La testa della vipera. Bersezio Vittorio

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La testa della vipera - Bersezio Vittorio

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a fabbricare quei panni che lo avevano arricchito per godersi in pace gli agi onestamente acquistati e le dolcezze della famiglia. Nelle rare visite che si facevano, Luisa ammirò la tenerezza fiduciosa e concorde che aveva luogo fra i conjugi Danzàno e l'amore, l'attenzione di entrambi per un loro figliuoletto che, quand'ella si sentiva madre, contava appena tre anni o poco più. Un simile amore la poveretta sapeva pur troppo che suo figlio non lo avrebbe trovato nel padre, e pensò che quel galantuomo di Danzàno sarebbe stato un difensore, un ajuto al nascituro.

      Fu la sola contentezza che Luisa ebbe il vedere accettati per padrino e madrina i conjugi Danzàno.

      Ma non fu solamente contentezza, fu trasporto, ebbrezza, delirio di felicità quello che la povera donna provò, quando la levatrice le ebbe posto fra le braccia un fantolino che piagnucolava con appena udibil voce.

      Egli era grosso come un ranocchio, magro, schiacciato il viso, nero di carnagione, tutto rughe la pelle; eppure all'estasiata madre parve la bellezza di un angioletto sceso per lei dal paradiso.

      Ella aveva sofferto di molto, e dolori morali e tormenti fisici; ma tutti furono obliati, o meglio benedetti, poichè le avevano procurato tanto bene, tanta gioja, tanto rapimento.

      Il medico diceva che di molte cure aveva bisogno la puerpera: ma che grazie allo zelo di chi la vegliava avrebbe potuto essere salva anche la vita della madre. Giù da un paese montanino era arrivata una balia tanto fatta che poteva dirsi il ritratto della prosperità; e la giovane madre se n'era tutta rallegrata.

      A Lorenzo la nuova paternità non aveva prodotto grande entusiasmo di gioja; egli guardava con occhio fra dispettoso e mortificato quel scimiottino, e lo mortificavano viepiù i sogghigni, le ironìe, i compatimenti della Marianna.

      Luisa dapprima era stata un po' gelosa della balia, ma poi, visto che essa dimostrava molto affetto al bambino, e che questi suggeva con così avida soddisfazione l'alimento da quel turgido seno, le aveva posto subito un gran bene, e avrebbe fatto non so che cosa per contentarla. La balia mostrò un gran desiderio di avere un orologio, e Luisa, staccato dal capoletto il suo, glie lo diede.

      A sera, Lorenzo rincasando irritatissimo per una vistosa perdita al giuoco, eccitato dai fumi del vino e dei liquori, passò nella camera della moglie, e il suo occhio grifagno vide che l'orologio mancava dal suo solito posto. Ne chiese, e udito del regalo fattone alla balia, scoppiò senz'altro in una di quelle sue tremende collere che già agghiacciavano di terrore la poveretta quando era in salute.

      L'ammalata fu assalita da una violenta febbre, e quella sera medesima il medico la giudicò in pericolo.

      Due giorni dopo essa era morta.

      V

      Tutte queste cose passavano e ripassavano per la mente di Lorenzo; finchè pur finalmente venne un greve sopore che lo tolse a quella penosa fantasmagorìa. Fu destato da una mano, che, senza troppa precauzione, gli si posò sulla spalla. Aprì gli occhî e vide ritta presso al letto la Marianna.

      – Che cosa c'è?

      – C'è Danzàno.

      – Ebbene, che m'importa?

      – Vuole parlarti.

      – Ditegli che dormo, che mi riposo… che sono occupato.

      – No; è meglio che tu lo veda subito e te ne liberi… Egli ha parlato colla monaca… Chi sa che cosa la gli avrà detto… Sai che pedante egli è… Si faranno delle ciancie in casa sua… Va, mostrati afflitto, accasciato…

      Lorenzo esitò un momentino; parve che non gli piacesse troppo aver da fare col cugino: ma poi, con subita risoluzione, si gettò giù dal letto.

      – Dov'è? chiese.

      – È nella camera di… della morta.

      – Ah! non colà, sclamò vivamente il vedovo. Fatelo passare nel salotto.

      Emilio Danzàno era un vero galantuomo che aveva poca amicizia e niuna stima pel cugino Lograve, ma che aveva sentito sempre, dacchè l'aveva conosciuta, molta compassione per la moglie di lui; e questa era stata la cagione che aveva fatto accettare a lui e a sua moglie di tenere al battesimo il neonato di Luisa. Quella mattina, venuto a prendere le nuove dell'inferma, egli trovò la monaca sola a pregare presso la morta. Dalla monaca seppe come, e con che parole, la poveretta fosse spirata.

      – Povera donna! mormorò guardando con profonda pietà quel cadavere: poi chiese di vedere il cugino Lorenzo.

      Questi, seguendo i consigli di Marianna, comparve con un aspetto accasciato, accolse con un brontolìo, che voleva essere un ringraziamento, le condoglianze, e sospirò, asciugò sulle ciglia delle lagrime ipotetiche e pregò il cugino di assumersi tutte le incombenze che occorrevano per quella luttuosa circostanza, per le quali mancavano a lui il coraggio e la mente. Danzàno, interessandosi della salute del figlioccio, consigliò al vedovo padre di mandarlo subito nelle più sane aure del paese montanino della balia: e il consiglio fu premurosamente accolto perchè corrispondeva affatto ai desiderî e alla convenienza di Lorenzo e della governante.

      Il bambino fu lasciato colà tre anni, nè il padre lo avrebbe ancora ripreso con sè, dove il Danzàno non avesse insistito per farglielo ritirare in casa.

      Il piccino, così miseruzzo com'era nascendo, non aveva di molto prosperato, ma aveva pur fatto il miracolo di vivere, superando le varie crisi dell'età infantile. Se la sua venuta in casa fu poco gradita al padre, uggiosa alla governante, riuscì una disgrazia per lui, il quale dalla vita libera, in sano ambiente, circondato dalla schietta benevolenza di quella famiglia montanina, passò nell'aere rinchiuso d'una casa cittadina, dove nessuno gli voleva bene, dove anzi il padre impaziente lo allontanava da sè con violenti rabbuffi, e Marianna non faceva che rimproverarlo, castigarlo, e sovente ancora picchiarlo di santa ragione.

      Qualche volta il padrino otteneva che il piccino venisse a passare la giornata in casa sua; ma ciò non tanto sovente quanto i Danzàno avrebbero voluto, perchè Marianna, temendo che il ragazzo, malgrado le minacciose intimazioni fattegli, raccontasse e i mali trattamenti suoi e le scene burrascose che così frequenti avevano luogo in casa, contrastava più che potesse a tali visite. Nella casa del padrino il figliuolo di Luisa trovava un ambiente tutto bontà, pace, ilarità ed affetto. I conjugi s'amavano, e ambedue idolatravano i loro figli che crescevano avendo pei genitori quella devozione, quel rispetto, quella stima che veramente si meritavano. Due erano questi figli, un maschio ed una femmina: quello aveva tre anni di più del Lograve; la bambina invece ne contava cinque di meno, e fratello e sorella si volevano pure un bene da non si dire. Si sarebbe creduto che quelle giornate passate nella famiglia del padrino riuscissero un diletto, un godimento pel piccolo Emilio; e invece così non era: perchè a misura ch'egli avanzava in età, si manifestava e cresceva in lui uno dei più brutti vizî, e più inspiratori di malvagità: l'invidia. Quel disgraziato, della madre non aveva pure la bontà dell'anima, ma soltanto la bruttezza del corpo; dal padre aveva attinto la tristizia dell'umore e del carattere; sottoposto alle sfuriate paterne, alle continue persecuzioni della Marianna, egli ci aveva aggiunto la dissimulazione e l'ipocrisìa.

      I cuginetti erano belli, sani, ben vestiti, accarezzati, regalati d'ogni ragionevole divertimento, sempre lieti e concordi, e paragonando a loro sè stesso, infermiccio, sgraziato, male in arnese, maltrattato, ignorante, ineducato, goffo, Emilio Lograve si struggeva d'un'invidia tanto più amara quanto più dissimulata.

      Per l'istruzione d'Emilio fu ancora il Danzàno che decise il malconsigliato padre a fare qualche cosa: e siccome tanto a Lorenzo quanto alla Marianna andava a versi di togliersi quell'imbarazzo dai piedi, all'età di dieci anni il figliuolo di Luigia fu cacciato

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