro mentre è caldo. E tu passeggia, passeggia colle signore, mio preadamitico eroe. —

      Filippo Aldini passeggiò infatti, e più lungamente che non prevedesse Raimondo. La signorina Margherita voleva osservar tante cose, ed era così lieta di assistere a tante gustose scenette di vita popolana! In verità, non si era mai divertita tanto come in quelle due ore. Peccato che fossero calate le ombre della sera, nell'inverno così fastidiosamente sollecite, per interrompere quella passeggiata piacevole e per rimandar lei con la mamma all'albergo. Ad ogni modo, erano già le cinque suonate quando Filippo si congedò all'ingresso del Danieli, ringraziato con effusione della sua gentil compagnia.

      E i due commilitoni che lo aspettavano alle quattro? Filippo non ci pensò nè punto nè poco.

      Esistevano poi davvero, quei due?

       V.

      Natura ed arte

      Filippo Aldini era rimasto finalmente libero, reso alla solitudine de' suoi pensieri. Solitudine, non quiete; tanto la giornata era stata piena di commozioni per lui. Nè l'agitazione del suo spirito si chetò così presto, che non passasse ancora gran parte della notte insonne. Quante novità! e come, senza volerlo, senza prevederlo, si ritrovava egli lontano in poche ore dai forti propositi in cui gli era parso di non dover vacillare nè allora nè mai! Oh, infine che cosa poteva egli rimproverarsi? Raimondo aveva proposto e disposto, premeditato, combinato e conchiuso. Anche conchiuso? Almeno pareva; e dal modo come il suo prepotente amico aveva condotto fino a quel punto il negozio, era da credere che tutto oramai dovesse andargli a seconda. Che cosa valevano contro quell'audacia fortunata le ragioni di Filippo? Ed erano ragioni? Scrupoli, sì; e parecchi, e d'indole diversa. Ma non appariva in tutto ciò la mano del destino? I fati, fu detto dagli antichi, conducono i volenti, ma ancora e più trascinano i restii; che serve dunque il ribellarsi?

      Nel fatto, egli era innamorato di Margherita più che non avesse lasciato dire da Raimondo, più che non avesse fin allora voluto confessare a sè stesso. Aveva ricevuto il colpo fatale fin dalla prima volta che la divina fanciulla gli era passata davanti agli occhi, con la mamma e con Raimondo Zuliani, sotto le Procuratie Vecchie, mentre egli stava per uscire dal Florian. L'aveva veduta fermarsi in piazza San Marco, alla solita scena dei colombi, che è il trastullo di tutte le signorine e di tutte le spose novelle appena giunte a Venezia. Alta e snella, con quella massa di capelli nerissimi che facevano spiccar maggiormente il candore perlaceo del viso; nettamente disegnata la flessuosa persona in mezzo a quello sciame di volatori, che le roteavano sul capo, o intorno alle spalle, quali avventandosi alle sue candide mani colme di grano, quali fermando il volo sulle sue braccia, per aspettare la volta loro; pareva una bella ninfa antica per “nuovo miracolo e gentile„ rivivente ai dì nostri, forse indegni di tanta fortuna.

      E poi, due giorni appresso, quando meno se l'aspettava, le era stato presentato. L'aveva veduta da vicino; era stato costretto ad osservarla. Che grazia ingenua, su quel labbro! che nobiltà serena, in quell'occhio luminoso, sotto le ciglia lunghe più nero e più lampeggiante! in quella linea delicata del profilo purissimo, e in quella compostezza leggiadra della persona! Non più una ninfa antica, ma una dea veramente. Diana, o Minerva? C'era molto dell'una e dell'altra in quella stupenda figura, nel portamento, negli atti, nella espressione del volto.

      Quei benedetti artisti

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