La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte II - Bersezio Vittorio

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la smise. Poteva servirsi dell'opera di quante fanti e mercenarie volesse; preferiva far tutto colle sue mani, e cuciva ancora, e stirava, e faceva calze, e filava persino, come prima. Le cose fatte da sè trovava meglio fatte ed erano più presto compite: ed aveva ogni ragione, e del suo parere erano anche gli altri, suo marito pel primo, al quale rincresceva sì alquanto di veder sua moglie lavorare come una proletaria o poco meno, e ne la rampognava di belle volte, ma che intanto non trovava mai le cose ammodo se donna Teresa non ci aveva posto mano. Aveva molta religione: la religione delle donnicciuole e degli animi pusilli è vero, la religione un po' idolatra delle minutezze del culto esteriore; ma anche in codesto le impedivano di essere gretta e intollerante, due cose: la profonda bontà dell'animo e l'amoroso rispetto che aveva pel marito un po' libero pensatore. Come aveva continuato a levarsi la mattina all'alba ed a lavorare della guisa che faceva quando era povera, così aveva continuato a prestare poca attenzione al suo vestire. Altrettanto ci teneva che la sua figliuola Maria fosse elegante, altrettanto si dava poco pensiero di sè; e doveva essere la figlia, o il figliuolo, o il marito a costringerla di vestire nelle volute circostanze secondo le condizioni della famiglia. Ora che ci viene innanzi, ella ci appare avvolta a bardosso d'una guarnacca scura, con suvvi un giaco di grosso panno ed al collo un fazzoletto di cotone male attorcigliato, così che, in vece della signora del luogo, uom la prenderebbe facilmente per l'ultima delle fanti della casa.

      La signora Teresa, appena entrata in istanza, si affrettò a levare dalle spalle del figliuolo l'umido pastrano, e traendolo amorosamente verso una poltrona che si trovava in faccia al fuoco divampante, ve lo fece sedere.

      – Costì: diss'ella, e rasciugati un po' i piedi a questa bella fiamma. Ve' che giudizio, per un tempaccio simile far sì lunga strada a piedi con di scarpe come queste, sottili come una pellicola d'aglio.

      E Francesco di rimbalzo, sforzandosi sempre a parer gaio e scherzoso:

      – E ve' da parte tua, mamma, che giudizio a star levata tutta notte a questa stagione, per che cosa? Per aspettare un figliuolo che non ha più i lattaiuoli e il quale s'è andato a divertire.

      – Oh! io, la è un altro paio di maniche… Prima di tutto io non posso fare diversamente… Che cosa varrebbe che mi mettessi a letto? Tanto e tanto nè potrei chiuder occhio, nè manco starmene ferma e tranquilla. Che cosa vuoi? Le son cose che le capisce soltanto una madre. Finchè tutti quelli della mia piccola famiglia, non sono rientrati nel nostro domestico tetto; finchè non li so tranquillamente coricati tutti, io non posso aver quiete. È una cosa puerile, assurda, tutto quello che vuoi; ma mille paure mi assalgono. Mi pare che qualche brutto avvenimento li può cogliere; che la disgrazia può approfittarsi di ciò che non siamo uniti per piombare addosso a quello che manca.

      Queste parole della madre erano troppo corrispondenti alla verità del caso avvenuto a Francesco, cui egli voleva ad ogni patto nascondere alla povera donna, perchè il giovane non fosse assalito da una subita dolorosa emozione. Si volse in là per nascondere alla madre il turbamento della sua faccia, ma tanto non potè reprimere il suo affanno che un doloroso sospiro non gli uscisse dalle labbra.

      Alla signora Teresa non isfuggì questo sospiro.

      – Che cos'hai? diss'ella vivacemente, levando la testa e lo sguardo sul volto del figliuolo.

      – Io?.. Nulla. Che cosa vuoi che abbia? Sono stanco, assonnato… To', poichè vedo la cuccuma lì, prenderei volentieri un po' di caffè.

      Il coprilume della lampada impediva che sul volto di Francesco percotesse tanta luce da distinguerne la pallidezza; poi la buona donna, volendo affrettarsi a soddisfare il desiderio del figliuolo, si precipitò verso il camino a mettere la polvere del caffè nella cuccuma in cui l'acqua bolliva. Per quella volta il giovane ottenne ancora il suo intento.

      – Ti sei tu ben divertito a codesta festa? domandava intanto la madre, curva sul fuoco, curando che il caffè bollisse a dovere senza traboccar nelle ceneri.

      – Sì, sì, molto: rispose Francesco, cercando sempre di dare alla voce il suo tono naturale.

      – C'era molta gente, non è vero? E che lusso neh? Ci saranno state tutte le belle signore di Torino.

      – Sicuro… Una confusione di gente da non poter trovar luogo nè da stare, nè da respirare.

      – A proposito di bellezze, c'era ella quella nobilissima signorina che fu compagna di Maria nel poco tempo che tua sorella stette nel convitto del Sacro Cuore, madamigella?.. Com'è già che si chiama?

      Francesco ebbe una lieve contrazione del viso che indicava quanto quella domanda lo turbasse: non ebbe forza a rispondere di subito. La madre, credendo che il figliuolo non avesse compreso di chi ella voleva parlare, si volse indietro del capo, mentre seguitava a star curva presso il fuoco e soggiunse:

      – Sai bene quel fior di bellezza, la nipote del marchese di Baldissero?

      Francesco fece uno sforzo su se medesimo, e rispose come se gli si parlasse d'una cosa indifferente.

      – Sì, sì: madamigella Virginia di Castelletto. La ci era… – Si fermò un istante e gli sfuggì un lieve sospiro, poi soggiunse: – … E più bella che mai.

      La madre si alzò colla caffettiera in mano, versò in una chicchera il liquido fumante, e messovi dentro lo zucchero, venne presso al giovane agitando il cucchiarino.

      – To', Cecchino, e dimmi se l'ho saputo fare al solito secondo il tuo gusto.

      – Eccellentissimo: disse il figliuolo, appena ne ebbe preso un sorso: eccellentissimo come sempre.

      Bevette, poi rimise la tazza nelle mani della madre; mentre questa andò a riporla sopra la tavola di marmo d'una mensola, Francesco s'alzò da sedere, si passò la mano sulla fronte, ed afferrato il suo mantello, se lo gettò sull'avanbraccio sinistro.

      – Addio mamma, diss'egli, mettiti a letto e fa di dormir bene.

      – Vai già? Domandò la signora Teresa che, posata in fretta la tazza, si volse vivacemente verso il figliuolo.

      – Sono stanco, ho bisogno di riposare ancor io… Dàmmi un bacio, mamma.

      Nel dire queste parole, la voce del giovane tremò un pochino. Teresa se ne accorse, fe' rattamente saltar via di sopra la lampada il coprilume e d'un balzo fu presso il figliuolo, le sue mani sulle spalle di lui, il volto innanzi al volto, gli occhi entro gli occhi. Vide allora il pallore di Francesco, vide i tratti accusare un turbamento interno che invano e' si sforzava nascondere, vide la nube di mestizia che ne copriva la bella fronte, ordinariamente così serena, seggio della sincerità.

      – Tu hai qualche cosa, Francesco? Di certo t'è capitato alcun che? Oh che cos'hai?

      Il giovane scosse il capo in segno negativo, non fidandosi abbastanza della fermezza della sua voce.

      – Forse non ti senti bene?

      Francesco avvisò che fra i motivi d'inquietudine per la buona madre, questo della salute era ancora minore d'assai di quello che sarebbe stato il conoscere la verità, e tostamente si decise di accettare la scappatoia che così gli veniva offerta.

      – Gli è ciò: diss'egli. Non mi sento del tutto bene… Ma l'è una cosa da nulla, si affrettò a soggiungere. Il gran caldo di quelle sale, la luce soverchia, i profumi mi hanno dato un po' alla testa.

      – Santa Madonna della Consolata! Esclamò la buona madre tutto già l'animo sottosopra. Ecco! Hai voluto venirne a piedi, ti sarai presa una costipazione…

      – Ma no,

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